lunedì 28 dicembre 2009

PAPUA NUOVA GUINEA.

NEL 2003 IL VILLAGGIO DI SUGUNIGA ha inaugurato un suo centro culturale: una grande capanna dedicata alle danze del fuoco.
Una capanna che materializza le speranze di chi lotta per la salvaguardia dell'identità kaluli.
"Qui non abbiamo niente.
Non abbiamo strade, miniere d'oro o do gas, come invece hanno le altre tribù", dice con rammarico Andrew Esiye, uno dei pochissimi ad aver frequentato le scuole superiori a Port Moresby, la capitale di Papua Nuova Guinea.
"Non abbiamo altro che la nostra foresta e la nostra cultura.
Dobbiamo stare attenti a non perderle".
Il microcosmo tribale dei kaluli soffre per l'isolamento: quasi nessuno sa leggere o scrivere e non ci sono prospettive per il futuro.
L'unica risorsa è la foresta, che fornisce il cibo e il materiale necessario per costruire le capanne e per preparare i costumi da indossare durante le cerimonie.
Un patrimonio naturale che rappresenta l'unico mezzo di sussistenza, ma anche l'unico bene commerciabile.
Gli alberi secolari attirano le aziende forestali.
Uno studio di Phil Shearman, dell'università di Port Moresby, ha dimostrato che la foresta tropicale di Papua Nuova Guinea - la terza al mondo dopo quella dell'Amazzonia e del Congo - potrebbe essere dimezzata nel 2021.Lo studio ha confrontato delle vecchie carte geografiche con le immagini satellitari.
Si è visto che la giungla si è ridotta: dai 38 milioni di ettari del 1972 si è passati ai 33 milioni di ettari del 2002.
Prima la giungla ricopriva l'82 per cento del territorio, oggi arriva al 71.
Tra il 2002 e il 2007 il tasso annuale di disboscamento è passato dall'1,4 all'1,7 per cento, contro lo 0,9 per cento del Brasile.
La foresta di Papua Nuova Guinea scompare a una velocità quasi doppia rispetto a quella amazzonica.
Ma gli interessi dell'industria forestale non sono gli unici a minacciare la regione: i progetti di estrazione di gas e di minerali previsti nel Southern Highlands potrebbero avere delle conseguenze anche sul bacino del fiume Kikori.

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