venerdì 30 aprile 2010

STATI UNITI ("ALASKA").

PAESAGGIO SURREALRE.

"I grandi spazi dell'Alaska, il colore della luce così unico e le abitudini dei suoi abitanti mettono in crisi i nostri punti fermi, scrive Pico Iyer".

Voliamo a poca distanza dai 6.200 metri del monte McKinley, oggi conosciuto soprattutto con il nome athabaskano di Denali.
Sotto il Cessna da sei posti c'è un ghiacciaio che si estende per 60 chilometri dalla vetta.
Dalle porte aperte del piccolo aereo un fotografo si sporge per immortalare la scena.
Cerco di non pensare al conteggio che ho letto stamattina sulle spedizioni alpinistiche sul Denali: "Scomparsi/vittime: 4".
E' una frizzante mattinata di agosto e la linea delle nevi perenni, dopo un'estate fredda e piovosa, è già scesa qualche decina di metri più in basso del solito.
Mi sono svegliato a Camp Denali prima dell'alba ammirando la luce rosea che circonda le vette.
Nella mia baita non ci sono nè elettricità nè acqua nè telefono.
C'è però il raro lusso del silenzio, della tranquillità e di una vista straordinariamente nitida su cime innevate lontane trenta chilometri.
Non sono il tipo che ama stare all'aperto e l'aurora boreale non mi ha mai attirato quanto il calore dei paesi del sud.
Nel 2009, però, l'Alaska festeggia i cinquant'anni del suo ingresso tra gli stati dell'unione e la sua eccentricità ci ricorda come questa terra abbia alterato la percezione che abbiamo degli Stati Uniti.
Nei quasi ventimila giorni della mia vita non avevo mai messo piede nello stato più esteso dell'America.
Mentre scendo dal Cessna e mi riprendo dallo spavento, mi chiedo se il fatto di non avere un'assicurazione per il viaggio faccia di me un alaskano onorario.
L'Alasca sconvolge i nostri sensi e mette in crisi tutti i nostri punti fermi.
E' lo stato più occidentale di tutti gli Stati Uniti, oltre che quello più a nord.
Con mia grande sorpresa, il giorno del mio arrivo scopro che è anche il più a est (le Isole Aleutine si trovano oltre il meridiano 180, noto come International date line).
Alcune ore dopo il mio arrivo percorro a piedi i pochi isolati del centro di Anchorage (che finisce all'improvviso, davanti a un'immensa distesa d'acqua) e mi rendo conto che intorno a me ci sono il Canada, la Russia e il Polo Nord.
La desolazione e la grandezza di questo ambiente mi fanno sentire in un luogo surreale e senza paragoni (a eccezione, forse, dell'Islanda e di alcune zone dell'Australia).

giovedì 29 aprile 2010

STATI UNITI ("ALASKA").

INFORMAZIONI PRATICHE.

DOCUMENTI.
Dal gennaio del 2009 per andare negli Stati Uniti senza visto è obbligatoria una particolare autorizzazione, l'Esta (Electronic system for Travel authorization).
Per maggiori informazioni consultare il sito dell'ambasciata statunitense in Italia: italy.usembassy.gov o chiamare il numero 899 343 432.

ARRIVARE.
Il prezzo di un volo dall'Italia (Us Airways, United, British Airwais,) per Anchorage parte da 895 euro a/r se si acquista il biglietto con largo anticipo.

CLIMA.
Nell'Alaska meridionale (la regione che comprende Anchorage, Seward e Homer) il clima è mite grazie alle correnti del golfo dell'Alaska e anche all'omonima catena montuosa che blocca il vento del nord.
A MIO AVVISO E' UTILE SAPERE CHE:
In Italia esiste una attività che da più di 35 anni produce e commercializza "BANDIERE E RELATIVI ACCESSORI", da utilizzo sia per interni che per esterni, partendo dalle bandierine da tavolo e arrivando fino ai pennoni in alluminio oppure in vetroresina da mt. 5 a mt. 40.
L'attività in oggetto è la "B.A.F.A. BANDIERE".
(vedi catalogo in internet).
PROFILO DELL'AUTORE E INDICE VIAGGI A INIZIO BLOG "ERMANNO RARIS"
SCOZIA (LE "HIGHLANDS").

UN SILENZIO SIMILE ALLA CALMA che caratterizza le Highlands.
Anche questa terra, come ho scoperto, un tempo era abitata.
Agli inizi dell'ottocento, però, alcuni avidi proprietari terrieri decisero che era più redditizio allevare pecore e cacciarono i contadini.
Questo evento storico è noto come le "clearences".
La parola "clearence" (sgombero), entrata nell'uso corrente molto tempo dopo i fatti a cui si riferisce, è di per sè offensiva: racchiude l'idea che gli esseri umani si possono rimuovere (clear) come erbacce o macerie.
A differenza delle "clearences", la "nakba" palestinese ha colpito una generazione che oggi è ancora viva.
Ma il tempo non è l'unico fattore che conta.
I palestinesi, proprio come gli scozzesi, hanno la memoria lunga.
Mentre la mia mente si abbandonava alle somiglianze tra la storia e la natura delle Highlands e quelle della terra dove sono cresciuto, mi sono ritrovato in cima all'Aonach Eagach.
La signora sarebbe stata fiera di me.
Convinto che da una posizione così elevata avrei visto solo altre cime di colline, ho scorto invece davanti a me un altro laghetto idilliaco, adagiato sulla cima della collina e alimentato da un piccolo fiume che proseguiva il suo cammino verso un'altra valle e un'altro lago.
Era un paesaggio silenzioso e isolato dove potevo proiettare altri pensieri ed emozioni e mettere alla prova la mia idea di posto isolato e selvaggio.
La Palestina (oppure Israele) è troppo piccola per avere luoghi di evasione come questo.
Nelle Highlands la perdita di una cultura non è stata compensata da un'altra.
I proprietari terrieri che cacciarono i contadini non insediarono il loro popolo per sostituirli.
E così la terra è ridiventata quello che era: valli, fiumi e laghi deserti, che offrono agli escursionisti una vista magnifica su una terra incredibile e sembrano stare lì solo per essere ammirati.
Con quella terra stupenda davanti ai miei occhi, ho pensato ai tanti motivi per cui la storia del mio popolo mi fa arrabbiare e continua ad alimentare questa collera.
Quando cammino porto sempre con me un oeso enorme, che mi opprime e mi sfinisce.
Ma attraversando quella bella valle e salendo per quelle colline ho capito le cause della mia rabbia, liberandomene un po' alla volta: la rabbia di chi vive sotto occupazione straniera in una terra che è sempre meno accessibile ai non ebrei.
Camminando ho continuato a rasserenarmi e, arrivato in cima alla collina ansimante e senza fiato, mi sono accorto di essermi sbarazzato di gran parte di quel peso.
Mi sono fermato per riposare e mentre respiravo profondamente mi sono sentito liberato, con la mente leggera.
Quella lunga camminata mi aveva aiutato a scacciare la rabbia.
Sollevato e rinvigorito, ho pensato a quello che Robert Macfarlane scrive in "The wild places:"Siamo caduti e ci siamo rotti in mille pezzi, ma la natura può ancora restituirci a noi stessi".
Per questo continuo a tornare nelle Highlands.

mercoledì 28 aprile 2010

SCOZIA (LE "HIGHLANDS").

PERSONE RIMOSSE.

"Stia attento, il piatto è molto caldo", si è raccomandata la cameriera che ci ha servito.
Avevo ordinato la colazione vegetariana scozzese completa, l'ho divorata.
Mi sentivo carico e pronto ad affrontare una lunga passeggiata.
Mentre la cameriera raccoglieva i nostri piatti sporchi, ho fatto quattro chiacchiere.
All'inizio abbiamo parlato dei suoi cani.
Sono stato sorpreso quando mi ha detto di avere cinque cani da pastore.
"Come mai così tanti?.
"Badano alle pecore.
Mio marito ne ha cinquecento", ha spiegato con orgoglio.
"Allora siete ricchi?", ho chiesto.
"Oh no! Non sono nostre.
Mio marito fa solo il pastore".
E' stato questo scambio di battute a spingermi a scoprirne di più sulla storia delle Highlands.
Così ho saputo della grande tragedia che nel settecento e nell'ottocento ha segnato la vita degli abitanti del posto, creando tutti quei fantasmi con le loro mille storie da raccontare.
Quando siamo tornati a Glen Orchy per un'altra vacanza il tempo è stato più clemente.
Abbiamo cominciato una passeggiata della vecchia strada militare, costeggiando una foresta.
A sinistra scorre il fiume Kinglass.
In quel punto è più largo e le acque scorrono lente.
Il letto, poco profondo, è cosparso di pietre tonde e luccicanti.
Mi sono fermato per ammirare la vista meravigliosa del fiume che si getta in un'ampia valle.
Davanti a noi, fin dove arrivava lo sguardo, c'erano altri "loch", le colline e un sentiero che avrebbe richiesto giorni e giorni di cammino per arrivare in fondo.
Ho pensato al principale fiume della Palestina, il Giordano: è impossibile passeggiare lungo le sue rive, perchè il fiume è ingabbiato dietro il filo spinato dal punto in cui lascia il lago di Tiberiade fino al mar Morto.
I morbidi contorni delle verdi colline della Galilea in primavera,dove sono andato a passeggiare poco tempo fa.
Cercavo i villaggi dove un mio prozio si era nascosto durante la prima guerra mondiale per non farsi arrestare dalle forze ottomane.
Quei villaggi sono stati tutti distrutti nel 1948, quando è stato fondato lo stato di Israele.
Sgomberata dai suoi abitanti, ora quella terra è usata per coltivare orzo e grano.
Ho provato a immaginare come doveva essere sessant'anni fa, quand'era animata dal lavoro di semplici contadini, dai versi dei loro animali e dell'allegra vita del villaggio.
Ora, invece, quella terra è silenziosa, tranne che per il sussurro del vento tra gli steli del grano.

martedì 27 aprile 2010

SCOZIA (LE "HIGHLANDS").

