venerdì 28 agosto 2009

INDICE DEI VIAGGI.
1°) PAPUA NUOVA GUINEA.
2°) GIAPPONE. (Penisola di Shiretoko).
3°) AUSTRALIA. (Il treno del Deserto).
4°) SERBIA. (Belgrado).
5°) MAURITANIA. (Riserva Naturale "Banc d'Arguin").
6°) DA SAN FRANCISCO A HONG KONG IN NAVE.
7°) Tratto di pianura che da "PARMA" arriva fino al "PO".
8°) YEMEN. (Shibam).
9°) MOZAMBICO. (Parco Naz. di Gorongosa).
10°) GIAPPONE ANTICO. ( La via Nakasendo).
11°) U.S.A. (Deserto del New Mexico).
12°) BRASILE. (Costa di Recife).
13°) SUDAFRICA. ("Capo Occidentale" in Mountain Bike).
14°) MAROCCO. (Oualidia loc. balneare).
15°) ARGENTINA. (Tilcara a cavallo).
PROFILO DELL'AUTORE A INIZIO BLOG "ERMANNO".
A MIO AVVISO E' UTILE SAPERE CHE: In Italia esiste una attività che da più di 35 anni produce e commercializza "BANDIERE E RELATIVI ACCESSORI", da utilizzo sia per interni che per esterni partendo dalle bandierine da tavolo e arrivando fino ai pennoni in alluminio oppure in vetroresina da mt. 5 a mt. 22.
L'attività in oggetto è la "B.A.F.A. BANDIERE " (vedi catalogo in internet).
MAROCCO. (Oualidia loc. balneare).

VISITA ALLE GROTTE.

Come quasi tutti i giovani del posto, Mustafa è un pescatore.
La mancanza di un porto a Oualidia gli impedisce di prendere il mare quando le acque sono molto agitate.
In quel caso lascia la barca sulla spiaggia e si improvvisa massaggiatore e fisioterapista o guida per i turisti di passaggio.
Da suo nonno, Mustafa ha imparato l'arte di curare le articolazioni con l'olio di Argan.
Inoltre conosce ogni singola roccia delle scogliere, che ricordano i paesaggi frastagliati della Bretagna del nord.
"Di solito faccio visitare le grotte.
Ce ne sono sei.
Quelle dei portoghesi sono le più belle.
Le conosco a memoria.
Non a caso mi chiamano Mustafa il principe delle grotte", conclude sorridendo.
Rashid, invece, porta i turisti a vedere un'altra curiosità della laguna: un antico palazzo di Mohammed v, nonno dell'attuale sovrano.
Il palazzo è stato costruito all'inizio del novecento, è disabitato da oltre quarantanni.
A parte le grida dei gabbiani non si sente volare una mosca.
All'interno una lunga serie di camere vuote e polverose, cortili, gallerie, pilastri di marmo e mosaici rovinati.
Tutto è deserto.
Una piscina abbandonata, con le sue scalette corrose dalla ruggine, si affaccia surreale sulla laguna.
Nelcya Delanoe, professoressa universitaria e scrittrice, ricorda con nostalgia l'epoca in cui il re veniva qui con le due figlie.
"Dovevano essere gli anni quaranta o cinquanta.
Mohammed v veniva in spiaggia insieme a noi.
Era in costume da bagno, le figlie in bikini e con i capelli sciolti sulle spalle.
La famiglia reale si tuffava in acqua e nuotava.
L'atmosfera era famigliare e allegra.
E il posto era magnifico!".Molte cose preoccupano Delanoe, francese ma nata a Casablanca e innamorata di Oualidia.
"Non c'è abbastanza interesse per la laguna e il suo ecosistema.
Ci sono ancora fogne che riversano i liquami nelle acque di Oualidia.
Sulla spiaggia mancano cestini per la spazzatura e gabinetti.
Le moto da strada sono libere di andare sulle dune e quelle d'acqua sfrecciano tra i bagnanti.
Alcune imprese edili rubano la sabbia delle dune e le usano come materiale da costruzione.
Intanto gli edifici spuntano come funghi.
Oualidia è una meraviglia, ma rimarrà così?", si chiede.
Se non si farà presto qualcosa, il successo di questo posto incantevole potrebbe provocarne la scomparsa.



MAROCCO. (Oualidia loc. balneare).

LAVATRICE NATURALE.

Nel frattempo, sulla riva, ogni giorno si ripete la stessa scena.
Decine di donne dalle lunghe gonne colorate aspettano tra gli scogli che l'acqua del mare si ritiri.
Con loro hanno pelli di agnello, vestiti e bacinelle di plastica.
Quasi sempre sono circondate dai bambini che giocano lì intorno.
Le donne sanno che la bassa marea lascia il posto alle sorgenti di acqua dolce che sgorgano dalla roccia.
Mentre il mare si ritira, immergono pelli e vestiti nell'acqua, tra le rocce, usando la risacca come una sorta di lavatrice.
Una volta lavati i panni, li risciacquano nelle sorgenti di acqua dolce, che con la bassa marea riaffiorano in superfice.
Alle spalle della laguna appare improvvisamente una guglia tondeggiante e bianca.
E' il mausoleo - chiamato anche marabutto - che ospita la tomba di Sidi Daoud, un santo venerato in tutta la regione.
Gli si attribuisce il potere di guarire i neonati e di favorire il matrimonio delle ragazze nubili.Una donna in gellaba rosa sorveglia l'entrata del mausoleo, costruito sopra una duna.
Quattro donne con i figli in braccio si raccolgono all'interno del marabutto, per poi proseguire verso una piccola grotta sulla riva dell'oceano, dove deporranno un indumento o una ciocca di capelli dei loro figli da donare a Sidi Daoud.
Sulla strada incrociano un allegro gruppo di ragazze che indossano i jeans e portano il velo: sono venute per "sbarazzarsi della iella e per sposarsi - Inshallah! - entro la fine dell'anno".

giovedì 27 agosto 2009

MAROCCO. (Oualidia loc. balneare).

FASCINO DISCRETO.

Della laguna conosce tutti i segreti.
Potrebbe far navigare la sua barca ad occhi chiusi.
Gli piace l'estate perchè gli dà da vivere con il suo vaporetto, su cui ha dipinto una testa di squalo che si riconosce da lontano.
Ma gli piacciono anche le altre stagioni, quando il fascino di Oualidia, svuotata dei suoi turisti, è ancora più evidente.
Durante i mesi di luglio e agosto, Abdulkarim, trent'anni, non ha un minuto libero.
Orde di turisti sbarcano da tutti gli angoli del regno.
Oualidia, tranquilla stazione balneare sulla costa atlantica, a metà strada tra Casablanca ed Essaouira, passa improvvisamente da diecimila a trentamila abitanti.
Tutti vogliono approfittare dei dodici chilometri di laguna.
Questo è un posto unico in Marocco: si può fare il bagno tra le acque verdi e blu del golfo o isolarsi sulle dune di sabbia lungo l'oceano, tra la schiuma e il rumore delle onde.
Oppure salire sul barcone di Abdulkarim, che percorre la laguna per rifornirsi di ostriche presso i tanti allevatori.
Le ostriche di Oualidia (ne vengono prodotte circa duecento tonnellate all'anno) sono famose in tutto il Marocco.
"Sono le migliori del mondo", assicurano con orgoglio gli abitanti del posto.
Qui si arriva il fine settimana per mangiare le ostriche insieme a grancevole, astici e aragoste.
Ma questa località è conosciuta anche per l'abbondanza di triglie, orate, saraghi, rombi, dentici e altri pesci.
D'estate la spiaggia si copre di ristoranti all'aperto dove Driss e i suoi amici propongono piatti di pesce alla griglia a prezzi irrisori.
Ma è con la bassa marea che la laguna svela i suoi segreti .
Quando il mare si ritira, passando da cinque a due metri di profondità, compaiono degli isolotti di erba verde in mezzo al canale.
Comincia allora uno spettacolo incredibile: le mucche attraversano la laguna a nuoto per andare a pascolare su questi isolotti, prima di ripartire in tutta fretta sei ore dopo, quando le onde le cacciano via.



MAROCCO. (Oualidia, loc. balneare). INFORMAZIONI PRATICHE.

ARRIVARE E MUOVERSI:
Il prezzo di un volo dall'Italia (Royal Air Maroc e Alitalia) per Casablanca parte da 252 euro a/r.
Per percorrere i 175 chilometri fino a Oualidia conviene affittare un'auto all'aeroporto.
Altrimenti si può arrivare in auto fino a El Jadida (76 chilometri) e proseguire con i "grand taxi", gli autobus locali.

CLIMA:
La temperatura è mite trecento giorni l'anno.

DORMIRE:
La piccola agenzia immobiliare di Habib (00212 6 7161 645) offre appartamenti per il weekend e per l'intera settimana a prezzi abbordabili.
L'Hippocampe è un albergo di lusso (00212 23 366 108) con camere che danno su un giardino.
L'albergo-ristorante Araignèe gourmande (00212 23 366 144) ha camere confortevoli e un'ottima cucina a base di frutti di mare e aragoste.

INDICE DEI VIAGGI e PROFILO DELL'AUTORE.

1°) PAPUA NUOVA GUINEA.
2°) GIAPPONE. (Penisola di Shiretoko).
3°) AUSTRALIA. (Il Treno del Deserto).
4°) SERBIA. (Belgrado).
5°) MAURITANIA. (Riserva Naturale "Banc d'Arguin").
6°) DA SAN FRANCISCO A HONG KONG IN NAVE.
7°) Tratto di pianura che da "PARMA" arriva fino al "PO".
8°) YEMEN. (Shibam).
9°) MOZAMBICO. (Parco Naz. di Gorongosa).
10°) GIAPPONE ANTICO. (La via Nakasendo).
11°) U.S.A. (Deserto del New Mexico).
12°) BRASILE. (Costa di Recife).
13°) SUDAFRICA. ("Capo Occidentale" in Mountain Bike).
14°) MAROCCO. (Oualidia loc. balneare).
E' GIUSTO SAPERE: Ho deciso di offrire a chi piace viaggiare (con la fantasia oppure in prima persona), una possibilità di scegliere degli intinerari prevalentemente avventurosi, che si distinguono per la loro diversità dai viaggi tradizionali.
Le descrizioni le traggo dal settimanale "INTERNAZIONALE" del quale sono abbonato ed affezionato lettore di tutti gli articoli che lo compongono.
Spero di fare cosa gradita a quanti mi leggeranno,ed auguro a tutti una piacevole lettura.
ERMANNO RARIS

mercoledì 26 agosto 2009

SUDAFRICA. ("Capo Occidentale" in Mountain Bike).

