venerdì 11 dicembre 2009

COLOMBIA ("BOGOTA' ").

LE DUE VITE DI BOGOTA'.

Se nel bagno dell'albergo, oltre alla cuffia per la doccia, al rasoio e ai prodotti di bellezza, trovi anche dei preservativi, vuol dire che non sei in un posto come gli altri.
Le persone che incontri parlano inglese, francese e italiano.
Come se fossero appena state a una conferenza a Parigi insieme a Umberto Eco.
Le luci mettono in risalto gli edifici di mattoni rossi tra le colline alberate che fanno la guardia alla città.
E' come se il New Mexico e Rio de Janeiro si fossero fusi insieme.
La prima cosa che mi chiedono i miei amici colombiani, con la loro aria spietatamente intellettuale, è sempre la stessa: "Cos'è che più ti preoccupa della situazione mondiale?".
La prima volta che ho visto Bogotà, nel 1975, ero ancora un adolescente.
Le nuvole blu e nere, perennemente sospese sulla città, erano probabilmente un riflesso dell'ignoranza che mi attanagliava la mente.
Con un mio compagno di classe avevamo trovato un elenco improbabile degli alberghi che offrivano stanze a basso prezzo.
E parlavo spagnolo così male che non avevo capito cosa voleva dire il tassista quando, dopo averci squadrato, ci aveva chiamato "muchachas".
Dormimmo tre giorni all'hotel Picasso, una struttura fatiscente in una via buia circondata da strade non asfaltate, prima di renderci conto che gli altri ospiti dell'albergo erano tutte donne molto disponibili e piuttosto svestite.
E le ragazze erano stupite che due diciottenni sapessero così poco sui fiori e sulle api.
Oggi ho quasi il triplo degli anni e sono in grado di capire tutto quello che mi era sfuggito di questa città piena di divisioni e di tensione.
I ragazzi ricchi della Zona rosa si tengono lontani dalle baraccopoli di Ciudad Bolivar proprio come le ragazze dell'hotel Picasso evitano le sale da tè di Los Rosales.
Bogotà è in parte una città che adora l'Europa e le riviste culturali, come la New York Review of Books.
Ma è come se fosse perennemente coperta da uno strato di nubi (la sua anima selvaggia) e da una leggera pioggia in stile inglese.
"I ricchi vogliono sentirsi europei", mi ha detto una volta una giovane laureata che non dava molto peso al fatto di conoscere tre lingue.
"La classe media vuole essere americana, mentre i poveri", e ha indicato un taxi da cui arrivava una musica mariachi ad alto volume, "vogliono essere messicani".
"E gli indigini?", le ho chiesto.
"Un indigeno vuole solo essere se stesso", mi ha risposto.

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