IN SCOZIA era tutto nuovo per me: i paesaggi e le loro atmosfere, i colori tenui, così diversi dalla luce cruda e accecante delle colline palestinesi.
L'aria, satura d'acqua, è più pesante e fresca, mentre nei dintorni di Ramallah è secca, leggera e fragrante a causa delle tante erbe che crescono da quelle parti.
Le nuvole in Scozia si muovono rapidamente e il sole fa solo qualche breve apparizione.
Quando brilla attraverso le nubi spesse, le colline si riflettono nei "loch", i laghi.
Sulle nostre colline il paesaggio è più uniforme: i letti dei fiumi asciutti non riflettono nulla.
Non riuscivo a immaginare due paesaggi più diversi.
Quello scozzese è aperto e pieno d'acqua, quello palestinese è inframmezzato da strade e insediamenti ebraici, e per sei mesi all'anno è desertico.
Non avendo familiarità con la brughiera, procedo con cautela.
Non potevo sapere cosa mi sarebbe successo se avessi lasciato il sentiero: avrei potuto posare i miei piedi fiduciosi su un terreno melmoso e senza fondo, sprofondando come nelle sabbie mobili del deserto?
A cena quella sera, seduta a un altro tavolo, c'era una signora dall'aria maestosa.
Il cameriere la chiamava La signora.
Era una vedova e quel giorno festeggiava i suoi ottant'anni.
Veniva dalla città costiera di Helsenburgh ed era un'ospite abituale dell'albergo da molti anni.
L'unico cameriere, un uomo magro e sulla quarantina, pur essendo completamente ubriaco riusciva a fingere una grande deferenza nei suoi confronti.
Forse anche eccessiva, piegandosi e inchinandosi così tanto mentre la serviva da far cadere un po' di cibo sulla tovaglia immacolata.
La signora l'ha rimproverato con aria tirannica.
Il cameriere si è precipitato in cucina ed è riemerso con una bottiglia di vino rosso d'annata, presentandolo come un regalo della casa per il suo compleanno.
La signora ha accettato con molta classe e si è messa a sorseggiare il vino, diventando sempre più loquace.
"Dove andate a passeggiare domani"?, ha chiesto a Penny.
"Nella valle, prendendo il sentiero lungo il fiume".
"Io amo solo le cime", ha dichiarato La signora.
"Mio marito, quand'era vivo, arrivava a metà della salita.
A quel punto me lo lasciavo dietro e andavo avanti per conto mio.
Io sono una donna fatta per le cime ", si è vantata l'anziana signora, che a quel punto quasi non si reggeva più in piedi.
La conversazione è finita lì.
Non essendo evidentemente "fatti per le cime" come lei, eravamo considerati indegni e avevamo perso ogni interesse ai suoi occhi.
SCOZIA (LE "HIGHLANDS").

LE TERRE DEL SILENZIO.

"Le Highlands scozzesi viste dallo scrittore palestinese Raja Shehadeh, che ha scoperto inaspettate similitudini tra la brughiera e la Cisgiordania".

Sono nato in una terra di colline ricca di storie e abitata da un popolo tenace che vuole raccontare a tutti i costi.
Non sapevo che fosse lo stesso per le Highlands.
Con mia moglie Penny avevamo prenotato una stanza all'hotel Inveroran, a Glen Orchy, vicino al ponte che ha lo stesso nome.
Abbiamo scelto questo albergo perchè nel 1803 William Wordsworth e sua sorella Dorothy avevano alloggiato qui durante il loro viaggio nelle Highlands.
Eravamo sicuri che il grande poeta romantico sarebbe stato un'ottima guida per le passeggiate.
E' stato grazie a un inglese che ho conosciuto questi luoghi unici e particolari nel nord della Scozia.
Abbiamo preso un treno da Edimburgo a Bridge of Orchy, un'esperienza entusiasmante.
Non ho avuto molte occasioni di salire su un treno: usare le linee ferroviarie per spostarsi in Palestina o verso i paesi vicini non è più possibile dal 1948.
Quell'anno, la nascita dello stato di Israele ha causato l'interruzione delle linee di comunicazione tra le diverse zone delle terre arabe del Levante e verso quelle più meridionali dell'Hijaz e del Nordafrica.
Alla stazione ho avuto il mio primo incontro con i moscerini, degli insetti mai visti prima.
All'inizio ho pensato di avere qualcosa che non andava in me.
Mi prudevano la faccia, il collo, le mani e ho notato quelle creature microscopiche che mi volavano attorno.
Possibile che fosse tutta colpa loro?
Più agitavo le braccia e più mi assalivano.
Era insopportabile.
Mi sono precipitato fuori dalla stazione inseguito da una nube irritante d'insetti.
Dopo aver ammirato la natura incontaminata delle Highlands, ho avuto qualche incertezza a condividere la gratitudine di un abitante delle Highlands nei confronti dei moscerini: "Se non fosse per loro, i turisti avrebbero rovinato questi luoghi già da tanto tempo".
Abbiamo lasciato le valigie in albergo e siamo usciti subito per fare una passeggiata e sfruttare le poche ore di luce rimanenti.
Per la prima volta nella mia vita mi sono trovato in mezzo a una brughiera.
Sono stato avvolto da un profondo silenzio, diverso da qualsiasi altro.
Quello che colpisce non è l'assenza di suoni.
La brughiera, infatti, sembra respirare emettendo profondi sospiri, mentre un vento lieve attraversava l'erba e le felci impregnate d'acqua.
Io sono abituato al silenzio delle colline palestinesi vicino a Ramallah, la città dove sono nato.
Spesso mi siedo lì, all'ombra di un pino, per godermi il fruscio del vento che passa tra gli aghi profumati.
Quel suono ritmico e intermittente sopra la mia testa non dura mai a lungo.
Il gemito del vento nella brughiera, invece, è profondo e continuo.
Sembra arrivato da lontano per dar vita a una landa antica e desolata.
Il suono nasce in basso, quasi all'altezza dell'orecchio, e si diffonde sul paesaggio piatto, prima forte e poi debole, poi di nuovo forte, libero dall'intralcio degli alberi.
E' un suono triste, simile a un lamento.
Il rumore del vento è interrotto solo dallo scorrere dell'acqua.
Mi è tornato in mente un paesaggio molto simile: i ghiacciai, dove l'acqua scorre sotterranea e di cui si riesce a sentire il rumore solo ascoltando con attenzione.
Una volta, camminando sulle Alpi svizzere, stavo per avventurarmi su uno di questi ghiacciai.
Ho chiesto a una guida italosvizzera se fosse prudente.
"Cadi in un crepaccio ed è la fine".


venerdì 23 aprile 2010

SCOZIA (LE "HIGHLANDS").

INFORMAZIONI PRATICHE.

ARRIVARE.
Ryanair (ryanair.com) collega Bergamo e Roma con Glasgow (Prestwick).
EasyJet collega Milano Malpensa a Edimburgo.
Le tariffe delle due compagnie low cost variano in base al periodo prescelto.
Il prezzo di un volo dall'Italia (Klm, British Airways, Alitalia) parte da 167 euro a/r.
Il villaggio di Bridge of Orchy, nelle West Highlands, si può raggiungere con il treno, in pullman o in auto.
Da Edimburgo a Glasgow ci sono tre treni al giorno (due la domenica).
La linea di pullman Scottish Citylink ha quattro corse al giorno.
In auto, da Glasgow bisogna prendere l'autostrada M8 e poi la strada A82 in direzione Fort William per circa cento chilometri.

DORMIRE.
Nel villaggio di Glen Orchy, l'Hotel Inveroran (inveroran.com, 00441838 400 220) ha stanze a partire da 48 euro a persona.
Fuori stagione sono previste delle offerte speciali.
La colazione costa 7 euro e fuori stagione sono previste delle offerte speciali.


E' GIUSTO SAPERE:
Ho deciso di offrire a chi piace viaggiare (con la fantasia oppure in prima persona), una possibilità di scegliere degli intinerari prevalentemente avventurosi, che si distinguono per la loro diversità dai viaggi tradizionali.
Le descrizioni le traggo dal settimanale "INTERNAZIONALE" del quale sono abbonato ed affezionato lettore di tutti gli articoli che lo compongono.
Spero di fare cosa gradita a quanti mi leggeranno, ed auguro a tutti una piacevole lettura.
ERMANNO RARIS
PROFILO DELL'AUTORE E INDICE VIAGGI A INIZIO BLOG "ERMANNO RARIS".

mercoledì 21 aprile 2010

CILE (VALLE DELL' "ELQUI").

LA VECCHIA SCUOLA.

In realtà gli amici della poetessa erano i genitori di Dona Pinto.
Lei arrivava per bere il "mate" e per chiacchierare al fresco della veranda.
Tutto questo accadeva all'inizio degli anni trenta.
"Ricordate qualcosa del suo carattere?".
"Oh, era una donna meravigliosa", risponde Dona Pinto.
"Un grande cuore, molto gentile.
Ma era riservata, non particolarmente affettuosa.
Qualcuno la definiva una persona seriosa".
"Perchè secondo lei?.
"Ha avuto una vita tragica".
Il padre se n'era andato quando la futura poetessa era appena nata.
Alle superiori fu accusata di essere comunista per aver scritto un tema femminista e fu espulsa dall'istituto.
Poi l'amore della sua giovinezza si suicidò.
"Gabriela non si è più innamorata.
Niente figli suoi.
Solo tristezza".
Dona pinto si fa carico del dolore come se fosse il suo.
Anni dopo si suicidò anche il figlioccio della Mistral, che la scrittrice aveva cresciuto fin dall'infanzia.
"Pensate, i due uomini più importanti della sua vita si uccidono entrambi".
Controllo l'orologio, sono quasi le tre.
Mi congedo dalla vedova Pinto e mi dirigo di nuovo alla fermata dell'autobus.
Arrivato a Montegrande trovo le porte del museo aperte.
Betica, l'anziana curatrice, sta schiacciando un pisolino sulla sedia vicino all'ingresso.
L'edificio scolastico di mattoni ha due stanze.
Le lezioni si tenevano in quella davanti.
Le file di banchi di legno non sono state toccate, così come la lavagna incrostata di gesso e le mappe sbiadite del Cile sulle pareti.
E' come se gli alunni se ne fossero andati a ricreazione e non fossero mai tornati.
Le pareti della seconda stanza sono nude e imbiancate.
Ci sono tre letti dalla struttura di ferro, che danno alla stanza un'aria asettica, da ospedale.
Gli averi più miseri di Mistral tengono viva la memoria: una brocca di porcellana sbeccata, la macchina da cucire della madre, una cassapanca di legno, un rozzo lavandino e uno scuro dipinto religioso.
Mi giro per andarmene.
Chiedo a Betica se può consigliarmi un libro di poesie di Gabriela Mistral.
La curatrice, aiutandosi con il bastone, scorre tutte le opere pubblicate dalla scrittrice, le date di pubblicazione, le note biografiche e anche i dettagli delle traduzioni.
E il suo preferito?
Betica ha una vecchia edizione della prima raccolta, che la Mistral scrisse quando aveva solo 19 anni.
Fantastico, come s'intitola?
"Desolazione", annuncia Betica con uno strano entusiasmo.
"Noi donne cilene soffriamo molto, sapete?".
CILE (VALLE DELL' "ELQUI").

