lunedì 6 luglio 2009

UNA DISCARICA A CIELO APERTO.

Nel frattempo una delle più incredibili fantasie dei suoi predecessori è diventata realtà.
Il continente che i cartografi da sempre avevano collocato in mezzo all'oceano esiste realmente, è grande come la Germania ed è fatto di immondizia.
E' la Great Pacific garbage patch (la grande chiazza di spazzatura del Pacifico), che si estende tra la California e il Giappone, nei dintorni delle isole Hawaii.
In questa zona di convergenza subtropicale si forma una spirale di correnti che raccoglie i rifiuti galleggianti delle coste dell'America, dell'Asia, dell'Australia e della Russia: un tappeto di sacchetti di plastica, reti, corde, tavolette, bottiglie, giocattoli, spazzolini da denti, bombolette spray, cannocchiali, coperchi, accendini, applicatori di tampax, ricambi d'auto, palloni di basket, bustine di eroina e altro, per un peso complessivo stimato di 3,5 milioni di tonnellate.
Il più grande oceano del globo è anche la sua più grande discarica a cielo aperto.
Uccelli, mammiferi marini e pesci muoiono perchè ingeriscono quei rifiuti o ci restano intrappolati.
In un articolo ho visto l'immagine di una testuggine marina la cui possente corazza è rimasta deformata perchè, quando era piccola, si era impigliata in un cappio di plastica.
Un'immagine raccapricciante .
Carpenter aveva ragione: chiunque sia rappresentato sul fondale dell'oceano Pacifico-Dio, Gesù o Al Gore-ha buoni motivi per piangere.
Lungo la rotta della Msc Texas non abbiamo incontrato rifiuti, anzi l'acqua era di un blu splendido, trasparente e calda.
Per questo Udo Wolms non ha esitato a invitare a bordo il Pacifico: ha fatto riempire la piscina accanto alla palestra e io mi sono trovato a bagno nella fresca acqua di mare, come un'aringa in scatola.
Sul fondo della piscina sentivo sotto i piedi nudi le vibrazioni della sala macchine.
A volte mi svegliavo di notte e ascoltavo il pulsare del motore che spinge questa enorme canoa attraverso i flutti.
Doveva essere proprio una macchina colossale.
Il primo e secondo ufficiale di macchina, Siegfried Kuter e Holger Wust, mi hanno guidato per una ripida scala di ferro, su e giù per corridoi e passerelle, attraverso gli iferi della nave, in cui regnano calore, frastuono, sibili e rumori.
Ci vogliono undici uomini per far funzionare il motore: in gergo li chiamano "spiriti delle cantine", "piedi oliati" o semplicemente "neri".





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