VACANZE MASOCHISTE.

Il quarto giorno incontro Vermaak, l'ideatore della gara.
Sembra un tipo molto tranquillo, per essere l'organizzatore del più complesso dispositivo logistico in tempo di pace del Sudafrica: ogni giorno i suoi collaboratori spostano 175 tonnellate di materiale, tra cui 2.400 tende e 120 bagni chimici.
Ex dipendente della Royal Bank of Scotland a Londra, Vermaak stava correndo in bicicletta in Costa Rica quando, nel 2002, gli è venuta l'idea di organizzare la Cape Epic: una gara che avrebbe dovuto attirare l'attenzione delle tv di tutto il mondo.
Vermaak mi racconta che ogni anno le domande di partecipazione sono moltissime.
Ma, gli chiedo, cosa spinge persone come me a spendere tanti soldi (per l'esattezza 474 dollari per farsi torturare dal dottor Evil?
Mi risponde che lui ha iniziato a correre in bici perchè aveva bisogno di dedicarsi a "qualcosa di diverso dal lavoro".
E poi c'è il fascino del percorso.
In quale altro posto si può correre attraverso il più bel paesaggio del mondo, in cinque riserve naturali, per 900 chilometri ininterrotti?
Con il passare dei giorni il bollettino di guerra si aggrava: due ciclisti di Singapore fermi a riparare una gomma si ritrovano davanti un guardiano della riserva naturale: "Fate in fretta, c'è un rinoceronte sulla collina!", li avverte.
Hanno fatto in fretta.
Ma ci sono anche momenti memorabili: per esempio l'ultimo giorno, attraversando il passo di Gamtou, incisi sulle rocce sdrucciolevoli vediamo i segni dei carri dei Voortrekkers, i contadini afrikaner che nella metà dell'ottocento lasciarono Cape Colony per spostarsi nell'entroterra.
Intanto davanti a noi abbiamo uno dei paesaggi più grandiosi del mondo, con la Table mountain e l'oceano alle sue spalle.
Alla fine della corsa, alla Lorensford wine estate, vicino Città del Capo, osservo le gambe sanguinanti e inzaccherate dei miei affannatissimi compagni di gara.
Ancora non riesco a capire fino in fondo cosa abbia spinto tutti (compreso un buon numero di dirigenti d'impresa) a considerare questa prova estenuante come una bella vacanza.
Poi però, appena la fatica scompare e mi tornano in mente gli splendidi ricordi di quei giorni passati all'aperto, sotto il lucente sole africano, mi sento già pronto a partire per la prossima avventura.




SUDAFRICA. ("Capo Occidentale" in Mountain Bike).

PACCHETTO PREMIUM.

Alla vigilia della gara vado a cena con il mio compagno di squadra, Tim Kremer, in un ristorantino sul mare di Knysa.
Con una certa apprensione, ci rimpinziamo di pesce e pastasciutta: nessuno dei due è preparato per affrontare una gara del genere.
Io mi sono trasferito da poco a Mumbai, una città dove travolgere i ciclisti è diventato uno sport sanguinario per tassisti e risciò motorizzati, e Tim ha ben altro da fare,preso com'è dalla sua nuova fabbrica di giocattoli.
Quest'anno, i giorni più duri della Cape Epic saranno i primi tre.
Il primo giorno ci inerpicheremo a 2.660 metri lungo una sterrata di cento chilometri.
Nell'aria gelida del primo mattino, mordiamo il freno ai nastri di partenza mentre gli elicotteri della tv ronzano sopra le nostre teste.
Alle sette in punto scatta il segnale del via.
La velocità iniziale è di 30-40 chilometri all'ora: non siamo allenati per procedere a questa andatura e presto le mie gambe si fanno pesanti.
Riguadagnamo terreno sulle colline, superando i 12 chilometri del passo Prince Albert sotto il sole splendente di mezzogiorno.
Una lunga discesa ci porta su una storica pista per carri, ed eccoci finalmente al traguardo: Uniondale, un paesino sperduto che, come molti altri che attraverseremo, mi ricorda quelli dell'entroterra australiano.
Nè primi nè ultimi, abbiamo concluso il primo giorno nel gruppone intermedio e ci resteremo per l'intera gara.
Grazie al cielo quando ci siamo iscritti abbiamo optato per il "pacchetto premium": mentre la maggior parte dei corridori dorme sotto le tende fornite dagli organizzatori, noi siamo ospiti di foresterie o case private e, sopratutto, abbiamo un massaggiatore sportivo a nostra completa disposizione.
La prima sera alloggiamo poco fuori Uniondale, in una casa con vista sulle placide colline dei dintorni, e per cena ci servono una sontuosa grigliata sudafricana.
I giorni successivi sono scanditi dalla stessa routine: sveglia prima dell'alba, ricca colazione a base di uova e pasta, poi in sella per sei-otto ore e infine pranzo, massaggio, cena e una puntata di Lost in tv.
Ogni sera gli organizzatori allestiscono un buffet sotto una grande tenda, ma trovare qualcosa da mangiare al traguardo è più difficile: un problema non trascurabile quando si bruciano 5.700 calorie al giorno.
I negozi dei piccoli centri che attraversiamo sono presi d'assalto.
A Kleinmond hanno finito l'mpasto per la pizza, a Montagu niente bicchieri di carta, a Villiersdorp nulla di commestibile.
E' come arrivare dopo il passaggio dei vandali.


martedì 25 agosto 2009

SUDAFRICA.(Capo Occidentale "in Mountain Bike")

IN PARADISO CON IL FIATONE.

"I medici dicono che sarà un percorso molto faticoso", mi spiega il dottor Evil, al secolo Leon Evans, organizzatore della corsa in mountain bike attraverso lo splendido paesaggio del Capo Occidentale, in Sudafrica.
Poi all'improvviso assume un'aria contrita, sentendosi forse in colpa per le sofferenze che ha contribuito a provocare: "Nei primi quattro giorni hanno avuto bisogno della fleboclisi molti più concorrenti che in qualsiasi edizione precedente".
La Cape Epic, che dura otto giorni, è una delle gare di mountain bike più dure del mondo.
Quest'anno i concorrenti hanno dovuto pedalare per 866 chilometri tra riserve naturali, vigneti, montagne e pianure semiaride, inerpicandosi su salite equivalenti a un totale di15.045 metri d'altezza: due volte l'Everest.
Sebbene la corsa attiri anche atleti olimpici, la maggior parte delle 543 coppie di partecipanti è composta da persone come me, semplici turisti che amano fare le vacanze in bicicletta nei posti più remoti del mondo.
Questo però non è il solito tour ciclistico: non ci si ferma a bere il tè, ma si pedala per ore e ore tracannando insipide bevande energetiche e cercando di non crollare prima del traguardo.
Perchè mai qualcuno dovrebbe sottoporsi volontariamente a una simile tortura?
E' la domanda che ho continuato a farmi per tutti gli otto giorni di questa estenuante esperienza.
La corsa comincia a est di Città del Capo e a Knysna, una spettacolare cittadina costiera lungo la Garden route del Capo Occidentale, si inoltra tra le montagne del brullo territorio di Karoo, per poi svoltare a ovest e puntare di nuovo verso il punto di partenza.



SUDAFRICA. ("Capo Occidentale" in Mountain Bike).

INFORMAZIONI PRATICHE.

ARRIVARE: Il prezzo di un volo dall'Italia ( Virgin Atlantic e British Airways) per Città del Capo parte da 900 euro a/r.

PARTECIPARE ALLA GARA: Le iscrizioni alla prossima edizione della "Cape Epic" si chiudono il 23 gennaio 2009.
Le informazioni sono sul sito cape-epic.com.

MANGIARE E BERE: La laguna di Knysna è nota per la pesca delle "ostriche", e la cittadina ha numerosi ristoranti sul mare.
Meritano una visita le "aziende vinicole" della zona di Stellenbosh, come Tokara (tokara.co.za) e Thelema (thelema.co.za).

DORMIRE: Uno degli hotel più noti di Città del Capo è il "Mount Nelson"(mountnelson.co.za).
Un'alternativa più economica nella zona sono i "bed and breakfast" (westerncapeaccommodation.co.za).
A Stellenbosh c'è l'elegante hotel "Eendracht"(eendracht-hotel.com), edificio in stile coloniale dai prezzi piuttosto salati.
PROFILO DELL'AUTORE e INDICE DEI VIAGGI:
1°) PAPUA NUOVA GUINEA.
2°) GIAPPONE. (Penisola di Shiretoko).
3°) AUSTRALIA. (Il treno del Deserto).
4°) SERBIA. (Belgrado).
5°) MAURITANIA.(Riserva Naturale "Banc d'Arguin").
6°) DA SAN FRANCISCO A HONG KONG IN NAVE.
7°) Tratto di pianura che da "PARMA" arriva fino al "PO".
8°) YEMEN. (Shibam).
9°) MOZAMBICO. (Parco Naz. di Gorongosa).
10°) GIAPPONE ANTICO. (La via Nakasendo).
11°) U.S.A.(Deserto del New Mexico).
12°) BRASILE.(costa di Recife).
13°) SUDAFRICA.("Capo Occidentale" in Mountain Bike).




A MIO AVVISO E' UTILE SAPERE CHE:
In Italia esiste una attività che da più di 35 anni produce e commercializza "BANDIERE E RELATIVI ACCESSORI", da utilizzo sia per interni che per esterni partendo dalle bandierine da tavolo e arrivando fino ai pennoni in alluminio oppure in vetroresina da mt. 5 a mt. 22.
L'attività in oggetto è la B.A.F.A. BANDIERE (vedi catalogo in internet).



lunedì 24 agosto 2009

BRASILE. (Costa di Recife).

I DANZATORI DI MARACATU.