L'OCCORRENTE PER IL TE'.

Arrivato davanti a un bungalow, con una porticina che sembra fatta per i folletti, busso e dopo un minuto sento un rumore di passi struscianti provenire da una finestra aperta.
La porta si apre leggermente e lo spiraglio rivela un naso grinzoso che spunta nella semioscurità.
"Dona Pinto?", domando al naso.
"Sì, chi la vuole?".
Ha la voce fragile e spezzata.
"Mi manda Gabriela", spiego.
"Gabriela chi?", vuole sapere il naso.
"Gabriela del negozio di succhi di frutta".
"Mai sentita".
"Mi ha detto che eravate amica di Gabriela Mistral.
Ha cinque minuti per parlare?".
Lentamente la porta si apre, rivelando che il naso appartiene a una vecchietta minuta in pantofole e con un vestito di tela.
L'interno della casa trasmette un piacevole senso di fresco.
Dona Pinto mi guida nella veranda che, a differenza dell'interno ombreggiato, risplende della luce del sole.
Le chiedo se posso vedere la "tazza da mate" da cui ha bevuto Gabriela Mistral durante la sua ultima visita.
Dopo essere andata in un'altra stanza, torna con un cesto di vimini.
Scostando una tovaglietta a scacchi, ingiallita dagli anni, si può vedere tutto l'occorrente per il tè pomeridiano di una vecchietta di 75 anni: zuccheriera in porcellana cinese, recipiente intonato per le foglie di "mate" e una cannuccia di metallo.
"Mi chiamava "hijita" (figlioletta) e andavamo a passeggiare insieme lungo il fiume".
"Ah, quindi eravate molto amiche".
"Si, certo.
Eravamo ottime amiche.
All'epoca avevo quattro anni".

martedì 20 aprile 2010

CILE (VALLE DELL' "ELQUI").

LE DONNE SOLE.

L'omonima della poetessa mi informa che dirige un ostello.
Le rispondo che ora a me serve qualcosa da bere, non un letto.
Purtroppo, però, non me ne libero perchè lei ribatte che ha anche un bar dove prepara dei succhi di frutta.
Stremato dalla sua esuberanza e assetato, mi lascio condurre al Cactus bar di Gabriela.
Nel tempo che ci vuole per preparare un frullato di banana e arancia, mi racconta la storia della sua vita.
E' una ragazza madre e si è trasferita qui a Pisco Elqui vent'anni fa "per un capriccio".
Stava leggendo una rivista femminile quando le capitò un articolo sulla placida vallata.
Secondo la rivista il centro magnetico della terra si era spostato dagli altopiani del Tibet alle valli dell'Elqui.
Gabriela era un po' hippy e decise di dare un'occhiata.
"Anche tu sei stato attratto qui dalle energie?", mi chiede, facendo finalmente una pausa per prendere fiato.
"No, sono qui per Gabriela Mistral".
Mi interessa scoprire se la poetessa è un modello di riferimento per le donne.
"Ah, allora devi sapere che qui a Pisco Elqui vivono moltissime donne sole".
Lei è una di loro e questo non la preoccupa, visto che soffrirà meno e vivrà più a lungo.
A quanto pare, l'alta percentuale di morti tra gli uomini è dovuta al fatto che fumano molta erba.
"La chiamano ' la maledizione di Gabriela Mistral '.
Si riferiscono alla solitudine delle donne, non all'erba".
Gabriela mi dice che devo assolutamente andare a trovare la vedova di Pinto, se voglio saperne di più su Mistral.
Pare che da giovane sia stata una buona amica della scrittrice.
Gabriela mi disegna una mappa per arrivarci.
Nel villaggio ci sono soltanto due strade, ma l'opera richiede comunque cinque minuti e un intero foglio A4.
"Dille che ti ho mandato io", mi suggerisce prima di salutarmi.

lunedì 19 aprile 2010

CILE (VALLE DELL' "ELQUI").

POESIA, MATE E PISCO SOUR.

"In Cile tra le montagne e i vigneti della valle dell'Elqui.
Nei luoghi dov'è cresciuta la poetessa Gabriela Mistral, premio Nobel per la letteratura".

L'allegro autista dell'autobus m'invita a sedermi davanti insieme a lui.
"Faccio questa strada tutti i giorni e ancora mi prende qui", dice, fischiando dalla meraviglia e battendosi sul cuore talmente forte che gli esce un rantolo.
Il paesaggio bucolico della valle dell'Elqui ha ispirato allo stesso modo anche Gabriela Mistral.
Nata nel 1889 da una mamma sarta e da un padre che di lì a poco sarebbe diventato latitante, Mistral è diventata la più importante poetessa del Cile.
E' stata anche la prima donna sudamericana a vincere il premio Nobel, un'affermata diplomatica, una pedagoga e una sostenitrice dei diritti delle donne.
La scrittrice non ha mai dimenticato le montagne aspre e le valli ricche di vegetazione della sua infanzia, che ha citato spesso nelle sue opere.
Quando morì, nel 1957, il paese tirò le tende e restò in lutto per tre giorni.
Guardo sfilare i vigneti.
Più avanti la strada s'interrompe e termina la valle.
Davanti a me c'è la cordigliera delle Ande, coperta dalla neve e dal silenzio.
La valle dell'Elqui potrebbe essere una poesia: penso a interi sonetti che scivolano lungo i suoi fiumi e a rime incise sui gambi delle viti.
I turisti stranieri tendono a trascurare questo angolo del Cile rurale.
La valle dell'Elqui non ha il fascino del deserto di Atacama, nel nord, o dei ghiacciai blu cobalto, a sud.
Il Cile somiglia a un serpente se si guarda una cartina ruotandola di 90 gradi.
E i turisti sono più attratti dalle sue estremità: l'occhio protuberante (il nord) e la coda schioccante del rettile (il sud).
Il luogo dove nacque Mistral somiglia a un topo intrappolato nella pancia.
L'autobus percorre la strada in discesa fino al tranquillo e imperturbabile villaggio di Montegrande.
Gabriela Mistral trascorse i primi anni della sua vita in questo paesino minuscolo, occupando la stanza sul retro della scuola dove insegnava la sorella.
Oggi l'edificio è un museo dedicato alla poetessa.
Ma è mezzogiorno e le serrande sono ancora abbassate.
Il mio amico autista mi consiglia di proseguire fino al prossimo villaggio.
"Il museo riapre dopo l'ora di pranzo.
Ti conviene tornarci alle tre del pomeriggio".
Decido di proseguire con lui lungo la strada tortuosa che conduce a Pisco Elqui.
L'autista mi lascia all'angolo di una piazza dall'aria allegra piena di fiori e palme.
L'occhio mi cade sulla Distilleria Mistral Pisco, a metà di una curva sulla strada che mi stà di fronte.
Vado verso l'entrata della distilleria per assaggiare un sorso del famoso liquore del posto.
Il breve tragitto che mi separa da un bicchiere di pisco sour s'interrompe improvvisamente di fronte a una signora molto loquace: il suo nome è Gabriela.

CILE (VALLE DELL'ELQUI").

INFORMAZIONI PRATICHE.

ARRIVARE.
Il prezzo di un volo dall'Italia (Iberia, Tam, Air Europa) per Santiago parte da 880 euro a/r.
Per andare nella valle dell'Elqui bisogna raggiungere La Serena, a 470 chilometri a nord di Santiago.
Da lì si percorrono i 62 chilometri della CH 41, la ruta internacional Gabriela Mistral, attraversando coltivazioni di papaya e vigneti.

CLIMA.
Le temperature della valle dell'Elqui oscillano tra i 18 e i 24 gradi per gran parte dell'anno.
A giugno e luglio la temperatura diminuisce e piove più spesso.

GITE.
La strada stretta che si snoda nella parte bassa della valle è perfetta per chi ama andare in mountain bike (exchile.com).
In questa zona il cielo è molto limpido e si consiglia l'osservatorio Mamalluca (mamalluca.org).
Nei pressi di Vicuna c'è il museo dedicato a Gabriela Mistral (calle Gabriela Mistral 759, 0056 51 411 223).
A MIO AVVISO E' UTILE SAPERE CHE:
In Italia esiste una attività che da più di 35 anni produce e commercializza "BANDIERE E RELATIVI ACCESSORI", da utilizzo sia per interni che per esterni, partendo dalle bandierine da tavolo e arrivando fino ai pennoni in alluminio oppure in vetroresina da mt. 5 a mt. 40.
L'attività in oggetto è la "B.A.F.A. BANDIERE".
(vedi catalogo in internet).
PROFILO DELL'AUTORE E INDICE VIAGGI A INIZIO BLOG "ERMANNO RARIS".

domenica 18 aprile 2010

TAIWAN.

FINALE HIGH-TECH.

A differenza di altri paesi asiatici, Taiwan non è un luogo di grandi contrasti.
Tutto è più o meno moderno, le tracce del suo passato non sono molto visibili e anche i templi sembrano nuovi.
Non si vedono grandi zone di povertà e non c'è neanche, come in Thailandia, un contrasto tra l'opulenza del capitalismo sfrenato e i monaci buddisti che camminano in sandali e chiedono l'elemosina per strada.
Qui il rapporto tra sacro e profano è più naturale, e perfino la tacnologia entra senza pudore nei templi, dove si vedono schermi giganti a cristalli liquidi e monaci che cercano nel loro blackberry una parola in inglese o rispondono senza problemi al cellulare davanti a Budda.
Ci sono macchinette a moneta che emettono foglietti rossi con le predizioni taoiste.
Nei bar i clienti guardano in tv i risultati della giornata borsistica di Taipei per poi comprare azioni, con lo stesso spirito di chi scommette ai cavalli per divertimento.
C'è anche un giornale per ragazzi chiamato The Mandarin Children News.
Questa è la vita sull'isola di Formosa, il punto più lontano del pianeta per la provincia omonima in Argentina.

giovedì 15 aprile 2010

TAIWAN.

