mercoledì 18 novembre 2009

TURCHIA-IRAN, IN TRENO.

SABATO MATTINA.
Nel treno iraniano l'atmosfera è completamente diversa.
I corridoi sono meno frequentati.
Il ristorante dallo stile pomposo è deserto.
"Niente più birre e diritto di giocare a carte: benvenuti in Iran", sorride Reza davanti al suo tè.
"Niente balli, altrimenti zac!", dice divertito Ali, mimando un'impiccagione.
Le donne escono dal loro scompartimento solo con il velo.

12,15.
Tabriz, capitale dell'Azerbaigian orientale.
E' la prima sosta in territorio iraniano.
Controllo dei bagagli e delle merci.
A Tabriz scende Fashad, un giovane curdo iraniano che ha lavorato per un mese come venditore di kebab a Istanbul.
Durante questo viaggio in treno ha stretto amicizia con Reza, che vive a Teheran.
Insieme hanno pensato di mettersi in affari nel turismo, all'estero.
Allontanandosi da Tabriz, la ferrovia costeggia un gasdotto.
In lontananza si vede il fumo della ciminiera di una raffineria di petrolio.
In Iran la "vera" vita si svolge all'interno delle case, così anche la "vita" del treno si è trasferita all'interno degli scompartimenti.
Da qualche parte arrivano risate rumorose.
Emilia sta facendo vedere il video del matrimonio alle sue nuove amiche, tre studentesse di Shiraz che le fanno molte domande indiscrete.
Nello scompartimento accanto una bella cinquantenne intona un canto magnifico, accompagnata da alcune "vicine" che fanno schioccare le dita a ritmo della musica.
"Fare una cosa del genere comporta dei rischi", dice una di loro, "perchè in Iran le donne non hanno il diritto di cantare in pubblico".
Nella notte tra sabato e domenica, con più di sei ore di ritardo, il treno entra nella stazione di Teheran.
Sulla banchina ci si dice addio, ci si scambia l'indirizzo e ci si promette di rivedersi.
Nella hall c'è una trentina di persone che aspetta mogli, mariti, sorelle, fratelli,
cugini, zii.
Ma per alcuni passeggeri il viaggio non è finito, dovranno fare ancora molte ore di strada prima di arrivare finalmente a casa.

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