La parte migliore del viaggio però è arrivata senza dubbio alla fine.
Qualche chilometro in più ed eccoci a Nazarè de Mata, terra del "maracatu de baque solto o maracatu rural".
E' uno spettacolo difficile da rendere a parole.
Le opere specialistiche descrivono il "maracatu rural" come "una festa popolare di origine indigena, nata nelle piantagioni del Mata Norte all'inizio del novecento, che racconta la saga dei piantatori di canna da zucchero e mette in scena la loro abilità".
Insomma un divertimento relativamente recente, inventato dai tagliatori di canna per alleggerire la durezza della quotidianità durante i giorni del carnevale.
Nella piazza cittadina, il gruppo Aguia Misteriosa (aquila misteriosa) si esibiva su un ritmo rapido di percussioni suonando raganelle, trombe e altri strumenti a fiato.
L'effetto d'insieme era un'esplosione vibrante e contagiosa.
La musica variava poco, alternandosi solo con le "loas", lodi che rimandano alle funzioni sacre, e che di solito sono composte di versi dalle rime facili.
Lo spettacolo era una festa per gli occhi, tra costumi colorati, acconciature luccicanti e gesti e ornamenti dal significato simbolico.
I danzatori sfilavano in un cerchio compatto, con al centro il portabandiera e le sue "bahianesi o damasde-buquè", donne ornate con i fiori dell'albero della gomma.
Intorno a loro c'erano i "caboclos de lanca", lanceri, che hanno il compito di contenere la folla saltando e facendo giochi di destrezza con delle lance lunghe più di due metri.
Il carnevale è il momento migliore per assistere al "maracatu".
In questi giorni Nazarè de Mata accoglie il più grande raduno di gruppi di "maracatu rural" dello stato, con più di cinquanta formazioni che si esibiscono per le strade della città.
Da qualche anno, però, nuovi gruppi stanno dando vita anche ad altri festival e a carnevali fuori stagione.
Verso sera, con un po' di malinconia vediamo il gruppo Aguia Misteriosa allontanarsi sulla strada principale, diretto verso una meta sconosciuta.
Per fortuna ci resta il grande spettacolo del sole che tramonta sulle piantagioni.




BRASILE: (Costa di Recife).

SET PER TELENOVELE.

Tra una città e l'altra, il paesaggio è dominato dalle piantagioni di canna da zucchero.
I diciannove comuni situati lungo il nostro intinerario vivono di questa cultura da secoli.
Non a caso, gli "engenhos" rappresentano la principale attrattiva del nostro viaggio.
Alcuni producono ancora a pieno ritmo zucchero, "cachaca" e vari derivati.
Altri invece sono stati convertiti in agriturismi, conservando però l'affascinante struttura originale: la residenza del proprietario, la cappella, i locali per la produzione e la "senzala", la parte riservata agli schiavi.
Si tratta di autentici set per telenovele, dove ci si aspetta di vedersi venire incontro da un momento all'altro il padrone con la frusta in mano.
L'"engenho" più noto della zona è quello di Poco Comprido, nel comune di Vicencia.
Questa fazenda della fine del seicento conserva una cappella che forma un tutto unico con la residenza principale, forse per evitare che la famiglia padronale si mescolasse con gli schiavi all'ora della messa.
Dichiarato monumento nazionale, l'"engenho" di Poco Comprido ora è tornato al suo antico splendore: i muri sono stati ridipinti di bianco e le porte e le finestre sono tornate al loro azzurro originale.
Ma i mobili non ci sono più e ormai nelle sue stanze abitano solo i pipistrelli.
A Poco Comprido manca anche la "senzala": si può solo immaginare il punto in cui si ergeva, perchè ancora vi crescono due giganteschi baobab, gli alberi africani che gli schiavi piantavano vicino ai loro alloggi.
Sempre a Vicencia, l'"engenho di Agua Doce è stato invece trasformato in una "cachacaria".
Appertiene alla stessa famiglia da generazioni e produce zucchero, "cachaca", melassa e "rapadura", una torta a base di zucchero di canna.
Dopo una breve lezione sui differenti tipi di distillato e sulle fasi di produzione, il momento più ghiotto è stato senz'altro la degustazione di "cachaca" e di liquori, di succo di canna da zucchero filtrato con ghiaccio, di formaggio fresco e di una fetta di "cuca", una deliziosa torta alla banana.
BRASILE. (Costa di Recife).

Sui numerosissimi scaffali del museo sono esposte tutte le marche di "cachaca" esistenti, con i loro nomi di santi, di donne , di ritmi musicali e di crostacei (come il famoso Pitù), e ai muri sono appese delle carte del brasile che evidenziano la produzione di ogni stato.
Scopriamo così che l'acqua vite di canna da zucchero, chiamata anche "caninha o branquinha", si produce ovunque tranne che in due stati, Acre e Roraima.
Nel bar del museo si può degustare qualche bottiglia e comprare qualche souvenir.
La tappa successiva del nostro viaggio era Tracunhaèm.
In questa piccola città, è palpabile la tradizione brasiliana di complimentarsi continuamente: su due grandi striscioni bianchi all'entrata del centro abitato si leggeva: "Il signor sindaco fa gli auguri agli artigiani per la loro festa" (quel giorno era, appunto, la festa degli artigiani) e "Tracunhaèm si congratula con il suo miglior artista, l'artigiano".
Lungo le stradine di casette colorate, si susseguono le botteghe artigiane.
Qui si lavora il "barro vermelho" della regione, cioè l'argilla rossa.
Un adagio locale dice: "Il barro può diventar santo o marmitta".
Il più celebre artista della città può testimoniarlo: Josè Joaquim da Silva, più noto col nome di Zèzinho di Tracunhaèm, da tempo ha perso il conto del numero dei santi che ha modellato.
Sua è la statua di Sant'Antonio patrono della città, che veglia sugli abitanti dalla piazza principale.
Zèzinho lavora il "barro" da quarant'anni, dando forma a scene religiose e a personaggi che hanno fatto la storia del Pernambuco: per esempio il "cangaceiro"
Lampiao, una sorta di Robin Hood del primo novecento molto amato nella regione, a sua moglie Maria Bonita; oppure il celebre compositore popolare Luìs Gonzaga.
Quando gli chiedo chi sia il miglior artigiano della città, Zèzinho non esita a rispondere: "Il migliore? E' Gesù!".
A Tracunhaèm, come in altre città dei dintorni, c'è una chiesa dedicata a Santo Antònio dos Homens Brancos, sant'Antonio dei bianchi, e poco distante ne troviamo un'altra intitolata a Nossa Senhora do Rosàrio dos Homens Prètos, nostra signora del rosario dei neri, una santa dalla pelle nera protettrice degli schiavi e dei cristiani di colore.


venerdì 21 agosto 2009

BRASILE .(Costa di Recife). IL CUORE DEL NORDESTE.

Sono le otto del mattino.
Il pullmino, puntuale, ci aspetta davanti all'albergo.
Il sole è già alto e, anche se siamo alla fine dell'estate, i suoi raggi picchiano duro.
Ci hanno annunciato un "programma alternativo": andremo nell'interno del Nordeste.
Dobbiamo proprio inoltrarci nel cuore del Pernambuco, mi chiedo io, quando le spiagge di Porto de Galinhas, le più famose della costa, sono appena a un'ora di strada?
In programma abbiamo le nuovissime offerte turistiche della regione: "engenhos", le aziende agricole che coltivano la canna da zucchero, e "maracatu", una danza rituale afrobrasiliana ereditata dalle tradizioni degli schiavi africani.
Per immergersi nella storia coloniale della Mata Norte, sulla costa del Nordeste, è sufficiente una sola giornata: basta allontanarsi un'ottantina di chilometri da Recife e si raggiungono luoghi dove il tempo sembra essersi fermato e dove regna una concezione diversa della vita.
Una volta usciti da Recife, sulla Br 408 si susseguono piccole città dai nomi curiosi: la nostra prima tappa è Paudalho (bosco d'aglio), detta anche Lagoa do Carro (perchè nel suo stagno cadde un carro con tutti i buoi).
Questo borgo di 14mila abitanti probabilmente non figurerebbe nelle guide se non vi si trovasse "il più grande museo della Cachaca del mondo".
Segnalata nel Guinnes world record 2005, questa attrazione turistica un po' naif consiste in una casetta modesta che ospita la collezione privata di bottiglie iniziata nel 1986 da un certo Josè Moisès de Moura.
Questo signore, che curiosamente è astemio, ha raccolto circa ottomila bottiglie provenienti da tutte le regioni del Brasile e del mondo.

BRASILE (Costa di RECIFE). INFORMAZIONI PRATICHE:

ARRIVARE E MUOVERSI.
A febbraio un volo a/r da Roma a Recife con Air Portugal costa 950 euro.
Per raggiungere il "Mata Norte" da Recife, si segue la BR 408 per circa 80 km.

QUANDO ANDARE.
Il periodo migliore per assistere agli spettacoli di maracatu è il carnevale, ma il clima è più mite nel mese di novembre, quando a Nazarè de Mata si svolge anche il festival della canna da zucchero.

DORMIRE.
A Recife l'hotel Atlante Plaza Pousada (atlanteplaza.com.br) offre stanze lussuose a prezzi abbordabili.
Vicino a Nazarè de Mata sorge la suggestiva fazenda-agriturismo "Pousada Rural Engenho" (0055 81 9948 1586; engenhocueirinha.com.br).

INDICE DEI VIAGGI:
1°) PAPUA NUOVA GUINEA.
2°) GIAPPONE (Penisola di Shiretoko).
3°) AUSTRALIA (Il treno del deserto).
4°) SERBIA (Belgrado).
5°) MAURITANIA (Riserva Naturale "Banc d'Arguin").
6°) DA SAN FRANCISCO A HOG KONG IN NAVE.
7°) Tratto di pianura che da "PARMA" arriva fino al "PO".
8°) YEMEN (Shibam).
9°) MOZAMBICO (Parco Naz. di Gorongosa).
10) GIAPPONE ANTICO ( La via Nakasendo).
11°) U.S.A. (Deserto del New Mexico).
12°) BRASILE (Costa di Recife).



E' GIUSTO SAPERE :
ho deciso di offrire a chi piace viaggiare (con la fantasia oppure in prima persona) una possibilità di scegliere degli intinerari prevalentemente avventurosi, che si distinguono per la loro diversità dai viaggi tradizionali.
Le descrizioni le traggo dal settimanale "INTERNAZIONALE" del quale sono abbonato ed affezzionato lettore di tutti gli articoli che lo compongono.
Spero di fare cosa gradita a quanti mi leggeranno, ed auguro a tutti una piacevole lettura.
ERMANNO RARIS
U.S.A. (Deserto del New Mexico). UNA TIGRE IN CANTINA.

Ero già stato qui in precedenza per girare un documentario: un'esperienza al tempo stesso inquietante e rassicurante.
"Essere in stato d'allerta" per chi lavora qui significa attendere e controllare la situazione dall'interno di bunker interrati a più di venti metri sotto la prateria.
Devono essere pronti a premere il pulsante e a liberare i missili dai silos, mandandoli a tutta velocità verso città lontane.
Per fortuna questi tecnici sembrano credere che il loro lavoro sia un deterrente sufficente e che non dovranno mai premere quel pulsante.
Per i turisti di passaggio si tratta solo di una curiosa attrazione, ma per chi vive lungo il "nuclear trail" i missili sono una realtà sempre presente.
"E' come avere una tigre in cantina", mi ha detto un contadino che deve convivere con un silos proprio in mezzo al suo campo.
"Che succede se la tigre decide di uscire per mangiare un boccone?.
U.S.A. (Deserto del New Mexico).

