domenica 24 gennaio 2010

BERLINO - ASTANA (IN TRENO).

FORESTE DI BETULLE.

Lo seguo fino al binario, dove le carrozze dirette in Kazakistan sono state attaccate a un treno per Kiev.
Non resta molta gente.
Io e una giovane russa siamo gli unici passeggeri del vagone letto in partenza da Saratov.
Gli altri viaggiatori non possono permettersi la relativa comodità di viaggiare in un vagone letto a tre posti.
Anche se Raya cerca in tutti modi di farmi capire che è vietato, lascio la carrozza per andare a vedere com'è il vagone con le cuccette.
Qui i posti sono meno cari e lo scompartimento è pieno.
Solo pochi centimetri dividono una cuccetta dall'altra.
Quasi tutti indossano solo la biancheria intima e cercano di prendere sonno nonostante il caldo.
A bordo del treno il tempo scorre sorprendentemente veloce, anche perchè tutti i giorni cambiano fuso orario.
In assenza della mia amica Sabrina, gli unici passatempi sono bere, mangiare e guardare fuori dal finestrino.
Il mercoledì mattina gli uomini in uniforme fanno un'ultima apparizione.
Siamo alla frontiera kazaka.
Stavolta il treno riparte senza che gli agenti mi abbiano restituito il passaporto.
In servizio c'è Wadim: "Il mio passaporto?", gli chiedo, un po' agitato.
Lui mi fa capire che per cinquecento rubli può risolvere la faccenda.
Wadim sorride: ha vinto lui.
Dopo aver intascato il denaro, mi restituisce il passaporto.
Il paesaggio che scorre dal finestrino è diventato monotono.
Le foreste di betulle e le baracche di lamiera ondulata che si vedevano in Russia ormai sono lontane.
Siamo nella steppa, dove si vede solo erba.
Passo la mia prima notte in territorio kazaco.
Fuori scende la notte più nera.
Ore e ore senza scorgere neanche un'abitazione.
Di colpo, Raya fa irruzione nello scompartimento.
"Guarda, guarda!", esclama indicando il finestrino.
In lontananza brillano le luci di Astana, la capitale della steppa.
Il treno entra in stazione con otto minuti di ritardo.
Un tassista viene a prendermi sulla banchina.
Si impadronisce dei miei bagagli e si mette a correre sui binari in direzione del parcheggio.
Certo, c'è un'uscita ufficiale, mi spiega, ma così si accorcia la strada.
Raya passerà ancora una notte a bordo del treno.
Domani proseguirà fino a Taras, la città dove abita, a circa mille chilometri da Astana.
"Bye bye", mi dice, stampandomi un bacio sulla bocca.
"Do svidania", le rispondo, prima di lanciarmi all'inseguimento del tassista.

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