L'EDIFICIO PIU' ALTO DEL MONDO.

Il Taipei 101 è l'edificio più alto al mondo, ma lo sarà ancora per poco.
Entra per diversi metri nello spazio aereo della città che non ha tanti grattaceli.
L'edificio somiglia a una pagoda postmoderna e per arrivare fino in cima ci sono degli "ascensori proiettile" che raggiungono i 45 chilometri l'ora.
I più veloci del mondo.
Dalle enormi finestre del Taipei 101, la sera, si osserva lo spettacolo della modernità nella sua massima espressione: un orizzonte di luci e ombre in cui si intravede appena lo scheletro di una città vuota e spersonalizzata, come un luna park fantasma dove le giostre sono in movimento ma non c'è nessuno.
E' l'immagine di una città morta.
Il panorama dalla cima al 101 dev'essere simile a quello di cui gode un dio, ma in realtà si vede tutto e non si vede nulla.
Ecco perchè ci sono tantissimi telescopi a moneta, che spesso violano l'intimità delle case.
Dagli altoparlanti escono le note di Miles Davis.
Nel negozio di souvenir commesse delicate come geishe vendono i gadget dedicati al grattacielo: cappellini, portachiavi, modellini dell'edificio, borse, scatole, quaderni, portamatite, cartoline con fotomontaggio del turista, bicchierini da liquore, tazze da tè e tazzine da caffè, agende, spille, francobolli, tappetini per mouse, ombrelli e calendari.
In linea con la tecnologia dell'edificio, qui non ci sono guide in carne e ossa, ma solo audioguide.
Il registratore mi spiega subito che "il Taipei 101 è il simbolo della volontà di andare oltre la perfezione".
Mi sembra più credibile quando spiega che l'edificio è alto 509 metri, ci sono 380 pali di stabilizzazione che arrivano 80 metri sotto le fondamenta e che otto enormi pilastri di acciaio riempiti di cemento garantiscono la sua stabilità.
Inoltre le finestre di vetro possono sopportare un impatto di otto tonnellate.
Ma la cosa più sorprendente è il grande ammortizzatore eolico installato per contrastare la costante oscillazione del gigante, che cambia a seconda di come soffia il vento.
Si tratta di una grande palla sostenuta da cavi di acciaio che funziona come un pendolo e che tiene dritto l'edificio anche in caso di terremoto.
La palla è coperta da 41 strati di acciaio, ha un diametro di 5,5 metri e pesa 360 tonellate.

TAIWAN.

LA DONNA ERA COMPLETAMENTE CALVA e aveva con sè diverse borse del supermercato piene di frutta.
C'erano mele, ananas e frutti esotici da lasciare come offerta.
Mentre la donna sistemava un casco di banane su un tavolo, il marito le ha scattato una foto.
Poi ha fatto partire una musica liturgica su un piccolo registratore e sono cominciati i preparativi per la cerimonia.
I due erano i "maestri" responsabili del tempio, che mi hanno spiegato che quel luogo è dedicato al dio del denaro e della salute.
"Se vuole guadagnare molti soldi deve pregare questo dio", mi hanno detto.
Il rapporto con gli dèi funziona più o meno così: si chiede qualcosa a un certo dio o agli antenati della propria famiglia, venerati in ogni casa di fronte a un altare dove è poggiato un albero genealogico che può arrivare fino alla ventesima generazione.
E la risposta del dio o dell'antenato arriva usando due bastoncini che hanno una parte concava e l'altra convessa.
Se lanciando i due legnetti entrambi cadono dalla parte concava, la risposta è "no".
Se uno cade dalla parte concava e l'altro da quella convessa, la risposta è "si".
Se entrambi cadono dalla parte convessa, la risposta equivale a una risata di dio e si possono tirare ancora una volta i bastoncini.
E' quello che è successo a Lulù, la guida e interprete che mi ha accompagnato nella visita, che con espressione angosciata per il sarcasmo del dio invocato ha pregato di nuovo a lungo prima di tirare un'altra volta i bastoncini.
Ma ha ottenuto la stessa risposta evasiva e a quel punto non aveva altre opportunità.
Ha approfittato della presenza della "maestra" del tempio per chiederle di fare un'eccezione.
Le regole, in realtà, variano da tempio a tempio.
In questo caso la donna ha preso i due bastoncini e ha pregato per addolcire il Budda Pekong emettendo dei suoni gutturali che sembravano venire dall'oltretomba, poi ha lanciato con molta sicurezza e ha ottenuto la risposta affermativa.
La donna ha riso di gusto, come se volesse sfoggiare il potere della sua magia davanti a un occidentale incredulo.
Lulù se n'è andata contenta, avendo ascoltato "dalla bocca di dio un sì" che era quello che voleva sentirsi dire.
Secondo i dati ufficiali, a Taiwan ci sono 4.037 templi buddisti e 8.604 taoisti e molti dèi sono comuni alle due religioni.
Tra loro c'è il Budda Pekong, che è il dio del denaro e della salute nel pantheon taoista.
TAIWAN.

IL VALORE DEL TEMPO.

I taiwanesi hanno un rapporto molto speciale con la tecnologia, e il progresso in questo settore è anche motivo do orgoglio nazionale.
Le aziende dell'isola producono l'83 per cento dei computer portatili del mondo, ma la massima soddisfazione è riuscire, proprio anche grazie alla tecnologia, a piegare la forza della natura.
L'ho capito quando mi hanno portato a vedere il tunnel Hsuehshan, a sudest di Taipei.
Un'esperienza che ha superato ogni aspettativa.
Non tanto per il tunnel in sè, ma per il valore che a Taiwan ha il tempo.
Il tunnel è lungo 12,9 chilometri e attraversa una grande montagna rocciosa.
La sua costruzione è stata una prodezza ingegneristica: è stato scavato con un enorme trapano che ha bucato la montagna da parte a parte.
I lavori sono durati quindici anni e sono costati 15 morti e 1.800 miliardi di dollari.
Oggi grazie al tunnel ci vogliono solo 40 minuti per andare da Toucheng a Taipei.
Prima bisognava prendere l'autostrada che aggira la montagna e da una città all'altra ci volevano due ore di viaggio.
Il risparmio del tempo e la puntualità sono considerate due caratteristiche molto importanti.
Le interpreti che mi hanno accompagnato nelle mie tre settimane a Taiwan si presentavano la mattina nella hall dell'albergo alle nove in punto, come se aspettassero il momento esatto nascoste dietro a un vaso.
"La puntualità è quasi un'ossessione per noi e chi non è puntuale è malvisto", mi ha spiegato Amy, una di loro.
Tutta questa tecnologia e questa razionalità economica non sono in contraddizione con la religione, anzi.
Una domenica pomeriggio, nella città di Kaoshiung, passeggiavo in un grande zuccherificio trasformato in un museo (a Taiwan non si produce più lo zucchero) quando mi sono imbattuto in un tempio taoista molto piccolo, una specie di piccola casa con una sola stanza.
Davanti c'erano due colonne rosse dipinte con degli ideogrammi neri e una serie di lampade sferiche di carta rossa attaccate al soffitto.
Dopo poco è arrivata una coppia di ragazzi in moto.
Lui si è tolto il casco e senza spegnere il motore è entrato nel tempio, mentre lei lo aspettava fuori.
In tre minuti il ragazzo ha acceso dieci bastoncini di incenso, si è inginocchiato, ha fatto cinque inchini e ha sistemato i bastoncini sulla sabbia di un incensiere di bronzo.
Fatto questo i due si sono rimessi il casco e se ne sono andati.
Pochi istanti dopo è arrivata un'altra coppia meno giovane, sempre in moto.

mercoledì 14 aprile 2010

TAIWAN.

LA TIGRE NON SI FERMA.

"A Taiwan la religione convive con la tecnologia: nei templi ci sono gli schermi a cristalli liquidi e lo sviluppo industriale inorgoglisce tutto il paese"

Se dalla provincia argentina di Formosa cominciamo a scavare senza mai fermarci, arriviamo sull'isola di Taiwan, chiamata anche Formosa.
Sembra uno scherzo, ma diversi taiwanesi ne parlano molto seriamente, perchè le coordinate geografiche sono esattamente agli antipodi rispetto a quelle dell'isola che i portoghesi giudicavano molto "formosa" (bella) nel cinquecento.
Proseguendo con il paragone, il territorio della provincia argentina di Formosa è il doppio della controparte orientale.
In 36.200 chilometri quadrati Taiwan ospita 23 milioni di abitanti che sfruttano fino all'ultimo pezzo di terra disponibile (è il secondo paese per densità di popolazione dopo il Bangladesh).
Il 63 per cento dell'isola è montuoso, quindi quasi inutilizzabile.
La strategia di crescere in altezza con i grattacieli, come a Hong Kong, non prende piede, perchè Taiwan si trova su una faglia che rende tutta l'isola una zona sismica.
Quelli che un tempo erano piccoli paesi, sono cresciuti e si sono uniti trasformandosi in città.
Per sfruttare al massimo il territorio, i taiwanesi hanno costruito i nuovi cimiteri in verticale, dentro degli edifici che in alcuni casi sono di venti piani.
Anche lo spazio sottoterra non è sprecato: in tre città c'è la metropolitana e Taipei, la capitale, ha anche un grande mercato di abbigliamento sotterraneo.
Ma lo sforzo di usare fino all'ultimo centimetro di terra è ancora più evidente quando si viaggia nell'entroterra, dove piccole cittadine si alternano a risaie di appena quaranta metri quadrati che a loro volta si spingono fino alle periferie urbane.
Altre volte è il muro di una fabbrica a segnare la fine di una risaia.
I mattoni che sfiorano le foglie allungate del riso sono un segno della lotta costante tra la campagna e le fabbriche che a Taiwan hanno già vinto da un pezzo.
Taiwan è una delle "tigri asiatiche" emerse alla fine del novecento, e ha un livello di industrializzazione e di sviluppo tecnologico tra i più alti del mondo.
Per questo l'agricoltura è stata ridotta al minimo e il cibo è importato.
I terreni coltivabili sono quasi spariti e ovunque spuntano città e fabbriche sempre più grandi.
Forse nel prossimo futuro ci sarà un'unica grande città.

TAIWAN.