Riprendo la I-25 e attraverso un paesaggio inponente, affiancato a ovest dalla muraglia delle Montagne Rocciose.
Dal New Mexico entro in Colorado.
Colorado Springs è immersa in un'atmosfera di cristianità militare e militante.
Non a caso conserva il simbolo supremo della guerra fredda: la base aerea di Cheyenne Mountain.
Una galleria lunga quasi due chilometri scavata sotto le Montagne Rocciose conduce in una città sotterranea degna di un film di James Bond, dove dei supercomputer elaborano i dati raccolti da una rete di sicurezza capillare.
I tecnici che lavorano qui hanno il compito di intercettare qualsiasi possibile attacco missilistico contro il territorio statunitense, e sono in grado di identificare oggetti in orbita delle dimensioni d'un cacciavite.
Costruito all'inizio degli anni sessanta in seguito alla crisi dei missili cubani, il centro di comando sotterraneo - che ospita anche un ospedale, un barbiere e un supermercato - è stato interamente costruito su uno strato di ammortizzatori per assorbire l'urto di un eventuale attacco nucleare diretto.
Attualmente la base è in disuso, ma potrebbe tornare operativa in qualsiasi momento.
Superata Denver, l'autostrada passa accanto al sito di una nota catastrofe nucleare: Rocky Flats, dove venivano fabbricati i nuclei di plutonio delle bombe H.
Il sito è stato chiuso qualche anno fa dopo un'ispezione dell'Fbi, ma resta ancora uno dei luoghi più contaminati del pianeta.
Il percorso nucleare prosegue attraverso le praterie ondulate e deserte del Wyoming.
Ben presto, alle porte della base aerea F.E. Warren di Cheyenne, giganteschi razzi Minuteman 3 mi segnalano che sono arrivato nella patria dei missili balistici intercontinentali.
Lungo l'autostrada si vedono i silos che li contengono: complessi dall'aspetto innocuo, non più ampi di un campo da tennis, dove i missili dormono nascosti sotto i loro coperchi di cemento.
Sul recinto, un cartello dice "Use of deadly force authorised": chi si avvicina può essere colpito a morte.

giovedì 20 agosto 2009

U.S.A. (Deserto del New Mexico).
DA SANTA FE A LOS ALAMOS.
A circa un'ora di strada da Albuquerque, mi fermo per passare la notte nella deliziosa Santa Fe.
Il centro della città, coi suoi edifici color caffè,è tanto bello quanto profumato, di fiori e di legna bruciata, e pullula di buoni ristoranti e di piacevoli alberghetti.
Il mio preferito è l'Inn of the Anasazi, poco distante dalla piazza principale.
Ma il posto che più di tutti abbonda di riminiscenze dell'epopea nucleare è la Fonda, una vecchia locanda spagnola dai bei corridoi piastrellati: gli scienziati che lavoravano con Oppenheimer al progetto Manhattan si ritrovavano qui per rilassarsi e cercare di dimenticare per un po' il loro rischioso gioco a dadi con l'apocalisse.
E proprio lì, in fondo alla strada, lo scienziato superspia Klaus Fuchs spifferò i segreti della bomba al suo contatto sovietico.
Il giorno dopo, riascolto la canzone di Lehrer mentre percorro la spettacolare strada di montagna che porta a Los Alamos, dove il cantante aveva lavorato un tempo come ricercatore: "Cercherò il silenzio del deserto/ in mezzo a un panorama superbo/ Quanto vorrei rivedere le nuvole del fungo".
Negli anni quaranta, quando qui l'unica strada era un sentiero di terra battuta che conduceva su una lontana cresta dei monti del Sangre de Cristo, questo era un posto ideale per condurre attività segrete.
Oppenheimer aveva scoperto questa zona da ragazzo, durante una gita a cavallo.
Ed è qui che riunì la sua èquipe di eminenti scienziati per concepire l'arma che pochi anni dopo avrebbe trasformato Hiroshima nello spaventoso banco di prova dell'era nucleare.
Entrando a Los Alamos oggi, sembra impossibile che questo sobborgo sperduto sia stato la rampa di lancio dell'apocalisse.
A ogni angolo spunta una chiesa e restano solo i nomi delle strade - Oppenheimer, Trinity - a ricordare gli eventi che cambiarono il mondo.
Poi noto dei misteriosi hangar e delle strane tubature a confermarmi che Los Alamos è ancora abitata dall'industria nucleare.
E finisco per trovare più rassicurante una visita al museo della scienza di Bradbury, dove le riproduzioni delle prime bombe atomiche, Fat Man e Little Boy, sembrano solo dei sinistri giocattoli.


U.S.A. (Deserto del New Mexico).

Il sito di Trinity è la tappa più importante del "nuclear trail", un percorso turistico di oltre 1.500 chilometri lungo la I-25, dalla frontiera messicana al Wyoming; un viaggio epico attraverso i vasti paesaggi desolati del west, che permette di ripercorrere l'epopea dell'ossessione americana per la bomba atomica.
Lungo la strada, se si sa dove guardare, si scoprono numerose vestigie fantastiche, terrificanti e assurde.
E al termine del percorso, proprio quando si pensa che quell'inquietante avventura nel passato stia per finire, si scopre che le armi nucleari sono ancora una realtà.
Bomb Country è la porta d'accesso a un inquietante aspetto dell'America.
Mentre viaggiavo sulla I-25 verso nord dopo Las Cruces, vicino alla frontiera messicana, l'autoradio mi accompagnava con la colonna sonora ideale: un'allegra canzone di Tom Lehrer sul giorno dell'apocalisse: Dove il paesaggio è fantastico/ e l'aria radioattiva/ Oh selvaggio west, è lì che voglio andar".
Il New Mexico è davvero fantastico.
I conquistadores spagnoli sono passati di qui, e anche Billy the Kid.
Negli anni quaranta, a Los Alamos, J. Robert Oppenheimer fabbricava la sua bomba.
Oggi l'autostrada attraversa un paesaggio arido e primitivo, e si stenta a credere che da qualche parte, dietro l'orrizzonte, nuovi missili intelligenti da testare stiano sfrecciando sul deserto.
Questo senso d'irrealtà si avverte anche in prossimità del White sands missile range park.
Un bizzarro parco a tema invaso da sofisticate macchine di morte, che sembra un gigantesco negozio di giocattoli.
Reliquie della paranoia della guerra fredda dai nomi semplici e innocenti - Honest John, Hound Dog - se ne stanno lì piantate nel deserto come tanti cactus deformi.
Potrebbero essere piante nate dai semi di un mondo alieno, arrivati con il vento dalla vicina Roswell, dove si pensa che nel 1947 si sia schiantato un disco volante.
Qualche chilometro più a nord lungo la I-25, le armi atomiche diventano una realtà inconfutabile: ai piedi delle colline di Albuquerque c'è un immenso deposito di bombe H.
Più avanti ci sono i laboratori di Sandia, dove i ricercatori lavorano a pieno ritmo per costruire miniatomiche e laser antimissile.
Sintonizzo la radio sull'emittente locale, K-Bomb 106: sta trasmettendo una canzone di Randy Newman, "Political science", un inno alla potenza nucleare americana.
"Non ci rispettano, e allora sorprendiamoli/ Lanciamo la grande bomba e polverizziamoli".







U.S.A. (Deserto del New Mexico). TURISMO NUCLEARE.

Il "nuclear trail" è un percorso attraverso i luoghi dov'è nata la bomba H.
E dove l'atomica vive ancora, in ottima salute.

E' giorno d'apertura al pubblico a Bomb Country, nel deserto del New Mexico.
Una buona occasione per portare la famiglia in gita nei luoghi dove, il 16 luglio 1945, venne sperimentata la prima bomba atomica della storia.
Centinaia di turisti si aggirano per il sito di Trinity calpestando frammenti di vetro verde radioattivo: è quel che resta della sabbia del deserto dopo la fusione nucleare, un'esplosione descritta come "più brillante di mille soli", che in un istante ha catapultato il mondo nell'era atomica.
Oggi le mamme e i papà fanno la fila davanti ai bagni chimici e ai chioschi degli hot dog, mentre i ragazzini comprano magliette decorate con il fungo atomico.
Nel punto esatto dell'esplosione, un gruppetto di turisti stende a terra una tovaglia a quadri rossi e bianchi per prepararsi a un picnic nucleare.
Una donna sorride, in posa per una foto: "Stiamo già diventando fosforescenti?", scherza.



U.S.A. (Deserto del New Mexico).

INFORMAZIONI PRATICHE. "Dove e quando andare".

TRINITY, il ground zero del famoso esperimento nucleare, è aperto solo due giorni all'anno, il primo sabato d'aprile e di ottobre.
Lungo l'autostrada I-25 si può far tappa nella graziosa SANTA FE e nella sperduta LOS ALAMOS, con i rispettivi musei dedicati all'atomica.
Il nuclear trail raggiunge anche CHEYENNE, nel WYOMING, con il suo Museo dell'aviazione ricco di reliquie della guerra fredda.

DORMIRE: a SANTA FE il grazioso hotel The Inn of the Anasazi (001 505 988 3030) offre stanze per circa 250 euro a notte.
Alla locanda La Fonda (001 505 982 5511) andavano a divertirsi i tecnici che costruirono la prima bomba.
Sul nuclear trail, nei pressi di Colorado Springs, c'è lo splendido Broadmoor Hotel (001 719 634 7711) a 175 euro a notte.






