mercoledì 19 agosto 2009

GIAPPONE ANTICO. La via Nakasendo: A caccia di cavallette.

Dal momento che parlo male giapponese e non ho senso dell'orientamento, ho deciso di unirmi a un tour organizzato da Paul Christie, proprietario dell'agenzia Walk Japan.
Il programma è percorrere più di venti chilometri al giorno per dodici giorni, con soste serali nei minshuku.
Incontro i miei compagni di viaggio - una coppia sino-statunitense, una coppia sino-canadese e un'esuberante famiglia inglese che arriva dall'Australia - nel museo xilografico di Ena, dove ammiriamo le immagini dei posti che visiteremo.
Nel seicento la via Nakasendo era molto affollata.
Oggi è più trnquilla, anche se non siamo gli unici turisti.
Appena usciamo da Ena incontriamo Okamura-san, un elegante signore con i capelli bianchi e il tradizionale cappello triangolare.
Anche lui sta percorrendo a piedi la via Nakasendo, per riscoprire la strada che facevano i suio antenati.
Riprendiamo il cammino e passiamo sotto enormi aquiloni colorati a forma di pesce e davanti a contadini che lavorano i campi di riso.
Paul è un'ottima guida.
Nato in Gran Bretagna, è un amante e un grande conoscitore del Giappone.
Ci racconta i misteri del cammino e ci introduce alle regole dell'etichetta giapponese.
Nel pomeriggio attraversiamo una vallata lussureggiante e, dopo una ripida salita, sbuchiamo esausti davanti alla porta del nostro primo minshuku.
Il Shinchaya, un'ex casa da tè, è un edificio di due piani in legno scuro lucido e con le tegole in ceramica, costruito nel periodo Edo.
Appena entra, sotto lo sguardo di un fagiano impagliato, sento le voci dei bambini che giocano: spesso nei minshuku tre generazioni di persone convivono con gli ospiti.
Sposto lo "shoji", il paravento di carta, ed entro nella stanza.
E' piccolissima e graziosamente trasandata, con i muri consumati dal tempo.
Dentro ci sono un tatami e un ampio tavolo quadrato.
Nei "ryokan" il personale rifà il letto, mentre qui ogniuno si sistema la stanza da solo.
Spostando un secondo paravento scopro una pila di futon, piumini e cuscini.
Ci sediamo sul tatami della sala da pranzo, decorata con una grande statua nera e alcune bambole dentro le bacheche di vetro.
I piatti sono già in tavola: dai più semplici (tempura vegetale, compresi alcuni germogli di montagna che ci ha regalato un negoziante) ai più strani (cavallette fritte).
Non c'è il bagno in camera: gabinetti e lavandini sono in comune.
E c'è la possibilità di rilassarsi dopo la passeggiata con un bagno caldo.


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