INFORMAZIONI PRATICHE:

ARRIVARE.
Il prezzo di un volo (Cathay Pacific, Thai, Klm) dall'Italia per Taipei parte da 874 euro a/r.

CLIMA.
Taiwan ha un clima subtropicale.
La stagione dei tifoni va dalla fine dell'estate alla metà dell'autunno.
L'estate è calda e umida.

QUANDO ANDARE.
Il periodo migliore per andare a Taiwan è fine autunno: il clima è più secco, l'inquinamento atmosferico ai suoi minimi e anche i prezzi sono bassi.
Luglio, agosto e il capodanno cinese sono considerati alta stagione.

DORMIRE.
Piantare la tenda in un campeggio costa 4 euro.
Una notte in un bed and breakfast costa tra i 40 e gli 80 euro.
Di solito i b&b sono migliori e meno cari degli alberghi di livello medio.
Gli alberghi di lusso sono costosi, ma durante la bassa stagione ci sono delle buone offerte.

MANGIARE.
Un pasto costa tra i 5 e i 20 euro.
Una porzione di "noodle" o di "dumpling" costa un euro.

E' GIUSTO SAPERE:
Ho deciso di offrire a chi piace viaggiare (con la fantasia oppure in prima persona), una possibilità di scegliere degli intinerari prevalentemente avventurosi, che si distinguono per la loro diversità dai viaggi tradizionali.
Le descrizioni le traggo dal settimanale "INTERNAZIONALE" del quale sono abbonato e affezionato lettore di tutti gli articoli che lo compongono.
Spero di fare cosa gradita a quanti mi leggeranno, ed auguro a tutti una piacevole lettura. ERMANNO RARIS
PROFILO DELL'AUTORE E INDICE VIAGGI A INIZIO BLOG "ERMANNO RARIS".

martedì 13 aprile 2010

NEPAL (PIANURA DEL "TERAI").

IL CERCHIO E IL FUOCO.

La sera le donne cucinano all'aperto, mentre gli uomini si lavano alle fontane azionate da pompe a mano e gli animali consumano il foraggio nelle stalle.
Quando siamo riuniti intorno al fuoco per il secondo pasto della giornata, verso le sei del pomeriggio, chiedo all'anziana del villaggio, Jaymati, spiegazioni sulle origini ariane delle donne rana tharu.
Dopo una pausa per tirare qualche boccata dalla sua pipa ad acqua, mi risponde: "La bisnonna della mia bisnonna ricordava ancora i racconti dei nostri antenati, arrivati qui dal nord dell'India molto tempo fa.
Durante una guerra, le principesse e i dignitari di diversi clan e feudi (rana vuol dire regina in hindi) furono allontanati dall'India per mettersi al sicuro con il loro seguito, composto da serve, gioielli e greggi.
Trovarono degli spazi disponibili nelle grandi foreste allora vergini della pianura del Terai, e si stabilirano qui.
I loro compagni, uccisi o prigionieri, non riuscirono mai a raggiungerle.
Stanche di aspettare, le principesse rana finirono per prendere marito tra gli uomini dell'etnia tharu, il popolo indigeno del Terai.
Così è nato il nostro popolo rana tharu".
Questo popolo, composto da circa sessantamila persone, conserva le sue differenze culturali, come la sopravvivenza dei riti animistici e un residuo di matriarcato, che riguarda soprattutto la proprietà dei beni e del bestiame.
Nei giorni successivi cerchiamo di moltiplicare i contatti con i rana tharu, sparsi in una decina di località che si trovano nella zona sudovest del Terai.
In alcuni villaggi riusciamo a vedere delle case splendidamente decorate da sculture murali tradizionali.
Spesso, però, questi bassorilievi si perdono perchè il clima tropicale costringe a restaurare spesso i muri fatti di argilla.
Galli, mucche o figure geometriche tendono così a diventare sempre più rare.
Ai lati delle strade ogni tanto si vedono delle capanne.
Ci abitano i rana tharu liberati da poco dalla schiavitù degli usurai che li aveva incatenati da generazioni.
E' il kamaiya, il lavoro coatto svolto per ripagare i debiti ereditati dai genitori.
Il nuovo governo maoista ha abolito questo costume, insieme alla monarchia, e ha promesso di assegnare delle terre e di aiutarli a dissodare i loro terreni.
Perchè si rifacciano una vita da uomini e donne liberi.
Perchè il loro esilio lontano non si trasformi in schiavitù permanente.



NEPAL (PIANURA DEL "TERAI").

ESIBIZIONI CANORE.

Siamo appena rientrati e un gruppo di ragazzini sorridenti indica l'estremità del villaggio, dove risuonano zufoli, cembali e tamburi.
Nel cortile di una fattoria di uno degli anziani si svolgono le prove della danza di primavera.
Questa successione di festeggiamenti, chiamata "holi", celebra ogni anno nel subcontinente indiano il plenilunio di marzo, il ritorno della primavera e la fertilità.
E' la festa principale dei rana tharu.
Gli abitanti del villaggio compiono innanzitutto il rito della "tika" una sorta di pastiglia sacra attaccata in mezzo agli occhi, preparata con escrementi di vacca mescolati a cenere. Inoltre tutti vanno solennemente a rendere visita al capo del villaggio.
Ci sono dei banchetti a base di carne di mucca, maiale e capra, e poi ci sono le esibizioni canore e le danze per rinsaldare i legami della comunità.
I festeggiamenti durano otto giorni e gli spettacoli musicali sono di diverso genere.
C'è la pantomima: un uomo travestito da donna, il Sumla Rana, volteggia come un derviscio per dimenticare le vessazioni che accompagnano la sua condizione umana.
C'è anche il giro del vicinato: gruppi di donne suonano le tabla di casa in casa e raccolgono offerte di cibo.
Le più importanti nascono dalla tradizione orale: sono le "kalakhar" (danze in cerchio), in cui due gruppi di tre o quattro donne si tengono per le braccia e girano in tondo, cantando il lavoro dei campi, le preoccupazioni domestiche, la nostalgia del passato e le inquietudini del futuro.
Gli uomini, musicisti o danzatori, a volte si uniscono a loro, lanciando ammiccamenti e giochi di parole scabrosi.

venerdì 9 aprile 2010

NEPAL (PIANURA DEL "TERAI").

LA PESCA NEL FIUME.

Alle cinque e mezzo del mattino fa freddo e c'è molta umidità.
La notte è stata breve , tra l'autista che russava, i cani che si azzuffavano continuamente e gli accessi di tosse del nonno.
A stomaco vuoto partiamo con Pradesh in una bruma gelida, attraverso la grande pianura ancora immersa nell'oscurità.
Il cammino è difficile: siamo in equilibrio su creste di terra friabile o dentro i campi arati e soffici, intervallati da zolle di terra indurita.
Da tutti i lati risuonano grida e fischi, ma la fitta nebbia impedisce la visibilità.
La scena ha qualcosa di surreale, sembra di stare dentro un film di Tim Burton.
Le sagome dei contadini che arano il terreno escono a poco a poco dal limbo con le loro coppie di zebù o di bufali, mentre l'alba compare dietro gli alberi.
L'immensa savana è segnata da alcune porzioni di terreno coltivate.
Una scacchiera animata da decine di tiri di buoi che vanno e vengono con una flemma tutta mattutina.
Lavorano dalle quattro del mattino, per approfittare delle ore più fresche e dell'umidità della terra, più facile da arare.
Tornando verso il villaggio visitiamo la scuola del signor Debraj, in un granaio pieno di tarli, il negozio di Rajindra Rana, che vende il tè e ha il telefono, il pollaio modello-industriale di Bomna Rana-una "tecnologia importata dagli Emirati Arabi" dove il proprietario ha lavorato come bracciante per una stagione, come molti nepalesi.
Tutti ci accolgono con gentilezza.
Nei cortili delle fattorie assistiamo alla mungitura degli zebù, alla macinazione dei cereali con un mortaio azionato a piede e alla riparazione delle reti da pesca.
Vicino a una casa "tappezzata" da escrementi di mucca messi a seccare per usarli come combustibile, alcune donne si muovono intorno a uno strano cappello ornato di nastri multicolori: è il "chaturi", decorazione tradizionale delle portantine usate dagli uomini durante i matrimoni.
Birchi Rana ci spiega che suo figlio si sposerà tra poco e che quindi sfilerà nel villaggio portato dagli amici.
Verso le nove del mattino torniamo dai nostri ospiti, per il primo dei due pasti della giornata, il solito ma sempre ottimo "dal bhat" (riso e lenticchie).
Dopo un po', risate e chiacchiere attirano la nostra attenzione: un gruppo di donne si dirige verso il fiume, portando sulle spalle delle strane reti che sembrano aquiloni.
In un'atmosfera festosa costeggiano in fila indiana i campi di colza.
Una volta arrevate al fiume piantano le reti nel punto più stretto del corso d'acqua, formando una nassa impermeabile.
Le pescatrici non devono far altro che risalire il fiume per qualche centinaio di metri, per poi ridiscenderlo a ranghi serrati, camminando sbattendo i piedi e agitando le braccia nell'acqua.
I pesci si precipitano nelle reti che le rana tharu tirano su insieme, mettendo il pescato nelle zucche appese alla cintura.
Il pesce arricchirà il "dal bhat" della sera, fornendo anche qualche proteina.
Nelle vicinanze, fanno il bagno dei bufali.
Emerge una serie di froge, di occhi e di orecchie che uno sguardo distratto potrebbe scambiare per quelli di una colonia d'ippopotami


giovedì 8 aprile 2010

NEPAL (PIANURA DEL "TERAI").

LE ESILIATE DELLA GIUNGLA.

