giovedì 14 gennaio 2010

CINA (DESERTO DI "TAKLAMAKAN").

A OGNUNO IL SUO ORARIO.

L'esploratore svedese Sven Hedin attraversò questo deserto verso la fine dell'ottocento.
Nelle sue memorie descrisse il viaggio come una "via dolorasa", ricordando le tante perdite in termini di vite umane e di animali.
Non a caso si dice che il Taklamakan sia popolato dai fantasmi.
Per secoli intere città sono state sepolte dalla sabbia, lasciando un senso di desolazione a chi cercava di attraversare il deserto.
Sul Taklamakan circolavano le leggende più folli.
Si raccontava di città con strade lastricate d'oro, e per questo molti cercatori di tesori si avventurarono in quei luoghi.
La maggior parte di loro tornò a mani vuote.
Altri esploratori, come Aurel Stein o Albert von Le Coq, trovarono invece delle splendide opere d'arte, smentendo così la teoria dei cinesi secondo cui la regione doveva essere popolata da barbari.
Prima di sparire sotto la sabbia, queste città hanno visto passare le carovane che, oltre alle merci, portavano il buddismo.
Arrivata dall'India, questa filosofia ha lasciato molte tracce nel Taklamakan.
Tracce scoperte solo alla fine dell'ottocento dagli occidentali che volevano riempire i loro musei di opere d'arte.
Britannici, tedeschi, francesi, russi e statunitensi hanno esplorato il deserto portando via affreschi, manoscritti e statue che testimoniavano la ricchezza culturale della regione.
In quest'area hanno convissuto a lungo persone e idee arrivate dall'India, dall'Asia centrale e dalla Cina.
Infatti, nonostante le sue riserve verso i "barbari", l'antico impero cinese ha sempre cercato di estendere il suo dominio, insediando guarnigioni che poi cedevano regolarmente di fronte alle offensive dei tibetani o dei sovrani locali.
Solo nell'ottocento la Cina è riuscita ad annettere la regione, dandole il nome di Xinjiang (nuova frontiera) e avviando un'integrazione forzata.
L'islam era diventato da tempo la religione dominante della regione.
Nel 1949, quando Mao Tse Tung arrivò al potere, gli uiguri rappresentavano il 90 per cento della popolazione dello Xinjiang.
La coabitazione con i cinesi non è mai stata facile.
Basta andare a Kashgar, punto di accesso occidentale al Taklamakan, per rendersi conto delle tensioni tra le due comunità: non sono d'accordo su nulla, nemmeno sull'ora.
Prendere l'aereo, il treno o la corriera per Kashgar in partenza da Urumqi, capitale dello Xinjiang, riserva delle sorprese.
Ufficialmente in Cina c'è un solo fuso orario: quando è mezzogiorno a Pechino, lo stasso vale a Lhasa, in Tibet o a Urumpi.
Ma nello Xinjiang le cose vanno diversamente.
C'è l'ora di Pechino, come indicano i tabelloni alla stazione degli autobus o all'aeroporto, e c'è l'ora locale seguita dagli uiguri: due ore prima rispetto al resto dei cinesi.

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