INDICE DEI VIAGGI:
1°) PAPUA NUOVA GUINEA.
2°) GIAPPONE (Penisola di Shiretoko).
3°) AUSTRALIA (Il treno del deserto).
4°) SERBIA (Belgrado).
5) MAURITANIA ( Riserva naturale "Banc d'Arguin).
6) DA SAN FRANCISCO A HOG KONG IN NAVE.
7) Tratto di pianura che da "PARMA" arriva fino al "PO".
8) YEMEN (Shibam).
9) MOZAMBICO (Parco naz. di Gorongosa).
10) GIAPPONE ANTICO ( La via Nakasendo).
11) U.S.A. (Deserto del New Mexico).
A MIO AVVISO E' UTILE SAPERE CHE:
in Italia esiste una attività che da più di 35 anni produce e commercializza " BANDIERE E RELATIVI ACCESSORI ", da utilizzo sia per interni che per esterni partendo dalle bandierine da tavolo e arrivando fino ai pennoni in alluminio oppure in vetroresina da mt. 5 a mt. 22.
L'attività in oggetto è la "B.A.F.A. BANDIERE " (vedi catalogo in internet).

mercoledì 19 agosto 2009

GIAPPONE ANTICO. La via Nakasendo.
SAKE' E KARAOKE.
Il banchetto comincia con il pesce e finisce con le melanzane in salamoia.
Lì conosco gli altri ospiti del Maruya, quattro giapponesi che sono già stati qui e vogliono tornarci presto.
Hanno delle grandi valigie Louis Vuitton: evidentemente non sono i prezzi bassi ad attirarli.
La serata si conclude con una gita nel locale "onsen", la stazione termale, per bagnarci in una delle calde sorgenti vulcaniche amate dai giapponesi.
Anche se bisogna immergersi nudi davanti a degli estranei, il disagio scompare in pochi minuti.
Poi, dopo esserci avvolti nei nostri "yukata" (il kimono estivo leggero disponibile in ogni "minshuku"), risaliamo in fila sul pulmino come una scolaresca un po' in là con gli anni, cantando canzoni al karaoke e ridendo per le nostre facce rosse.
I giorni successivi trascorrono spensierati tra lunghe camminate e cibo delizioso.
A mano a mano che ci inoltriamo nelle montagne della regione di Kiso ci capita sempre più spesso di passare le mattine a mangiare cetrioli e le serate in kimono.
Paul ha deciso di riservare l'albergo migliore per l'ultima sera.
Dopo aver scalato il ripido passo della montagna Torii arriviamo a Narai.
In questa città del periodo Edo, meravigliosamente conservata, c'è Iseya, il "minshuku" più famoso del Giappone.
Superando la facciata di legno, capisco perchè.
Costruito nel 1818, l'edificio originale è in legno verniciato,illuminato da una luce calda.
Nell'atrio alcune statuette di gatti ondeggianti augurano buona fortuna e i "wagas",i tradizionali ombrelli di carta, decorano il muro.
Dietro un grazioso cortile si apre una dèpendance più moderna: lì troviamo la nostra stanza, luminosa e pulitissima.
La sera beviamo sakè e ripensiamo alle tappe del viaggio.
I "minshuku" che abbiamo visitato stanno al passo con i tempi: l'inglese è sempre più diffuso, e comunque l'entusiasmo e il senso dell'umorismo aiutano a superare qualunque barriera linguistica.
Ma queste locande sono anche saldamente radicate nel passato.
A 68 anni il proprietario di Iseya, Sakai Yukiyoshi, è orgoglioso di tenere viva la tradizione del "minshuku".
"Della via Nakasendo si parla in molti romanzi giapponesi", spiega.
"E' naturale che le persone vogliano vedere quello che hanno letto e scoprire come si viveva in passato".
Il "minshuku" tiene viva la storia.
E lo fa a un prezzo che tutti possono permettersi.

GIAPPONE ANTICO. La via Nakasendo.

La mattina seguente mi siedo sul tatami insieme ad Hara Norizaku e alla moglie Takako, entusiasti di condividere i segreti di un grande "minshuku".
"Sono un contadino e produco tutto quello che mangiamo, cercando di evitare i prodotti chimici.
E in inverno vado a caccia".
Come si caccia la cavalletta resta un mistero, ma Hara mi rivela il segreto di un buon servizio: " Deve venire dal cuore", dice solennemente prima di salutarci, mettendosi la mano sul petto.
La vicina città di Magome è così perfetta da sembrare un set di Disney.
Le costruzioni in legno basse sono state trasformate in negozi e bar.
Percorrendo una sinuosa stradina di ciottoli arriviamo a un mulino, dove un cane riposa al sole.
Poco dopo incontriamo il postino, vestito con il costume tradizionale del periodo Edo: un largo cappello, strani stivali palmati e una scatola di legno piena di lettere.
Il postino, una specie di celebrità locale, conduce una doppia vita.
Due ore dopo lo incontriamo in un noodle cafè, dove mi passa una deliziosa tazza fumante di "udon" con funghi di montagna.
Da quel momento in poi continuiamo il viaggio sulla via Nakasendo insieme ad altri gruppi.
Il tratto di otto chilometri tra Magome e la città successiva, Tsumago, è una destinazione molto popolare, in parte per le escursioni a piedi ben segnalate.
I pullman di taiwanesi fanno una grande confusione e alcune classi di studenti giapponesi in divisa scendono di corsa dalla collina, fermandosi per salutare prima di correre via.
Passando davanti ai ciliegi in fiore raggiungiamo Otsumago.
Lì, dietro il fiume che scorre lento, ci imbattiamo nel "minshuku Maruya.
Dopo aver trascorso l'ultima parte del pomeriggio nella vicina Tsumago, una cittadina meno leziosa ma non meno bella di Magome, ci sediamo per cena.
GIAPPONE ANTICO. La via Nakasendo: A caccia di cavallette.

Dal momento che parlo male giapponese e non ho senso dell'orientamento, ho deciso di unirmi a un tour organizzato da Paul Christie, proprietario dell'agenzia Walk Japan.
Il programma è percorrere più di venti chilometri al giorno per dodici giorni, con soste serali nei minshuku.
Incontro i miei compagni di viaggio - una coppia sino-statunitense, una coppia sino-canadese e un'esuberante famiglia inglese che arriva dall'Australia - nel museo xilografico di Ena, dove ammiriamo le immagini dei posti che visiteremo.
Nel seicento la via Nakasendo era molto affollata.
Oggi è più trnquilla, anche se non siamo gli unici turisti.
Appena usciamo da Ena incontriamo Okamura-san, un elegante signore con i capelli bianchi e il tradizionale cappello triangolare.
Anche lui sta percorrendo a piedi la via Nakasendo, per riscoprire la strada che facevano i suio antenati.
Riprendiamo il cammino e passiamo sotto enormi aquiloni colorati a forma di pesce e davanti a contadini che lavorano i campi di riso.
Paul è un'ottima guida.
Nato in Gran Bretagna, è un amante e un grande conoscitore del Giappone.
Ci racconta i misteri del cammino e ci introduce alle regole dell'etichetta giapponese.
Nel pomeriggio attraversiamo una vallata lussureggiante e, dopo una ripida salita, sbuchiamo esausti davanti alla porta del nostro primo minshuku.
Il Shinchaya, un'ex casa da tè, è un edificio di due piani in legno scuro lucido e con le tegole in ceramica, costruito nel periodo Edo.
Appena entra, sotto lo sguardo di un fagiano impagliato, sento le voci dei bambini che giocano: spesso nei minshuku tre generazioni di persone convivono con gli ospiti.
Sposto lo "shoji", il paravento di carta, ed entro nella stanza.
E' piccolissima e graziosamente trasandata, con i muri consumati dal tempo.
Dentro ci sono un tatami e un ampio tavolo quadrato.
Nei "ryokan" il personale rifà il letto, mentre qui ogniuno si sistema la stanza da solo.
Spostando un secondo paravento scopro una pila di futon, piumini e cuscini.
Ci sediamo sul tatami della sala da pranzo, decorata con una grande statua nera e alcune bambole dentro le bacheche di vetro.
I piatti sono già in tavola: dai più semplici (tempura vegetale, compresi alcuni germogli di montagna che ci ha regalato un negoziante) ai più strani (cavallette fritte).
Non c'è il bagno in camera: gabinetti e lavandini sono in comune.
E c'è la possibilità di rilassarsi dopo la passeggiata con un bagno caldo.


martedì 18 agosto 2009

GIAPPONE ANTICO: La via Nakasendo.
Mentre mi chino per passare sotto la minuscola entrata del Maruya, mi torna in mente quello che ho letto su internet.
"Qui non troverete la "haute cuisine" di un cuoco famoso e neanche le attrezzature di un albergo di lusso.
Ma non abbiamo intenzione di cambiare: vogliamo farvi rivivere la condizione del viaggiatore immutata nel tempo".
Appena gli occhi si abituano alla luce,mi rendo conto che la descrizione è fedele.
Sul pavimento in terra battuta sono allineate file ordinate di scarpe: sul tatami bisogna camminare con i calzini.
Alla mia destra un fuoco riscalda un bollitore appeso alla catena e il fumo, leggermente aromatico, sale verso il soffitto in legno.
Attraverso un "noren" blu (una tenda divisoria), una ripida scala conduce al secondo piano, che ricorda la soffitta di una nonna: è pieno di oggetti e lampade polverose accatastate accanto ad asini di rafia intrecciata.
Un arazzo mai finito è appoggiato su un telaio.
Lo spazio è buio e rustico, ma affascinante.
Maruya è un "minshuku", una locanda a gestione familiare.
I turisti di solito le trascurano e preferiscono i "ryokan", le locande di classe che offrono oggetti di antiquariato, banchetti mozzafiato e un elegante staff in kimono.
Invece la proprietaria del Maruya, Fujiwara Natsuko, 60 anni, indossa una blusa nera, larghi pantaloni beige e calze rosa.
Porta gli occhiali e i capelli raccolti.
Insomma, non ha nulla a che vedere con una gheisha.
Fujiwara gestisce con successo una locanda che ospita i viaggiatori dal 1789.
Inginocchiata vicino a una teiera fumante, mi spiega perchè il "minshuku" è speciale: "Nei "ryokan" i turisti non hanno nessun contatto nè con i gestori nè con gli altri ospiti.
Invece nei "minshuku" puoi conoscere gli altri: sono posti più amichevoli.
In giapponese c'è un modo di dire 'kawaka sen' che vuol dire incontrare volti".
Poi c'è anche l'aspetto economico.
Ho trascorso meno di 24 ore in un "ryokan" e ho speso quasi 200 euro.
I " minshuku " offrono un futon, la colazione e la cena per circa 50 euro.
Si trovano nella campagna giapponese e accolgono con ospitalità i viaggiatori di passaggio.
Ero molto curiosa di vedere un "minshuku" tradizionale.
Mi avevano consigliato di percorrere una strada, l'antica via Nakasendo: è lunga 500 chilometri e collega Kyoto a Tokyo.
Costruita nell'ottavo secolo, la strada ha continuato a svilupparsi fino al periodo Edo (tra il 1603 e il 1868).
Nata per facilitare gli spostamenti dei militari e dei governanti feudali, si snoda attraverso la meravigliosa regione montana di Kiso.
Lungo il cammino i viaggiatori stanchi e affamati incontrano 69 città tradizionali e moltissimi "minshuku.