"In Nepal, nei villaggi della pianura del Terai.
Qui vivono i rana tharu, una comunità nata da un gruppo di principesse indiane scappate secoli fa da una guerra nel nord dell'India"

Penetriamo lentamente in una strana foresta che cambia aspetto continuamente.
Lì si nasconde Kalagaudi, villaggio rana tharu.
E' un popolo discreto ed enigmatico, da non confondere con i Rana, la dinastia di primi ministri che hanno regnato per un secolo sul Nepal, tra il 1845 e il 1953.
Abbiamo viaggiato tutto il pomeriggio verso ovest, partendo da Nepalganj, la grande città del sud del Terai, un'immensa pianura tropicale che forma la parte meridionale del Nepal.
Da una ventina di chilometri la strada si è ridotta a una serie di solchi sommersi dal fango.
La nostra auto si ferma davanti a una fattoria di mattoni da argilla e paglia.
Gli abitanti stanno dormendo all'aperto sullo "charpai", una rete di striscie di cuoio tese su un telaio di legno (quattro piedi).
Il nostro arrivo scatena una grande agitazione: cani che abbaiano, persone assonnate che si rivestono velocemente e ci corrono incontro.
Le donne accendono un fuoco, sbucciano cipolle in un batter d'occhio, mettendo a cuocere il "dal" (lenticchie).
Poco dopo ceniamo seduti per terra su una stuoia, mangiando il riso con le mani alla luce delle candele.
Niente piatti, niente tavolo, niente tovaglioli.
Le parole sono rare, ma gli sguardi s'illuminano di curiosità e i sorrisi accendono i volti.
Abbiamo la fortuna di essere arrivati fin qui insieme a Pravesh Rana, che è un membro della famiglia.
E' il primo abitante del villaggio che "ce l'ha fatta" perchè è l'unico a non fare il contadino e a vivere fuori della comunità, anche se non parla una parola d'inglese.
Pravesh fa il poliziotto a Nepalganj ed è l'orgoglio della famiglia e del suo villaggio.
La comunità sopravvive nell'autarchia quasi totale, in una zona che il nostro interprete definisce "il luogo più solitario del Nepal profondo".
Gli uomini sono vestiti in modo anonimo o all'occidentale, ma la maggior parte delle donne sfoggia ancora il costume tradizionale.
Abiti cangianti fatti con pezzi di stoffa cuciti insieme, patchwork luminosi che fanno risaltare i grossi bracciali d'argento intorno a caviglie e polsi, oltre ai tatuaggi su braccia e gambe.
Quando abbiamo finito di mangiare ci avvolgiamo nelle coperte allineate sulla veranda.
NEPAL (PIANURA DEL "TERAI").

INFORMAZIONI PRATICHE.

ARRIVARE.
Il prezzo di un volo dall'Italia (Air India, Emirates, Lufthansa) per Kathmandu parte da 793 euro a/r.
Dalla capitale del Nepal ci sono voli quotidiani per Nepalganj, capitale del Terai.
Il costo è 230 euro a/r.
Da Nepalganj ci vogliono cinque ore di macchina o di autobus per arrivare nei distretti di Dekaboli e Kailali, dove si trova la maggior parte dei villaggi rana tharu.

GUIDA.
Se non si parla nepalese è meglio prendere una guida-interprete.
Si può contattare a Kathmandu o a Nepalganj.
Il costo è 25 euro al giorno per quella anglofona e 35 euro per quella francofona.

CLIMA.
Il periodo migliore va da novembre a marzo, prima del caldo e della stagione delle piogge.

DORMIRE.
L'Hotel Batika (snipurl.com/sm6jb), in zona tranquilla alla periferia di Nepalganj, offre camere da 20 euro a notte e una cucina tradizionale di qualità.
A MIO AVVISO E' UTILE SAPERE CHE:
In Italia esiste una attività che da più di 35 anni produce e commercializza "BANDIERE E RELATIVI ACCESSORI", da utilizzo sia per interni che per esterni, partendo dalle bandierine da tavolo e arrivando fino ai pennoni in alluminio oppure in vetroresina da mt. 5 a mt. 40.
L'attività in oggetto è la "B.A.F.A. BANDIERE".
(vedi catalogo in internet).
PROFILO DELL'AUTORE E INDICE VIAGGI A INIZIO BLOG "ERMANNO RARIS".
COLOMBIA (ISOLA DI "PROVIDENCIA").

MENU' DI PESCE.

Providencia è fuori dalla rotta degli uragani che di solito attraversano Cuba, la Florida e le Antille, e poi gli edifici bassi e l'architettura locale sopportano i temporali molto meglio dei palazzoni stile Cancun che deturpano il resto dei Caraibi.
Durante i quattro giorni passati lì, la vita dell'isola mi ha contagiato con le sue piacevoli abitudini.
Tutti se ne vanno in giro sui motorini e la cena è sempre a base di pesce alla griglia con riso e fagioli.
Sulla spiaggia, la gente del posto ha sempre tempo per un sorriso e per fare quattro chiacchiere mentre ripara le barche o le reti da pesca.
Al crepuscolo, assisto a un piccolo miracolo: sono arrivato a Providencia nel periodo della migrazione dei granchi e ogni sera intorno alle sette migliaia di granchi neri, enormi e spaventosi, escono dal bosco per andare a depositare le uova sulla spiaggia.
Un esercito di crostacei si affolla sulla strada costiera (una barriera tiene lontane le auto) bisticciando per un pezzo di terra o cercando di arrampicarsi sul marciapiede.
E' uno spettacolo incredibile.
Providencia conferma la mia prima impressione paradisiaca.
Anche se ogni isola dei Caraibi cerca di vendere al visitatore la fantasia dell'Eden in terra: "In molti cercano di comprare terreni per costruire alberghi multipiano e resort di lusso", mi spiega la guida Jennifer Ramirez, "ma noi ci battiamo per impedirglielo.
Non sarà facile, ma vogliamo gestire l'isola a modo nostro e ai nostri ritmi".
Il ritmo è tutto a Providencia.
Non ricordo l'ultima volta che sono riuscito a staccare la spina fino a questo punto.
Immaginate un posto dove il cellulare non prende, non ci sono internet cafè tranne che in alcune zone di città, niente grandi negozi, niente chef, niente tv in camera.
Il meno è più, il niente è tutto.
Providencia di nome e di fatto.
Per molti anni il relativo isolamento della Colombia ha permesso a quest'isola di rimanere immune dall'ansia tutta latinoamericana per uno sviluppo annacquato all'europea.
La mattina della partenza mi sveglio al rumore dei manghi e Fed viene a prendermi per portarmi all'aeroporto.
Al costume e alle magliette ho aggiunto un barattolo di marmellata tropicale.
All'aeroporto di Madrid, sulla via del ritorno, un'agente della dogana me lo porta via.
E' una crumira europea coi paraocchi, tipica esponente di quella burocrazia spagnola che ha costruito l'America Latina.
Non Old Providence, però.
Per questo brindo a quest'isola meravigliosa e alla testa e alle chiappe di Henry Morgan, ogni volta che mi verso un bicchiere di rum e coca.

mercoledì 7 aprile 2010

COLOMBIA (ISOLA DI "PROVIDENCIA").

"L'UNICA VERGINE DELL'ISOLA", afferma poi indicando una statua che raffigura la Madonna.
L'isola ha un aspetto un po' trasandato e le colline aride e polverose si intonano bene con i poderi, mai ristrutturati, in stile coloniale britannico.
Providencia, a differenza delle altre isole caraibiche, non è stata ancora invasa dai grandi alberghi o da piani di sviluppo su larga scala.
Il suo aspetto selvaggio lo deve all'Unesco, che l'ha dichiarata Seaflower biosphere reserve.
A nordest dell'isola c'è una striscia di terra che incarna l'ideale del paesaggio caraibico da cartolina: cayo Cangrejo (cala del Granchio) è un'isoletta incontaminata, ricoperta di palme vergini e circondata da una serie di anelli di corallo a filo d'acqua.
Mi arrampico sul punto più alto e vengo ricompensato da una vista a 360 gradi sul mare, che cambia sfumatura, dal turchese allo smeraldo al blu scuro, a seconda della profondità e delle ombre proiettate sull'acqua dalle nuvole.
L'area che fa parte del Parque nacinal McBean Lagoon è piena di banchi di corallo e paludi di mangrovie (la zona vanta la terza barriera corallina più grande al mondo), oltre che di aragoste, lumache di mare, abramidi, cernie e granchi.
Nuoto lentamente nell'acqua calma come quella di una vasca da bagno e quando arrivo sul lato sopravento dell'isola sento solo una lieve corrente.
Ci sono spugne, anemoni, scalari, pesci cardinale, pesci pappagallo, pesci scoiattolo e stelle marine giganti.
Una bellissima tartaruga di mare si dilegua quando mi vede spuntare da dietro una roccia.
Non è un'esagerazione dire che si vede anche a trenta metri, quindi per osservare da vicino la stella marina mi tuffo senza boccaglio.
Il resto della crociera intorno all'isola non può competere con le meraviglie di cayo Cangrejo, ma è comunque molto piacevole.
Ci fermiamo sulle spiagge per fare il bagno e per gustare cocktail e pesce fresco.
In molti chioschi suonano reggae: in Colombia preferiscono la salsa e la cumbia, ma qui gli abitanti del posto si considerano in tutto e per tutto caraibici.
La sabbia è ghiaiosa e grezza, e sulla spiaggia si può improvvisare una seduta esfoliante fai da te (in altre isole dei Caraibi bisognerebbe andare in una spa e pagare). La sera, armato della mia bottiglia di Sauvignon Blanc cileno, mi incammino verso il ristorante all'aperto per una cena a base di cernia alla griglia con riso, fagioli e insalata fresca.
Con qualche piccola variante, questo è l'unico piatto offerto dalla casa, anche se una sera chiedo una salsa piccante e in cucina mi preparano una specie di intingolo giamaicano.
Non è piccante come quello che ho mangiato a Kingston o a Brixton: la gente di Old Providence non si affatica troppo ai fornelli, né a nient'altro se è per questo.
Nonostante il cielo grigio, sono un po' abbronzato.
Maggio è ancora bassa stagione: i bambini colombiani vanno a scuola e cominciano le piogge.
I pochi acquazzoni, però, sono i benvenuti: arrivano sempre nel tardo pomeriggio quando cominciano a cantare le cicale.
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COLOMBIA (ISOLA DI "PROVIDENCIA").

LA LENTA CROCIERA.

