mercoledì 20 gennaio 2010

KOSOVO.

IL GRAND HOTEL, nel centro di Pristina, è una vera e propria leggenda: si dice che è il peggiore albergo a cinque stelle del mondo.
Una quindicina di camerieri aspettano i clienti in una sala da pranzo vuota.
Ma prima di essere serviti ci vuole lo stesso un'infinità di tempo.
"E adesso è meglio di prima", sospira Ardita, un'amica con cui ho appuntamento qui.
"Prima c'era una sorta di apartheid, solo i serbi avevano il diritto di lavorarci".
"Oggi invece non ce nè più neanche uno", obietto io.
Ardita alza le spalle.
"Sono serba ma ho problemi molto più importanti dell'indipendenza del Kosovo", mi dice Tatiana, proprietaria di un negozio di scarpe nell'enclave serba di Strpce.Mi ha dato un passaggio sulla strada per Prizren, affermando con orgoglio che nessuna albanese avrebbe mai avuto il coraggio di parlare con uno sconosciuto.
"Quali problemi?
Il mio tetto fa acqua da tutte le parti e non ho i soldi per ripararlo.
E questa elettricità del c...o!".
Attraversiamo i monti Sar sulla sua Opel.
Passiamo accanto a un monumento in memoria dell'esercito di liberazione del Kosovo (Uck) e accanto a un posto di blocco della kfor (la forza di pace della Nato in Kosovo).
Tocca agli ucraini e ai polacchi vigilare sulla sicurezza dei serbi.
Una piccola chiesa ortodossa a destra della strada è il segno che siamo entrati nell'enclave di Strpce.
Le chiedo: "L'elettricità?".
Tatiana sospira.
"Guardati attorno, la gente vive al lume di candela.
Pensi che sia una scelta romantica?
L'elettricità manca quattro ore al giorno e a volte per giornate intere.
Non sai mai quando tornerà.
Non posso fare il bucato, non posso lavare i piatti o farmi la doccia.
Durante l'inverno il buio arriva presto.
C'è chi pensa che sia per colpa della mancanza di corrente che ci sono così tanti bambini in Kosovo.
Qui la gente è convinta che gli albanesi tolgono la corrente ai serbi.
Ma sono stata a Prizren e anche lì non c'è corrente".
Due volte alla settimana alcuni autobus scortati dai soldati della Kfor vanno da Strpce fino alla frontiera serba o a Gracanica, la più grande enclave serba del Kosovo.
Al loro passaggio gli albanesi tirano sassi o lanciano petardi.

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