lunedì 17 agosto 2009

INDICE DEI VIAGGI:
1°) PAPUA NUOVA GUINEA.
2°) GIAPPONE (Penisola di Shiretoko).
3°) AUSTRALIA ( Il treno del deserto).
4°) SERBIA (Belgrado).
5) MAURITANIA (Riserva naturale "Banc d'Arguin).
6) DA SAN FRANCISCO A HONG KONG IN NAVE.
7) Tratto di pianura che da "PARMA " arriva fino al "PO".
8) YEMEN (Shibam).
9) MOZAMBICO (Parco naz. di Gorongosa.
10°) GIAPPONE ANTICO (La via Nakasendo).
E' GIUSTO SAPERE:
Ho deciso di offrire a chi piace viaggiare (con la fantasia oppure in prima persona) una possibilità di scegliere degli intinerari prevalentemente avventurosi, che si distinguono per la loro diversità dai viaggi tradizionali.
Le descrizioni le traggo dal settimanale "INTERNAZIONALE" del quale sono abbonato ed affezionato lettore di tutti gli articoli che lo compongono.
Spero di fare cosa gradita a quanti mi leggeranno, ed auguro a tutti una piacevole lettura.
ERMANNO RARIS
MOZAMBICO. SERVIZIO SVEGLIA:
Si incomincia a sentire l'Africa alle quattro e mezza del mattino, con il canto dei tantissimi uccelli: è il servizio sveglia del parco.
Si sente l'Africa ascoltando i ruggiti notturni dei leoni o i galago, primati dal verso simile al pianto di un neonato.
Si sente l'Africa quando si attraversa una zona dove gli arbusti sono stati distrutti dagli elefanti o quando si ferma la jeep per lasciar passare una colonna di gigantesche formiche scacciatrici.
Quando si osserva la carcassa insanguinata di un facocero dopo l'assalto di un maschio rivale.
Quando ci si imbatte nella corsa ingannevole delle pernici, che non si lasciano addomesticare e per questo sono i simboli della Resistenza nazionale mozambicana.
O ancora quando si nota l'indifferenza di un gruppo di leonesse -nel tardo pomeriggio, l'ora della caccia -davanti alla nostra auto ferma.
Gli animali potrebbero attaccare in qualsiasi momento, ma il veterinario mi rassicura: "Non siamo prede interessanti".

MOZAMBICO. GLI ANNI DELLA GUERRA:
L'arca di Noè è passata di qua e gli animali sono tornati: molti vengono dallo Zimbabwe, dal Sudafrica o da altri parchi mozambicani.
Sono stati costruiti nuovi bungalow e abitazioni dal comfort impensabile nel bel mezzo della giungla: Gorongosa, ha preso la strada dell'ecoturismo.
"E' un progetto trentennale", conferma Greg Carr.
A Chitengo, Carr usa il tavolo del ristorante per spiegarci l'importanza di questa zona del Mozambico e cosa lo spinge a passare qui sei mesi all'anno.
Disegna tracciati immaginari: una successione di vallate che raggiunge un punto, Gorongosa, su cui convergono tutti i corsi d'acqua e dove si incrociano tutte le biodiversità.
Parla a lungo e intanto osserva due enormi lucertole che saltano dagli alberi ai tavoli, concentrate sul loro strano rituale e indifferenti alla presenza umana.
Greg senza dubbio ama gli animali, ma ama ancora di più gli uomini.
Crede nello sviluppo sostenibile.
Mi spiega che "più si riporta in equilibrio l'ecosistema, maggiori saranno i benefici per le comunità locali".
Non è certo il tipico americano: legge Euripide, cerca di imparare il portoghese con la gente del posto, cena con lo staff e non abbandona mai il computer portatile.
Il giorno dopo l'intervista lo incontro mentre, scottato dal sole, torna da un giro solitario tra i villaggi lungo i sentieri di terra rossa.
Mi racconta che è andato a fare un'inchiesta per capire le persone.
I bisogni più urgenti sono l'acqua, l'elettricità e un mercato.
Il portoghese Vasco Galante, responsabile della comunicazione del parco e braccio destro di Carr, conferma che al di là del suo valore simbolico Gorongosa è un luogo unico al mondo.
Niente a che vedere con il celebre parco Kruger, in Sudafrica.
"Niente asfalto qui,nè file di macchine.
Non è uno zoo a cielo aperto.
Gorongosa è selvaggia.
Qui si sente l'Africa".


MOZAMBICO. GLI ANNI DELLA GUERRA:
Soro Filipe, 47 anni, ha un tocco magico: riesce a ricavare delle note da un improbabile strumento musicale che si è costruito da solo.
Oggi fa l'insegnante a Chitengo, mentre da ragazzo lavorava negli asili per bambini bianchi.
Erano gli anni d'oro di Gorongosa, prima dell'indipendenza, quando il parco ospitava la più grande varietà di animali del pianeta e accoglieva 22mila turisti all'anno.
"Ora abbiamo più libertà, possiamo espatriare senza autorizzazione", racconta Soro.
Gli abitanti sembrano più disposti a ricordare l'epoca coloniale che i sedici anni di guerra, sia per pudore sia perchè non vogliono riaprire vecchie ferite.
Gorongosa, territorio della resistenza nazionale mozambicana, è stato un fronte di guerra, disseminato di trincee: si sparava su qualsiasi cosa che si muovesse, e gli animali colpiti venivano mangiati.
Le mandrie di migliaia di erbivori che "un tempo attraversavano la pianura come un mare in tempesta" non esistono più.
I rinoceronti e le iene sono stati sterminati.
Sono sopravvissuti solo cinque gnu azzurri su 5.500 esemplari, due zebre su seimila, 50 bufali su 14mila, 30 elefanti su quattromila e 30 leoni su trecentomila.
Baldeu Chande, il direttore del parco, ha vissuto prima l'euforia dei giorni dell'indipendenza, quando anche la sovranità su Gorongosa è passata al nuovo stato, e poi lo sgomento davanti al caos della guerra civile.
Chande ha contribuito alla riconciliazione nazionale reclutando tra il personale del parco ex guerriglieri delle due fazioni nemiche.
Gorongosa non è solo un parco nazionale.
E' il cuore del Mozambico: un cuore che ha subìto un lungo arresto cardiaco, ma che ha ripreso a battere grazie a una iniezione di 25 milioni di euro.

MOZAMBICO.

GLI ANNI DELLA GUERRA:
Il villaggio di Vinho è sulle rive del fiume Pungue.
Su 960 abitanti, 400 sono bambini.
Bande di ragazzini a piedi nudi, che si meravigliano molto più nel vedersi sullo schermo di una macchina fotografica digitale che per la carica di un elefante.
Di recente è comparsa qualche bicicletta: averne una è segno di ricchezza.
Costa 1.500 meticals (40 euro), un po' meno del salario minimo, che è sui 1.700.
La presenza delle biciclette non è un caso.
Due anni fa Greg Carr ha lanciato un progetto per il recupero del parco di Gorongosa, in collaborazione con le autorità mozambicane.
Tra i 670 dipendenti del parco ci sono 200 abitanti di Vinho.
Che fine farebbe questa terra senza il più grande datore di lavoro della regione?
Nell'accampamento di Chitengo (una delle entrate del parco), un gruppo di persone che aspettano tranquillamente il salario mensile risponde con un'alzata di spalle: "Machamba...".
Joaquim Corunhai, 70 anni, 16 figli, due mogli, è il capo del villaggio.
La sua casa di fango è proprio all'entrata di Vinho: chi arriva in canoa la vede subito.
"Adesso va tutto bene", afferma in un portoghese rudimentale.
Prima era peggio.
Il suo "prima" è l'epoca coloniale, quando era trattato da schiavo.
Ma si riferisce anche alla guerra civile, quando chi non moriva di fame o non era ucciso vagava alla ricerca di un riparo.
Alla fine della guerra Joaquim è stato il primo a tornare in quello che era diventato un villaggio fantasma.
I bambini di Vinho non hanno vissuto quell'epoca, ma hanno visto amici morire di malaria, dissenteria e aids.
In futuro anche loro avranno un "prima" da raccontare.
Grazie alla fondazione Carr una nuova scuola, dotata di computer, internet e pannelli solari, tra poco prenderà il posto della vecchia capanna di fango e canne.
Poco lontano sorgeranno un ospedale e una pompa per l'acqua, anche questi finanziati dalla fondazione.
Fino a poco tempo fa le persone si rivolgevano ai guaritori e all'infermeria del parco, che può accogliere 130 persone al giorno.


venerdì 14 agosto 2009

MOZAMBICO.
IL RITORNO DI NOE'.

Un ragazzino scalzo come tanti altri.
Una palla fatta di stracci.
La terra rossa che si attacca alla pelle.
Una scuola allestita in una capanna di canne, dove i banchi sono fatti con i mattoni presi da una casa coloniale.
I pali di due porte da calcio su un terreno irregolare in cima alla montagna.
Gli uomini si riposano all'ombra di un albero centenario, mentre le donne si sfiancano lavorando nella "machamba", un piccolo terreno coltivato come orto.
Improvvisamente il ventunesimo secolo fa irruzione dal cielo in questo luogo remoto: Nhancucu, provincia di Sofala, nell'entroterra del Mozambico.
Un villaggio dove si parla poco il portoghese e si usano di più il sena o il chirongosi, due delle tante lingue diffuse tra le ventidue etnie mozambicane.
Quì atterra l'elicottero che trasporta il miliardario statunitense Greg Carr, considerato il genio dell'informatica.
Carr ha abbandonato tutto per investire la sua fortuna nel recupero della riserva di Gorongosa.
Un ragazzo gli tende la mano e pronuncia un inatteso "Good morning, sir, how are you?.
Carr è sbalordito: non si aspettava di sentir parlare la sua lingua da queste parti.
Tonga Torcida, che dimostra molto meno dei suoi 17 anni, ha usato la frase giusta al momento giusto e nella lingua giusta.
Oggi Tonga, grazie alla sua tessera da stagista del parco, gira liberamente nell'accampamento di Chitengo: accompagna i turisti nei safari fotografici, studia la fauna, impara ad avvistare gli animali mimetizzati nella boscaglia.
Degli anni della guerra, quando i profughi scappavano sulle montagne con poco cibo e pochi vestiti, ricorda solo i racconti dei genitori.
Ha una borsa di studio della fondazione Carr, una bicicletta, una radio, un paio di occhiali all'ultima moda che gli ha regalato Greg e un futuro assicurato.
In questo paese di 18,5 milioni di abitanti, un tempo in testa alle classifiche mondiali della povertà e della sofferenza, si parla molto del futuro, anche se non sempre è garantito.
Durante i sedici anni di guerra civile, dal 1976 al 1992, era difficile coniugare perfino il presente.
Oggi, invece, c'è spazio anche per i verbi al futuro.
Quando un mozambicano parla di "prima", è meglio accertarsi di quale "prima" si tratta: l'epoca coloniale?
La guerra d'indipendenza?
Gli anni del partito unico?
La guerra civile?
Oggi tutto è in movimento, ma in quale direzione?
E' come un naufragio: una volta toccato il fondo, si può solo risalire, proprio come gli indici macroeconomici, che sono in crescita.
La strada verso una democrazia matura, invece, è più accidentata: il partito al potere, il Fronte di liberazione del Mozambico, che ha guidato la lotta per l'indipendenza dai primi anni sessanta, si è rafforzato.
L'opposizione è a pezzi ed è composta essenzialmente dalla Resistenza nazionale mozambicana.
Finora non c'è mai stata una vera alternanza.
Come sottolinea un mozambicano:"Noi abbiamo importato la democrazia, ma anche l'ordine neoliberista.
E a volte, qui in Africa, in abiti occidentali si suda molto".











