martedì 17 novembre 2009

TURCHIA-IRAN, IN TRENO.

VENERDI ALL'ALBA.
La ferrovia costeggia il fiume Murat, in pieno Kurdistan, a meno di duecento chilometri a nord di Diyarbakir.
Il treno attraversa molte gallerie a velocità ridotta.
Il paesaggio è cambiato: le montagne sono aumentate.
Nella regione ci sono anche diverse basi militari a causa degli attacchi del Pkk, il partito dei lavoratori del Kurdistan.
Con quasi tre ore di ritardo arriviamo a Tatvan, sulle rive del lago di Van.
Qui finisce il servizio del Trans-Asya Ekspresi.
I passeggeri scendono e si portono i bagagli fino alla nave attraccata a cinquanta metri dai binari.
Sulla banchina, la squadra turca: il cuoco e i quattro aiutanti del bar-ristorante salutano i passeggeri.
Al tramonto la traversata del lago è di una bellezza incredibile.
Cala la sera e la maggior parte dei passeggeri del traghetto è riunita in una sala dove c'è un bar che è anche un ufficio cambi.
Si possono cambiare dollari, euro e lire turche con i rial iraniani.
Sul ponte i ragazzi bevono le ultime bottiglie di birra.
Una volta arrivati a Van, all'estrema punta orientale del lago, e dopo aver aspettato sul traghetto per più di tre ore, saliamo su un treno iraniano.
Appena il tempo di addormentarsi, che in piena notte, alle quattro del mattino, il treno si ferma.
Siamo a Kapikoy, tra la Turchia e l'Iran, a cento chilometri da Van.
I passeggeri si dirigono insonnoliti verso la squallida sala del posto di frontiera.
Le donne hanno rimesso il velo, i bambini dormono sulle ginocchia delle madri.
C'è un solo sportello per il controllo dei passaporti e dei visti.
L'attesa è lunga e silenziosa, ogni passeggero è chiamato per nome.

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