Il mio bungalow fa parte di un piccolo complesso gestito da una ditta locale.
Si può pranzare o cenare.
Un pasto al giorno è compreso nel prezzo e ci si può portare da bere.
Arrivo a piedi al supermercato Morgan's, prendo qualche buon vino cileno e una bottiglia di rum Caldas.
Con il passare dei giorni faccio amicizia con le signore del supermercato e assaggio i loro tortini di carne.
L'unico altro negozio è una bottega di artigianato francese che fa il caffè, un liquore locale e squisite marmellate di frutta.
Sono sbarcato a Providencia senza preconcetti.
Anzi, se ho fatto un lungo giro pur di arrivare in questo angolo dei Caraibi è proprio perchè sulle riviste di viaggi non ho mai letto niente su quest'isola.
Eppure già il secondo giorno, mentre sono disteso sull'amaca con un rum e coca e una copia di "Killing Pablo" (la biografia del signore della droga colombiano Pablo Escobar scritta da Mark Bowden), mi accorgo di essere atterrato per puro caso in paradiso.
Durante una lenta crociera (tutto a Providencia è lento) lungo i venti chilometri di costa ammiro le poche attrazioni: la rustica Manzanillo, la più attrezzata South West beach, la "capitale" Santa Isabel e i bassi vulcani, ormai spenti, che attraversano l'isola.
C'è soltanto una collina un po' più alta, chiamata "la vetta".
Mi fermo anche a Santa Catalina, una piccola isola collegata a Providencia da un "malecon" una passerella rialzata che qui chiamano "lover's bridge" (ponte degli innamorati).
La guida rastafari ci racconta del bucaniere gallese Henry Morgan, nipote del governatore della Giamaica, che arrivò nell'arcipelago nel 1665.
In suo onore due rocce sono state ribattezzate Morgan's buttocks (la testa di Morgan e le chiappe di Morgan).
"Morgan preparava qui i suoi assalti all'impero spagnolo, e si dice che ci sia ancora un tesoro nascosto", racconta la guida.
"Ma io credo che gli inglesi si siano già portati via tutto".
Fu Morgan, prosegue la guida, a costringere alla fuga la flotta spagnola mantenendo il legame con la Giamaica e l'Africa.

martedì 6 aprile 2010

COLOMBIA (ISOLA DI "PROVIDENCIA").

IL PARADISO A RITMO LENTO.

"Providencia, nel mar dei Caraibi, è un'isola colombiana fuori dalle rotte degli uragani e dei turisti: tranquillità e niente yacht o grandi alberghi".

Sul bimotore che porta da San Andrés a Providencia c'è un cartello che avverte di non imbarcare più di cinque chili di bagaglio.
Mi adeguo: in fondo che altro serve su un'isola tropicale, oltre al costume e a un paio di magliette?
Questa è l'unica raccomandazione.
L'agente alla dogana dell'aeroporto di San Andrès saluta allegramente me e il bicchiere di rum e coca che mi porto a bordo.
I suoi colleghi britannici mi avrebbero sparato con un taser per una semplice bottiglia d'acqua.
Venti minuti dopo, a pochi passi dalla pista d'atterraggio di Providencia, fermo un tipo con una grossa Chevrolet che, con lentezza esasperante, mi porta al piccolo bungalow che ho prenotato dall'Inghilterra.
E' un tassista, credo, ma non ha né il tesserino né la luce sul tetto e soprattutto non ha alcuna voglia di correre dietro ai clienti.
Dice di chiamarsi Fed.
Mentre chiacchieriamo del più e del meno mi confida che non riusciva a reggere i ritmi frenetici di San Andrés.
La Colombia, in realtà, è un paese cento volte più tranquillo e rilassato della Gran Bretagna.
La sua isola caraibica più turistica, San Andrés, è una striscia di 12 chilometri che si trova 775 chilometri a nord del continente, più vicina alle coste del Nicaragua che a quelle della Colombia, ed è una delle mete preferite dagli appassionati di tuffi e dalle famiglie ricche.
Mi sono fermato a San Andrés per qualche ora: è un posto conviviale, molto tranquillo e pieno di tipi da spiaggia.
Ma Providencia è un'altra cosa.
Non solo non si sentono passare in continuazione gli aerei, ma non ci sono nemmeno gli yacht, i villaggi vacanze e le feste in barca al tramonto.
Dato che non ha un aeroporto vero e proprio, l'isola non può accogliere il turismo di massa.
Il suo è un isolamento anche culturale: la lingua dominante è ancora l'inglese creolo (gli abitanti la chiamano "old Providence"), anche se da Bogotà hanno provato a imporre lo spagnolo.
La popolazione è nera e di origine africana, così come il governo locale.
Providencia non ha i ristoranti e le strutture alberghiere di Antigua o della Giamaica.
In compenso offre al visitatore una specie di avventura caraibica fai da te.
Poco dopo essere arrivato nel mio bungalow sento un tonfo sordo: sono dei manghi staccati dal vento che si schiantano sul tetto.
Ne prendo un paio e scendo per una scaletta che porta a un molo.
Non c'è nessuno.
Niente barche in acqua, bar o chioschi.
Mi tuffo e nuoto nell'acqua tiepida.
Ci sono dappertutto semi di cotone caduti dalle piante e sotto i miei piedi sguazzano centinaia di pesci neri e gialli.
COLOMBIA (ISOLA DI PROVIDENCIA).

INFORMAZIONI PRATICHE.

ARRIVARE.
Il prezzo di un volo dall'Italia (Iberia, Air France, Avianca) per San Andrés (Colombia) parte da 848 euro a/r.
Da San Andrés ci sono almeno quattro voli al giorno (della compagnia low cost Satena o dei charter) per l'isola di Providencia.
Il prezzo è circa 100 euro a/r.
Providencia si può raggiungere da San Andrés con l'aliscafo (2 ore) o con il traghetto (8 ore).
L'aliscafo parte ogni lunedì, mercoledì e venerdì.
Il viaggio dura due ore e costa 60 euro.

CLIMA.
La temperatura media è 25 gradi.
La breve stagione delle piogge va da maggio a luglio.

DORMIRE.
L'albergo Cabanas El Recreo (0057 48010) si trova nella baia di Agua dulce e ha dei bungalow che affacciano sulla spiaggia.
Il prezzo a persona parte da un minimo di 20 a un massimo di 50 euro a notte.

GITE.
Si può girare l'isola in barca o in bicicletta.

E' GIUSTO SAPERE :
Ho deciso di offrire a chi piace viaggiare (con la fantasia oppure in prima persona) una possibilità di scegliere degli intinerari prevalentemente avventurosi, che si distinguono per la loro diversità dai viaggi tradizionali.
La descrizioni le traggo dal settimanale "INTERNAZIONALE" del quale sono abbonato ed affezionato lettore di tutti gli articoli che lo compongono.
Spero di fare cosa gradita a quanti mi leggeranno, ed auguro a tutti una piacevole lettura.
ERMANNO RARIS
PROFILO DELL'AUTORE E INDICE VIAGGI INIZIO BLOG "ERMANNO RARIS".
OMAN (PENISOLA DI MUSANDAM).

IL VECCHIO EREMITA.

Oltre ai fiordi popolati di delfini e ai fondali, sono proprio i "monti polverosi" ad attirare qui i visitatori.
A sud di Khasab una strada di ghiaia si inerpica fino alla catena montuosa dell'Hajar, la cui vetta più alta raggiunge i 2.100 metri d'altezza.
Mohammed manovra con cautela la jeep per scansare le buche, e dopo ogni dislivello particolarmente impervio ringrazia la sua auto con un bacio sul cruscotto.
La strada si getta in un deserto di rocce colorate in migliaia di tonalità marroni, con pareti verticali di roccia e ripidi burroni.
Sulla cima di un altopiano la vegetazione ricompare inattesa.
Intorno si vedono campi di frumento e orzo e le case di un villaggio beduino circondate da fichi, palme e terra fertile.
Anche qui la modernità ha già preso piede: gli edifici sono nuovi e lungo la strada si vedono grandi serbatoi di plastica bianca che il governo fa riempire regolarmente d'acqua potabile.
"Laggiù c'è ancora una casa tradizionale", dice Mohammed indicando un basso rudere in pietra grezza che se ne sta appoggiato come un nido d'uccello sul sottile spuntone che sporge dalla roccia nel centro di una forra.
Un sentiero quasi invisibile scende verso il fondo della voragine.
"Lì abitava un vecchio eremita, un tipo strano che per tutta la vita non ha mai voluto avere niente a che fare con il progresso".
Quando Mohammed andava ancora a scuola, a volte l'eremita scendeva da queste cime fino a Khasab.
Era un omanita fiero e arcigno, un uomo d'altri tempi, con un'ascia infilata nella cintura e la barba tinta di rosso.
Mohammed e gli altri bambini gli correvano dietro e urlavano: "Barbarossa, barbarossa!".
A quel vecchio stravagante la cosa piaceva: allora si girava e si esibiva in una breve danza sulla strada polverosa.

sabato 3 aprile 2010

OMAN (PENISOLA DI MUSANDAM).

CONTRABBANDIERI.

Khasab è una sonnolenta cittadina di provincia con 17mila abitanti, una strada commerciale, un paio di ristoranti, un piccolo aeroporto e un bar piuttosto equivoco e senza finestre ai margini dell'abitato, dove si servono alcolici e le donne marocchine danzano a pancia scoperta per i clienti.
Solo al porto, un'area recintata e sorvegliata, le attività fervono senza sosta per tutto il giorno: sotto il sole alcuni uomini accatastano sui motoscafi ondeggianti pile di casse che arrivano ad altezze inquietanti.
Sugli approdi, cartoni pieni di scarpe, camicie, televisori e dolci sono sistemati vicino a bancali di lattine di Red Bull e stecche di sigarette americane.
Mentre le merci già arrivate vengono chiuse in sacchi impermeabili grigi, i camion provenienti dalla città già arrivano con altri rifornimenti.
Gli uomini sulle banchine sono contrabbandieri.
Ogni mattina centinaia di imbarcazioni salpano da Bandar Abbas, sulla costa iraniana, e attraversano lo stretto di Hormuz per acquistare capre qui a Khasab.
Quando tornano indietro trasportano in Iran i prodotti giunti al porto lungo la strada costiera degli Emirati.
Qui in Oman questo limitato traffico di frontiera è legale e per gli intermediari di Khasab rappresenta un'attività redditizia: il pericolo comincia solo quando si rientra in Iran, dall'altra sponda del braccio di mare.
"A volte una barca troppo carica affonda", racconta Said, un iraniano con una camicia scura e i pantaloni incrostati di sale.
"Ci sono stati anche dei morti".
Dall'altra parte dello stretto sono in agguato i guardacoste iraniani: circa una volta alla settimana ci sono degli incidenti, ma sui particolari Said preferisce sorvolare.
Al porto si dice che i contrabbandieri viaggiano sempre in gruppo, in modo da potersi dividere e scappare quando c'è un contollo.
Solo alla sera, quando l'ultimo motoscafo scompare dietro le pareti di roccia che delimitano questo braccio di mare, sul porto di Khasab scende la quiete, perchè gli iraniani sono tornati a casa, visto che non possono dormire fuori dal loro paese.
Prima anche Mohammed Bakhiet al Shihu guidava i camion che ogni giorno riforniscono i contrabbandieri di sigarette.
Un paio d'anni fa un suo amico si è accorto che parlava bene l'inglese e gli ha chiesto se voleva lavorare come guida turistica.
"Va bene", ha risposto contento Mohammed prima di chiedere: "Cos'è una guida?".
Da cinque anni lavora per la più vecchia agenzia turistica della città e può contare tra i suoi clienti anche ricchissimi sceicchi sauditi, l'ambasciatore messicano e la principessa Anna d'inghilterra.
"Musandam si sta sviluppando", dice Mohammed, che ha ventiquattro anni e non si è mai allontanato da Khasab.
"Fino a quindici anni fa per i turisti c'erano solo un sambuco e un piccolo albergo: qui nessuno avrebbe immaginato che a qualcuno potessero interessare i nostri monti polverosi".
Oggi invece a Khasab atterra ogni giorno un aereo proveniente da Masqat, la capitale dell'Oman, e dallo scorso autunno tra le due città fa anche servizio un traghetto espresso.

venerdì 2 aprile 2010

OMAN (PENISOLA DI MUSANDAM).