martedì 11 agosto 2009

MOZAMBICO:
INFORMAZIONI PRATICHE : ARRIVARE E MUOVERSI.
Il visto per il MOZAMBICO costa 25 euro.
Maputo si raggiunge da Lisbona con un volo diretto della "Tap".
Altrimenti si può prendere un volo dall'Italia per Johannesburg e da lì imbarcarsi su un volo per Maputo della South African Airways o della compagnia mozambicana "Lam".
Il prezzo dell'intera tratta va da 800 a 1.300 euro a/r.
Per raggiungere il parco nazionale di Gorongosa conviene affittare una jeep a Beira, che si trova a cento chilometri da Chitengo (l'entrata del parco).
CLIMA: Il parco è chiuso da dicembre a marzo, durante la "stagione delle piogge".
DORMIRE: L'hotel Polana (snipurl.com/3m7uo) è in uno dei quartieri più belli di Maputo.
Una doppia costa 150 euro a notte.
L'Hotel Terminus ha un ottimo rapporto qualità prezzo: una doppia costo 50 euro a notte.


INDICE DEI VIAGGI:
1°) PAPUA NUOVA GUINEA.
2°) GIAPPONE (Penisola di Shiretoko).
3°) AUSTRALIA (Il treno nel deserto).
4°) SERBIA (Belgrado).
5°) MAURITANIA (Riserva naturale "Banc d'Arguin).
6°) DA SAN FRANCISCO A HONG KONG IN NAVE.
7°) TRATTO DI PIANURA che da "PARMA" arriva fino al "PO"
8°) YEMEN (Shibam).
9°) MOZAMBICO (Parco naz. di GORONGOSA).
A MIO AVVISO E' UTILE SAPERE CHE: In Italia esiste una attività che da più di trentacinque anni produce e commercializza "BANDIERE E RELATIVI ACCESSORI", da utilizzo sia per interni che per esterni partendo dalle bandierine da tavolo e arrivando fino ai pennoni in alluminio oppure in vetroresina da mt. 5 a mt. 22.
L'attività in oggetto è la B.A.F.A. BANDIERE (vedi catalogo in internet).

lunedì 10 agosto 2009

YEMEN-SHIBAM.

" Il recupero della città"
Il tramandarsi di quest'abitudine a volte fa pensare che il tempo si sia fermato secoli prima.
L'attico è anche la stanza con le finestre più grandi della casa, decorate da persiane di legno e gesso e a volte con vetri colorati.
In passato la vista stupenda che si ha da queste torri serviva a controllare le incursioni beduine, ma oggi è diventata un'attrazione per spillare qualche dollaro agli stranieri.
Il progetto di ristrutturazione di Shibam punta alla creazione di nuove strutture economiche e sociali che consentano a questa città di continuare a essere una comunità viva e non un semplice museo.
Il progetto punta anche sul turismo, un'attività che può creare posti di lavoro e rendere orgogliosi gli abitanti della città.
Il programma di recupero delle case ha quadruplicato la richiesta di edilizia tradizionale e ha contribuito all'economia locale.
I mastri costruttori della città hanno fondato un'associazione di categoria che vigila sugli appalti edili, per fare in modo che siano affidati alla manodopera locale e siano eseguiti secondo la tradizione.
Inoltre, i programmi di alfabetizzazione sono riusciti a raggiungere il 20 per cento delle donne analfabete della zona.
Attirare i turisti sembra più complicato.
Anche se la precarietà delle infrastrutture è ampiamente compensata dall'autenticità dei luoghi, lo Yemen ha una cattiva reputazione per quanto riguarda la sicurezza.
I sequestri di turisti stranieri compiuti dalle tribù in conflitto con il governo si alternano con alcuni attentati attribuiti ad Al Qaeda.
E' una magra consolazione sapere che i responsabili dell'attacco costato la vita a otto turisti spagnoli nel luglio dell'anno scorso a Maarib erano probabilmente dei terroristi stranieri.
Come nell'unico caso di sequestro, nel dicembre del 1998, in cui sono morte delle persone.
E' anche difficile capire bene la pericolosità della rivolta zaida perchè si tratta di un conflitto regionale lontano dalle rotte più frequentate.
Eppure è importante sottolineare che se per sicurezza si intendono rapine o furti, il rischio è minore rispetto a qualsiasi altra meta occidentale.
Ovviamente bisogna seguire le istruzioni delle autorità yemenite: i turisti stranieri che vogliono arrivare all'Hadramaut devono viaggiare con un'agenzia autorizzata e avere il permesso di viaggio.
Un piccolo fastidio ricompensato all'arrivo.

YEMEN-SHIBAM.

Allora il presidente Ali Nasser Mohamed chiese all'Unesco di includere Shibam nella sua lista dei luoghi considerati patrimonio dell'umanità.
Almeno 45 edifici erano in condizioni critiche per le inondazioni: bisognava restaurare il "ramad", la mescola di calce e cenere con cui si impermeabilizzavano i muri e il tetto.
La città è approdata al ventunesimo secolo grazie a un piano di emergenza per riparare la diga e a un altro più a lungo termine per creare una rete idraulica e fognaria, e grazie anche all'arrivo dell'elettricità e del telefono.
Da allora il governo yemenita si è impegnato nel restauro di Shibam, aggiudicandosi per questo uno dei premi Aga Khan di architettura nel 2007.
Il progetto di sviluppo urbano lanciato sette anni prima con l'aiuto dell'associazione di cooperazione allo sviluppo tedesca Gtz è riuscito a migliorare e restaurare più della metà degli edifici della città, che oggi ha due scuole e un ospedale, oltre a sei moschee e due madrasa.
Su 437 appartamenti, 398 sono di nuovo abitati.
Dalla strada gli edifici sembrano robusti.
I muri di un metro di spessore garantiscono l'appoggio dei piani superiori, la cui superficie si va riducendo man mano che aumenta l'altezza.
Lo stesso accade allo spessore dei muri, che alla fine sono di 30 centimetri.
L'edificio più alto di Shibam ha otto piani e supera di poco i 29 metri di altezza.
Ce ne sono anche di sei e sette piani, ma la maggior parte ne ha cinque.
Le torri yemenite non ospitano più di una famiglia e la successione dei piani segna ancora oggi la transizione dal pubblico al privato.
Il piano terra non si usa più come stalla ma, come dimostrano i 134 negozi censiti nel centro di Shibam, è un luogo di scambio con l'esterno.
Al primo piano c'è la sala per ricevere gli ospiti, una zona riservata generalmente agli uomini.
Al piano successivo si trova la stanza delle riunioni di famiglia, che a volte diventa una camera da letto.
Nei piani più alti ci sono le altre camere e la cucina, dominio tradizionale delle donne.
L'ultimo piano o "mafrach" è riservato alle riunioni con i familiari o con gli amici più stretti,che il pomeriggio sono invitati a masticare il qat, a leggere poesie o ad ascoltare musica tradizionale.
IL MODELLO ORIGINALE.


Questo complesso, che l'Unesco considera "l'esempio più antico e meglio conservato di pianificazione urbana basato sul principio della costruzione verticale", aveva ragioni difensive.
Gli architetti yemeniti dell'epoca cercarono di realizzare degli edifici in grado di resistere agli attacchi dei beduini.
Non potevano contare sulla protezione delle montagne perchè per accedere all'acqua dovevano rimanere accanto ai letti dei fiumi che irrigano la valle.
Per questo decisero di concentrare la popolazione nel minor spazio possibile all'interno di una struttura compatta.
Ancora oggi, arrivandoci in macchina, l'immagine della città fortezza è imponente.
Le mura, ricostruite come tutto il resto nel Cinquecento, circondano l'agglomerato urbano situato su una piccola collina.
Una volta attraversata la grande porta della città, attorno agli edifici si snoda un labirinto di stradine.
La loro sistemazione sembra essere concepita per rompere la prospettiva da terra, ostacolando la visuale e dando l'impressione che le case si nascondano una dietro l'altra.
E' una concezione urbanistica che ricorda la città musulmana, ma la Shibam dell'Hadramaut (ci sono altre Shimab nello Yemen) è stata costruita molti secoli prima della comparsa dell'islam, una religione che i suoi abitanti hanno subito abbracciato con fervore e che più tardi hanno contribuito a diffondere nel sudest asiatico, da Giava fino a Singapore.
Questo avveniva nel Settecento, quando le rotte marittime aperte dai portoghesi misero fine alle carovane.
Senza gli scambi commerciali che portavano ricchezza, gli abitanti di Shibam furono costretti a emigrare.
Le rimesse di chi era partito, però, contribuirono a preservare la città.
Un altro contributo alla conservazione fu quello della legge consuetudinaria, voluta dopo l'ultima ricostruzione del 1553, che stabiliva per i restauri l'obbligo di seguire esattamente il modello originale.
Ecco perchè i muri di fango sono arrivati ai giorni nostri senza grandi cambiamenti.
Al disprezzo con cui il regime marxista della repubblica democratica dello Yemen ( nato nel 1967 e crollato nel 1990, quando il paese si unì al nord ) trattò la regione, si unì nel 1982 la piena che distrusse la diga di Muza, nella periferia di Shibam.

LA VIA DELL'INCENSO.

