lunedì 9 novembre 2009

MESSICO (stato MICHOACAN, città PATZCUARO).

UNA FAMIGLIA accoglie Spenser e me nella sua cerchia.
Io mi lancio nella conversazione affidandomi a uno stentato spagnolo e a una serie di espressioni del viso per trasmettere le mie emozioni.
Spenser, però, non ha ancora voglia di fare pratica con la lingua e si defila.
Preferisce osservare invece di conversare e io per comunicare con lui ho imparato altri modi: uno sguardo, una scrollata di spalle, il saper restare in silenzio.
In molte zone del Messico rurale gli abitanti dei villaggi illuminano strade e sentieri con lampade al cherosene per assicurarsi che i loro cari facciano tranquillamente ritorno alle tombe: le anime che si smarriscono possono combinare guai sulla Terra.
Nella nostra ultima tappa, il villaggio di Arocutin, le lanterne ci guidano per interi isolati, mentre gli autobus portano i visitatori a una cerimonia spettrale che si conclude a mezzanotte al suono delle campane.
I turisti - soprattutto messicani, ma anche nordamericani ed europei - si fermano davanti alla chiesa illuminata, io invece decido di abbandonare la luce della chiesa per fare un giro.
Tra le tombe scopro famiglie raccolte intorno al fuoco: ridono, raccontano storie e sgridano i bambini, come se fossero al mercato.
Penso che se potessimo vedere le facce dei loro antenati scopriremmo che ridacchiano anche loro.
E' così che migliaia di messicani immaginano i loro morti: li vedono ridere e scherzare come se fossrero contenti di essere dove sono.
Sola nell'angolo più lontano del cimitero, ho un problema da risolvere: come cominciare una conversazione quando nessuno ti ha invitato a parlare?
Dovrei chiedere "chi è sepolto qui?".
E se poi una madre risponde, "mio figlio, che è morto la settimana scorsa" e comincia a piangere?
La donna a cui lo chiedo risponde puntualmente: "E' mio marito. E' morto dieci anni fa".
Osservo la fotografia ingiallita di quel viso un tempo rotondo e onesto senza distogliere lo sguardo, cosa che forse avrei fatto prima di venire qui.
La guardo intensamente.
Mi ha sempre messo a disagio parlare di persone che ho conosciuto e che sono morte: amici, familiari, perfino conoscenti lontani.

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