VILLAGGIO DI PESCATORI.

Per secoli le insenature di questa penisola sono state territorio esclusivo dei pescatori e solo da un po' di tempo sono arrivati anche i turisti: molti di loro arrivano dagli Emirati per passare un weekend lontano dalla confusione di Dubai o di Abu Dhabi e rifugiarsi in questo arcaico paesaggio di rocce, sabbia e mare.
Tre sambuchi, le tradizionali barche a vela arabe, sono ancorati al largo dell'isola.
Sulla barriera corallina si vedono le pinne e i boccagli degli appassionati di snorkeling.
Ma Kumzar non è ancora abituata ai visitatori.
Questo villaggio di pescatori, nascosto e protetto da una lunga insenatura, si raggiunge solo via mare: un paio di case chiare dal tetto piatto all'ombra dei monti grigi, che sembrano quasi voler risospingere il paese tra i flutti.
I minareti bianchi di due moschee e il loro riflesso nell'acqua scura sono le prime forme che si distinguono, seguiti dalle barche e dalle capre che pascolano tra gli edifici.
E quelle che da lontano sembrano piccole pietre argentate e luccicanti lungo la riva sono in realtà migliaia di sardine stese al sole sulle reti ad asciugare.
I bambini giocano con barchette di latta, mentre le donne stanno sedute all'ombra in piccoli gruppi e con il viso coperto da una maschera di pelle di capra, segno distintivo delle donne sposate.
Oggi è venerdì, il giorno di festa dei musulmani, e il paesino si concede una pausa.
Sulla spiaggia, accanto a un paio di uomini che rammendano le reti nella loro barca, un vecchio cannone arrugginisce mezzo sepolto dalla ghiaia.
Un ricordo del periodo dell'occupazione portoghese.
Lo stretto di Hormuz è un'importante rotta commerciale fin dall'antichità. A partire dal sedicesimo secolo, oltre ai portoghesi, anche gli inglesi e i francesi hanno conteso ai dominatori arabi il passaggio per l'India, l'Africa e la Cina.
Oggi attraverso questa strettoia passa un quarto del traffico petrolifero mondiale.
Dall'aereo si vede la fila delle petroliere allineate, come su un foglio di carta a quadretti quando si gioca a battaglia navale.
L'importante posizione strategica è anche il motivo per cui il Musandam è rimasto tanto a lungo isolato dal resto del mondo: fino al 1992 la penisola era infatti una zona militare.
Ma aveva subìto i maggiori cambiamenti già qualche anno prima.
Nel 1970, quando l'attuale sultano Sayed Quabus ibn Said detronizzò il padre con un colpo di stato incruento, in Oman non c'erano né scuole né ospedali e nemmeno telefoni.
Inoltre erano proibite le radio, i pantaloni, i libri e gli occhiali da sole.
Il nuovo monarca ha portato il paese verso la modernità e ha insistito per coinvolgere in questo sviluppo anche l'angolo più remoto del sultanato.
Dagli anni ottanta i cavi della corrente elettrica e del telefono si spingono fino a Kumzar, i bambini a scuola studiano l'inglese e l'arabo e il dissalatore fornisce al paese acqua potabile.
"Di tutto questo siamo molto grati al governo", commenta Mohammed al Kumzari, "ma con l'elettricità e i ventilatori la vita è diventata troppo comoda.
Prima, quando le nostre famiglie dormivano ancora sui tetti per il caldo, l'alba costringeva gli uomini ad alzarsi per andare a lavorare".
Nonostante tutto, gli abitanti di Kumzar sono rimasti fedeli alle loro tradizioni: solo pochi hanno sostituito i loro "batill" in legno con dei motoscafi più veloci in fibra di vetro.
Ma tutti continuano a decorare la prua delle barche con conchiglie, nastri e pelli di capra.
Da secoli, nei mesi più caldi dell'estate, il villaggio si trasferisce a Khasab, la città più grande della penisola del Musandam, dove le famiglie del villaggio possiedono dei dattereti.
Per alcuni mesi all'anno si passa dalla pesca all'agricoltura.
"In estate l'acqua delle nostre insenature è troppo calda e i pesci restano in altomare", dice Mohammed al Kumzari per spiegare questo trasferimento.


giovedì 1 aprile 2010

OMAN (PENISOLA DI MUSANDAM).

I FIORDI DELL'OMAN.

"Insenature molto profonde, rocce color ocra, delfini e pesci tropicali.
E' la penisola del Musandam, la località più a nord del sultanato".

La conversazione con gli abitanti di Kumzar è complicata per due motivi: la diffidenza nei confronti degli estranei e la lingua, incomprensibile a chi non è di questo villaggio.
Le parole di questo dialetto non sono mai state scritte e le sue origini si perdono nella notte dei tempi.
"Quando sono nato la nostra lingua esisteva già", dice ridendo Mohammed Abdullah Suleiman al Kumzari.
"Questo è tutto quello che so".
Mohammed è un uomo paziente, l'unico del villaggio che sia disposto a raccontarmi qualcosa.
Le domande sul passato lo divertono.
Sta seduto sulla barca con le gambe accavallate e indossa una candida "dishdasha" che scende fino a terra.
Avrà una cinquantina d'anni, ma forse nemmeno lui conosce la sua data di nascita.
Quando Mohammed al Kumzari dice "acqua", la parola che pronuncia somiglia al portoghese "agua", ma senza la g.
Per dire "porta" usa un termine che ricorda l'inglese "door" con la r vibrante, e per riferirsi al barbiere, una parola simile al francese "toilette".
I colonizzatori, gli esploratori e i mercanti europei del passato hanno lasciato qualche traccia a Kumzar, dove le parole e la grammatica delle lingue locali si sono intrecciate con l'hindi, il persiano e diversi dialetti arabi.
Kumzar è la località più settentrionale dell'Oman: la più isolata di questa zona isolata.
Il paese sorge sulla punta estrema del Musandam, una penisola che si protende verso lo stretto di Hormuz.
Il canale separa il golfo persico dal golfo di Oman e, quando il tempo è bello, da Kumzar si distingue la costa iraniana, che dista cinquanta chilometri.
Musandam è chiamata anche la "Norvegia d'Arabia" per via delle sue insenature simili ai fiordi e le sue alte scogliere.
La vista dalla barca diretta a Kumzar è spettacolare: i monti e le rocce fatte di tante stratificazioni calcaree dai toni bruni e ocra, come in una torta millefoglie, sembrano in costante movimento.
Come se la natura si riformasse ogni giorno da capo.
Le forze geologiche che spingono la placca arabica sotto quella euroasiatica sono tanto potenti che alcuni strati di roccia hanno assunto una posizione quasi verticale e si direbbe che basti solo un po' di pressione per farli inclinare e precipitare tra le onde.
Tra due alte pareti di roccia si entra nel Khor Shimm, il fiordo più lungo del Musandam.
Nelle tranquille acque turchesi splendono i pesci tropicali e i cormorani disegnano dei cerchi nel cielo.
Tutt'a un tratto, a poca distanza da un'isola piatta, due delfini con un cucciolo, saltano fuori dalla liscia superficie del mare e cominciano a seguire la barca.
"Che animali invidiosi", dice il timoniere.
"Appena vedono un'imbarcazione devono per forza dimostrare di essere più veloci di lei".
OMAN (PENISOLA DI MUSANDAM).

INFORMAZIONI PRATICHE.

DOCUMENTI.
Il visto per andare in Oman costa 26 euro (validità tre settimane, un solo ingresso) oppure 51 euro (validità sei mesi, più ingressi).
Per informazioni si può contattare l'ambasciata del Sultanato dell'Oman a Roma: 06 3630 0517.

ARRIVARE.
Il prezzo di un volo dall'Italia (Turkish Airlines, Emirates, Qatar) per Masqat parte da 432 euro a/r.
Da Masqat ci sono dei voli della Oman Air per Khasab.
La capitale della penisola di Musandam è collegata anche con il treno, che percorre i cinquecento chilometri in sei ore.
Al villaggio di Kuzmar si arriva solo con la barca.

CLIMA.
Il periodo migliore è da novembre a marzo: la temperatura media è 25 gradi.

DORMIRE.
Il Golden tulip (goldentulipkhasab.com, 00968 26 730 777) è un resort che si trova nei pressi di Khasab.
Una doppia costa 170 euro a notte.
Il resort offre anche una piscina e un buon ristorante.
A MIO AVVISO E' UTILE SAPERE CHE:
In Italia esiste una attività che da più di 35 anni produce e commercializza "BANDIERE E RELATIVI ACCESSORI", da utilizzo sia per interni che per esterni, partendo dalle bandierine da tavolo e arrivando fino ai pennoni in alluminio oppure in vetroresina da mt. 5 a mt. 40.
L'attività in oggetto è la "B.A.F.A. BANDIERE (vedi catalogo in internet).
PROFILO DELL'AUTORE E INDICE VIAGGI A INIZIO BLOG "ERMANNO RARIS".