lunedì 18 gennaio 2010

VIETNAM (VALLE DI "MAI CHAU").

LA CAPITALE HANOI conserva tutto il suo fascino: è piena di magnifici templi e non ci sono ancora Starbucks o McDonald's.
Nel quartiere vecchio le botteghe traboccano di merci di ogni tipo: bare, rimedi naturali, scarpe, e tutto quello che si può fare con la seta.
Ma non è più la città di dieci anni fa, quando la gente girava in bicicletta per le strade del quartiere.
Oggi la maggior parte della popolazione usa il motorino.
L'unico modo che hanno i pedoni per attraversare la strada è gettarsi in mezzo al traffico.
Come per miracolo le acque si aprono, secondo regole note solo ai vietnamiti.
Ad Hanoi ci sono molti occidentali, sopratutto europei.
Non è più economica come un tempo e una camera d'albergo costa in media 90 dollari a notte.
L'inglese del personale lascia un po' a desiderare, ma il servizio è impeccabile.
Duc chiama i turisti "patate", perchè in vietnamita la parola "turista" ha un suono simile a quello della parola "patata".
E anche perchè spesso i turisti sono grossi, bianchi e goffi.
Mentre in Vietnam la gente è snella e aggraziata.
Le liceali, nei loro incantevoli "ao dai", sono un'immagine intramontabile di bellezza femminile.
Ma noi turisti, anche se somigliamo alle patate, non siamo completamente rammolliti.
Per dimostrarlo decido di fare una gita in collina, trascorrendo un paio di notti con le famiglie locali.
Partiamo per Mai Chau, una valle dal panorama spettacolare a poche ore da Hanoi, e ci lasciamo alle spalle le strade asfaltate, gli ingorghi e le modernità.
Durante il viaggio vediamo le donne, con i tipici cappelli a forma di cono, nei campi di riso.
Alla fine di un sentiero fangoso c'è il villaggio dove passeremo la notte.
Nel Vietnam settentrionale ci sono decine di gruppi etnici.
Le donne hmong portano enormi gonne ricamati e imparano a cucire appena riescono a tenere in mano l'ago.
Le famiglie vivono in case di legno buie di due stanze: una grande per dormire, una piccola e fumosa per cucinare.
Dalle travi del soffitto pendono grumi di fuliggine.
Cerco invano di fare conversazione con un paio di ragazze più grandi, che ridacchiano indicando le mie unghie dei piedi smaltate di rosso.
Secondo Duc, gli hmong sono arretrati.
Non si curano dell'istruzione e non sono molto puliti.
La loro è una dieta molto semplice: riso, radici di sedano, un pezzo di salciccia e per i bambini dello zucchero di canna da succhiare.
Poi Duc sorride allegramente mentre noi tratteniamo a stento un conato di vomito.
"La carne di cane è buonissima!", insiste.
Il villaggio hmong non è rimasto del tutto immune al progresso.
Alcune case hanno la parabola satellitare e le donne portano le Crocs.
Un negozio alla periferia del villaggio vende patatine e bibite gassate.
Presto, c'è da scommetterci, ci sarà un internet point.
Ogni famiglia ha un motorino e nel villaggio spicca la grossa Jeep del trafficante che contrabbanda oppio dal Laos.

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