mercoledì 1 luglio 2009

E' vero che le autorità di frontiera americane richiedono l'elenco delle merci contenute in ogni container destinato agli Stati Uniti: il documento deve essere trsmesso in forma elettronica ventiquattr'ore prima del carico sulla nave.
Se notano qualcosa di allarmante, possono chiedere al porto straniero di verificare il contenuto del container o rifiutarne l'importazione. Oltre a questa misura obbligatoria c'è un accordo volontario che garantisce procedure più scorrevoli allo spedizioniere se s'impegna a rispettare le misure di sicurezza delle autorità statunitensi.
E' un'offerta di cui approfittano tutti i grandi importatori. Resta il fatto, però, che il trasporto di un container può coinvolgere più di venti soggetti: gli acquirenti e i venditori delle merci, il trasportatore, la linea marittima, l'ufficiale del dazio, il doganiere, i broker marittimi, gli investitori e i funzionari governativi.
Una singola transazione può produrre più di 36 documenti, ciascuno dei quali riguarda merci per diversi clienti. Questo vuol dire che per ogni nave vengono prodotte decine di migliaia di documenti.
Ci sono abbastanza opportunità,quindi, di falsificarne uno per contrabbandare in un container merce illecita.
Se ci si mette nei panni di un terrorista, non c'è che l'imbarazzo della scelta su chi avere come complice: lo spedizioniere o l'impiegato del magazzino, il portuale o i suoi superiori.
E' vero che le aree portuali adibite alla movimentazione dei container sono sempre protette da alti recinti, ma a causa della loro grandezza hanno degli accessi di servizio difficili da sorvegliare, buchi e porte che restano aperte per sbaglio.
La maggior parte dei camionisti nei porti sono latinoamericani e, in molti casi, si tratta di immigrati clandestini. Se dovessero essere controllati rigorosamente, mi ha confessato Bill Brush, della Custom and border protection, a Long Beach ci sarebbe una spaventosa mancanza di autisti.
I piani per dotare tutti i trasportatori di documenti a prova di falsificazione sono rimasti sulla carta, così come l'idea di installare nei container dei sensori che registrino luogo, temperatura, irradiazione e contenuto di anidride carbonica, cioè valori in grado di fornire indizi sulla presenza di materiale pericoloso.
E' tutto troppo complicato.

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