Manhattan invidia a Shibam la tranquillità della strade,troppo strette per il traffico su ruote.
E Shibam invidia a Manhattan le risorse economiche, anche se all'epoca in cui la città yemenita era un importante centro commerciale sulla strada dell'incenso e delle spezie New York doveva ancora nascere.
Qui approdavano le carovane che dall'Oman andavano verso la Mecca e i porti del mar Rosso.
Al mercato di Shibam si vende ancora il migliore incenso dello Yemen, ma ormai le foglie del qat lo hanno relegato in secondo piano.
Gli yemeniti masticano le foglie di questo arbusto in compagnia degli amici, come noi beviamo un bicchiere di vino.
E' stata la ricchezza data dal commercio dell'incenso a contribuire alla creazione di uno dei più straordinari esempi di architettura del mondo, ripetuto poi in altre città dello Yemen, come Kawkaban o il centro storico di Sana'a.
E senza i materiali che secoli dopo avrebbero permesso la costruzione dei grattaceli.
A Shibam usarono solo fango e tronchi di palma per costruire torri alte nove piani che poggiano su fondamenta di pietra.
Vennero distrutte e ricostruite dopo le piene del 1298 e del 1532 e sono miracolosamente in piedi ancora oggi.
La varietà dei disegni che decorano le facciate degli edifici fa di Shibam un vero e proprio museo all'aria aperta.
Non sono solo la grande moschea o la casa di Jarhum, l'edificio più antico della città, ad avere persiane e porte di legno antico.
Nelle cinquecento torri conservate dentro le mura la calce incornicia i vani delle finestre o delimita i diversi piani.
In contrasto con il bianco della calce, la paglia usata per dare consistenza al fango emette barlumi dorati sotto il sole del deserto.
GRATTACIELI COLOR ORO - TORRI DI FANGO.


Dall'alto "SHIBAM" sembra un miraggio.
Una fitta schiera di edifici dorati che sorgono dalla sabbia sfidando la gravità.
Intorno, le palme e il letto dell'Hadramaut.
Più in là, solo il vuoto del Rub al Khali, un deserto molto esteso che ha segnato la vita e la storia di quest'antica città dello Yemen orientale.
Una volta sbarcati dall'aereo, la bellezza di Shibam resta intatta, ma da vicino si comprende meglio quanto sia difficile viverci e preservare quella che la viaggiatrice Freya Stark battezzò "la Manhattan del deserto".
Forse è Manhattan a dover essere considerata " la Shimab del ventesimo secolo", perchè la città yemenita, con i suoi grattaceli, è nata molto prima del centro finanziario statunitense.
I suoi settemila abitanti fanno risalire il primo insediamento al dodicesimo secolo avanti Cristo, anche se le prime prove scritte della sua esistenza risalgono a 1.500 anni dopo, quando Shabwa fu distrutta e la capitale del regno di Hadramaut fu trasferita in quest'oasi, crocevia di diverse rotte.

venerdì 7 agosto 2009

INFORMAZIONI PRATICHE:

SICUREZZA.
Negli ultimi mesi in Yemen ci sono stati diversi attentati.
Prima di partire registratevi sul sito del ministero degli esteri (dovesiamonelmondo.it).
Una volta arrivati, seguite le indicazioni delle autorità locali.
ARRIVARE.
La compagnia di bandiera Yemenia Airways (yemenia.it) effettua due voli settimanali da Roma per Sana'a con tariffe a partire da 350 euro.
CLIMA.
I mesi ideali sono "aprile-maggio e settembre-ottobre", perchè non fa caldo.
DORMIRE.
A Sana'a, l'albergo Burj Al Salam (burjalsalam.com) si trova nella città vecchia.
Dal suo ristorante si gode un'ottima vista della città.
La doppia costa circa 30 euro a notte.
A sibam, l'albergo Al Hawta Palace (universalyemen.com/hotels) ha 58 camere con l'aria condizionata.
Il prezzo per una doppia è di 24 euro a notte.


INDICE DEI VIAGGI:
1°) PAPUA NUOVA GUINEA.
2°) GIAPPONE (Penisola di Shiretoko).
3°) AUSTRALIA (Il treno del deserto).
4°) SERBIA ( Belgrado).
5°) MAURITANIA (Riserva naturale "Banc d'Arguin).
6°) DA SAN FRANCISCO A HONG KONG IN NAVE.
7°) TRATTO DI PIANURA CHE DA "PARMA" ARRIVA FINO AL "PO".
8°) YEMEN, SHIBAM.
A MIO AVVISO E' UTILE SAPERE CHE: In Italia esiste una attività che da più di trenta anni produce e commercializza BANDIERE e relativi ACCESSORI, da utilizzo sia per interni che per esterni, partendo dalle BANDIERINE DA TAVOLO, arrivando fino ai PENNONI di mt. 22 in alluminio oppure in vetroresina.

martedì 4 agosto 2009

IL MUSEO NEL CAMPANILE.


C'è anche un altro mondo piccolo, pochi chilometri più a est, che ruota intorno al paese di Brescello, dove negli anni cinquanta e sessanta sono stati girati i film franco-italiani basati sulle storie di Guareschi.
La piazza principale del paese è meta di pellegrinaggio per i fanatici di questi film.
La chiesa di don Camillo si trova proprio di fronte al municipio di Peppone.
Il paese ospita un museo con i cimeli usati sul set, come il carro armato russo che si vede in una famosa scena.
In realtà si tratta di un carro armato americano, rimesso a posto dopo essere stato usato per far pratica in una caserma di Roma.
I turisti, però, fanno ancora la fila per avere una foto ricordo accanto a quello che per loro è " il carro armato di Peppone ".
Brescello e i paesi dei dintorni hanno certamente le loro attrattive, con gli edifici rinascimentali e la suggestiva pista ciclabile lungo il fiume, ma è stato nei tranquilli dintorni delle chiesette descritte da Guareschi che ho ritrovato il vero spirito dei suoi racconti.
Nel paese di Diolo, per esempio, c'è una stranezza degna di una delle sue avventure: una chiesa senza campanile.
La storia racconta che quando, nel 1900, il tetto della parrocchia del cinquecento crollò, gli abitanti del paese decisero di finanziare una chiesa più grande a un chilometro di distanza, con tanto di pinnacoli e gargouille, ispirandosi al duomo di Milano.
Poi però finirono i soldi e non riuscirono a finanziare la costruzione del campanile.
Così gli abitanti di Diolo decisero di conservare il campanile originale.
Oggi questo campanile ospita un altro museo dedicato a Guareschi, gestito da un ometto con un grande sorriso, che conosceva bene lo scrittore e gli somiglia in modo impressionante.
Cesare Bertozzi, costruttore in pensione, conosce la Bassa meglio di chiunque altro: la sua famiglia vive qui dal 1803.
Ricorda ancora quando le famiglie, d'inverno si riunivano nelle stalle a scaldarsi, a mangiare, a bere e a raccontarsi storie.
In primavera andavano nei canali di irrigazione a strappare le erbacce, cantando mentre lavoravano, e il prete si lamentava sempre che i socialisti cantavano meglio.
Gli ho chiesto se la vita fosse cambiata molto.
Mi ha risposto che ora ci sono più macchine ad aiutare nei campi, ma che i ritmi di vita sono rimasti gli stessi.
Guareschi ha scritto una delle sue battute più famose quando era prigioniero in un campo di concentramento tedesco, durante la seconda guerra mondiale: "Non morirò. Finchè non mi uccideranno".
Grazie al fascino senza tempo di don Camillo e Peppone, il suo mito vivrà ancora a lungo.

lunedì 3 agosto 2009

GUARESCHI HA SCRITTO CHE LA BASSA NON E' FATTA PER I TOUR ORGANIZZATI, ma per chi non teme di restare solo con i propri pensieri.
Così ho evitato i percorsi più affollati per addentrarmi su sentieri meno battuti e i viottoli di campagna.
Dopo un po' ho deciso di lasciare l'auto e continuare in bicicletta, proprio come un personaggio dei libri di Guareschi.
Una gara di "pedalata lenta e cordiale" mi ha offerto l'occasione che cercavo.
Decine di uomini, donne e bambini sono partiti dal paese natale di Guareschi, Fontanelle, per percorrere i cinquanta chilometri fino alla sua casa di Roncole Verdi.
Ho pedalato con loro sui terrapieni che arginano il Po, da cui si ha una splendida vista sulla Bassa, passando davanti a chiesette in rovina e a vecchi cimiteri che spesso fanno da sfondo alle avventure di don Camillo.
Lungo il tragitto abbiamo fatto molte soste e ci siamo fermati a mangiare in un ristorante sul fiume che sembrava il set di un film di Bertolucci (e in effetti, il casale dove il regista girò alcune scene di "Novecento" è stato una delle nostre tappe pomeridiane).
L'escursione ha tenuto fede al suo nome, dando il tempo a degli omoni non proprio in forma di divertirsi a raccogliere papaveri e a metterseli dietro l'orecchio, mentre altri pedalavano ascoltando la partita Inter-Milan trasmessa dalle radioline.
C'è stato anche il tempo per una chiacchierata con il figlio di Guareschi, Alberto, che gestisce un museo dedicato a suo padre a Roncole Verdi, proprio accanto al casale dove è nato Verdi.
Ero già venuto a trovare Alberto un paio di giorni prima, e lungo la strada mi ero fermato a fotografare i manifesti che ritraevano il padre.
Un uomo in bicicletta si era avvicinato e mi aveva chiesto cosa stessi facendo.
Quando sono riuscito a spiegarglielo, nel mio spaventoso italiano, il tizio mi ha stretto la mano e ha detto: "Ah, Giovannino.
Un grand'uomo,un grand'uomo", e si è poi allontanato pedalando.





FILARI DI PIOPPI.


Nella bella stagione, i prati e i campi si accendono di papaveri rossi e i filari di pioppi lungo il Po sussurrano nel vento leggero.
Il grande fiume che qui chiamano "madre" dà e prende vita, irrigando i campi per poi inondarli e facendo annegare qualcuno nei suoi insidiosi mulinelli.
"La gente di qui non potrebbe vivere senza il fiume, ma spesso si tratta di una convivenza difficile", mi racconta Melanie.
"Non sai mai cosa sta per succedere.
Ma qundo il Po tracima, la prendono con filosofia: 'E' solo un fiume', dicono, 'viene avanti, e poi torna indietro'".
Per alcuni giorni la mia base è stata I due Foscari, un piccolo albergo vecchio stile che si trova a Busseto, meta di pellegrinaggio per gli amanti dell'opera: Verdi fu maestro d'organo nella locale chiesa secentesca di San Bartolomeo, e l'hotel prende il nome da uno dei suoi capolavori.
Guareschi parcheggiava sempre la sua Moto Guzzi rosso fuoco nella piazza del Caffè centrale, dove si sedeva a bere e a leggere il giornale.
Lo so perchè me l'ha raccontato il proprietario del negozio di formaggi.
Così, quel caffè è diventato il mio posto fisso per la sera.
Dopo l'aperitivo, di solito attraverso la piazza per cenare al ristorante Teatro.
Leggendo i racconti di Guareschi assaporo l'ambiente amichevole e i piaceri semplici della vita di provincia.
A Busseto non ci sono negozi di souvenir e per la maggior parte del tempo sento a parlare solo italiano.
Via Roma, la stada principale, si riempie di banchi del mercato che vendono parmigiano reggiano e culatello, venerato come il re dei prosciutti.
Le persone arrivano anche dai dintorni per fare acquisti e pettegolezzi.