mercoledì 1 luglio 2009

LUNEDI' ALLE SEI DI MATTINA LA NAVE HA MOLLATO GLI ORMEGGI da Oakland e ha puntato verso il mare aperto.
Le banchine del porto erano deserte, non c'era ancora nessuno in giro.
Solo un paio di luci intermittenti gialle continuavano a funzionare.
Cominciava appena a schiarire: le gru a cavaliere si stagliavano come profili di forbici contro il cielo, che all'orizzonte andava tingendosi di arancione e blu.
L'estremità del Golden Gate verso cui facevamo rotta stava per essere inghiottita dalla nebbia, che calava pigramente dalle colline e scintillava come zucchero filato sotto i primi raggi di sole.
Lo skiline di San Francisco era quasi scomparso alle nostre spalle, mentre a babordo il faro mandava i suoi lampi di luce oltre il mare.
Poi siamo passati accanto ad Alcatraz, la prigione dove Al Capone ha trascorso gli ultimi anni della sua vita e da cui si dice che nessun detenuto sia mai riuscito ad evadere.
Davanti a noi si è presentata la più grande massa d'acqua del pianeta: un'infinita distesa verde smorto e azzurro acciaio sotto il cielo ancora grigio.
Si vedevano le ultime boe e i gabbiani, che accompagnano sempre le navi in partenza, come se non fossero disposti ad ammettere che la Msc Texas e il suo equipaggio avrebbero trovato la rotta giusta in quel deserto d'acqua.
Ho rivolto un ultimo sguardo ad Alcatraz.
Ora non era più possibile tornare indietro, non avevo altra scelta che restare a bordo.
Non c'era altro che potessi o dovessi fare.
Mi sono sentito sopraffatto da una sensazione di felicità.
O forse di libertà.

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