domenica 27 dicembre 2009

BOTSWANA (DELTA DELL' "OKAVANGO").

PAVIMENTO DI SALE.

Makgadikgadi è una landa desolata bianchissima su cui ballano in lontananza miraggi tremolanti.
Guidando alla cieca, perchè non c'è niente che permetta di distinguere un punto dall'altro a parte la superficie della crosta terrestre.
All'inizio è grigia e rugosa come la pelle di rinoceronte, poi diventa brillante per via dei cristalli di sale.
Si vedono delle crepe.
Il terreno si alza e si scolla, arrotolandosi come le foglie di tabacco.
Scendo dall'auto e mi tolgo le scarpe.
Il terreno scricchiola.
Le piante dei piedi bruciano per effetto del sale.
Ci accampiamo, accendiamo il fuoco e guardiamo le stelle che pulsano nel cielo blu scuro.
Prima di addormentarmi conto diciannove stelle cadenti.
I tuoni mi svegliano poco prima dell'alba.
Sento una goccia di pioggia sulla guancia e sveglio Roger.
"Non è pioggia", mi dice, mentre una seconda goccia mi cade sul viso.
"Ma arriverà".
C'è una nota di speranza nelle sue parole.
In setswana, la lingua nazionale, pioggia si dice "pula".
Significa anche fortuna, salute e prosperità.
Forse non è un caso in un paese coperto per l'80 per cento dalle sabbie del Kalahari.
E' un mese che gli abitanti aspettano la pioggia, che ora sembra finalmente in arrivo.
Da giorni si accumolano nuvole a forma di incudine, mentre in lontananza si sente il rumore dei tuoni e dei lampi che attraversano un cielo di porcellana.
Come i batswana locali, sono ossessionata dall'acqua.
In questo paese gli uomini passano ore a fissare i letti asciutti dei fiumi.
Strizzano gli occhi al cielo, chiedendosi se oggi o domani pioverà.
Quando gli scorpioni escono dalle tane - alcuni neri e brillanti come l'ossidiana, altri splendenti come vetro giallo - tutti sospirano di sollievo.
E' un segno inequivocabile che sta arrivando la pioggia.
Un raggio di sole fa capolino all'orizzonte di sale.
Comincia a far caldo appena smontiamo le tende.
Due garruli bianchi e neri sbattono le ali sopra la nostra testa.
Decidiamo di seguirli.
Non vediamo anima viva da un giorno solo, ma la solitudine è immensa, quasi travolgente.
E' difficile, oggi, pensare do trovare un luogo cosi disabitato.
Ci mettiamo a caccia di suricati, con le loro code alte e i loro curiosi segni sul muso.
Schizzano nelle tane prima di riaffacciarsi con aria circospetta, sfoggiando una postura impeccabile.
Un orice china la testa e infila le sue lunghe corna dritte in un cespuglio spinoso, cercando disperatamente l'ombra tra quei pochi rami contorti.
Uno scoiattolo allarga la coda e se la avvolge sulla testa per proteggersi dal sole ardente.
La vita qui non è scontata nell'Okavango, ma ha lasciato le sue tracce anche in questa terra piatta e aspra.
Il fascino di questo posto, però, non sta in quello che c'è, ma in quello che manca.

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