martedì 15 dicembre 2009

GIAPPONE (REGIONE DI "TOHOKU").

SALVATO DAL GPS.

Affitto una piccola Mazda color argento perchè la ferrovia non arriva fino alle montagne.
Guidare nelle campagne del Giappone è semplice: le strade sono larghe e nelle grandi vie di comunicazione il limite di velocità è di 50 chilometri orari, ideale quando si vuole godere tranquillamente del paesaggio.
La cosa più difficile è imboccare la strada giusta: le località principali sono indicate da cartelli segnaletici scritti nell'alfabeto latino, ma non i piccoli paesi o le terme più remote.
Ogni mattina, prima di lasciare l'albergo, faccio un inchino a chiunque si trovi dietro il bancone della reception.
Subito dopo gli passo un foglietto su cui c'è scritto "per favore, programmi il mio navigatore satellitare in direzione di ...".
Oggi il gps mi porta in una regione mistica, su strade di montagna che attraversano fitte foreste.
In mezzo a questa cupa vegetazione si trova Aoni Onsen, un "ryokan" (un albergo tradizionale giapponese) costruito sulla sponda di un fiume, dove è possibile fare il bagno in vasche calde illuminate di notte da lumi a petrolio.
Un posto tranquillo creato negli anni trenta da un poeta che voleva riprendere le forze dopo una malattia.
Nelle stanze non ci sono nè radio nè televisori.
L'elettricità viene usata raramente, ma le deboli luci di un registratore di cassa e di un computer dietro la reception rompono l'incanto.
Mi cambio indossando una "yukata" di cotone (un Kimono estivo) e dei "geta" (sandali di legno) che, come quasi tutte le calzature fornite dagli alberghi giapponesi, sono decisamente troppo piccole e quindi mi obbligano a camminare zoppicando.
Dopo un paio di passi incerti verso la vasca, la voglia di comodità vince sulla tradizione: decido di cambiare i sandali con scarpe di gomma da piscina, come hanno fatto tutti gli altri.
Il rituale del bagno in comune (come in qualsiasi situazione dove ci si trova nudi di fronte a degli estranei) è una di quelle circostanze in cui può essere utile conoscere alcune regole.
In questi frangenti le abitudini occidentali lasciano perplessi i giapponesi, che non si sognerebbero mai di entrare in una vasca piena di acqua sporca e di pelle morta.
Prima ci si lava fuori, sciacquandosi sotto una doccia o sotto lo scroscio di un secchio di legno, poi si pulisce ogni parte del corpo sfregandosi con una spugna.
Solo a quel punto ci si può immergere nella piscina.
Mentre fa buio e si accendono le lanterne resto seduto a osservare l'acqua che precipita da una rupe alta venti metri.
Tonificato e con ogni poro aperto torno in albergo percorrendo il ponte di legno che attraversa il fiume.
Per cena ci si ritrova nella sala principale.
Una cinquantina di ospiti siedono a dei tavoli bassi dove vengono serviti cibi di stagione, funghi matsutake, pesce alla griglia e una ricca zuppa autunnale di miso presentata su vassoi di lacca.
Verso le nove cala il silenzio.
Tutti a letto.
In alcune località il bagno nelle terme è un'attrazione secondaria.
Tamagawa è una sorta di paese delle meraviglie geotermico, con piscine di fango caldo e bocche che eruttano vapori acri.
I visitatori si sdraiano sul terreno caldo per curare le malattie artritiche e reumatiche: avvolti in lenzuoli dalla testa ai piedi, sembrano bruchi dai colori vivaci in un campo profughi su Marte.
Un uomo cuoce una patata dolce e una zucca calando un sacchetto in una fossa da cui esce del vapore.
Quest'aria mi fa venire mal di testa e i miei vestiti puzzano di zolfo anche molte ore dopo.

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