venerdì 26 febbraio 2010

U.S.A. - MESSICO.

POPOLI MESCOLATI.

"In auto da Tijuana a Boca Chica, lungo i tremila chilometri del confine tra Stati Uniti e Messico: bellezza, povertà e paradossi".

Di tutti i paesaggi americani il più accattivante è quello che si vede dal balcone della stanza 258 del motel La Quinta su Geronimo avenue a El Paso, Texas.
Soprattutto se con te ci sono sei birre, fettine di lime, salsa piccante e un pacco di tortillas.
Il confine tra Messico e Stati Uniti corre poco distante.
E' rappresentato da un muro decorato di filo spinato e dal fiume Rio Grande.
Oltre il confine c'è il fumo delle fabbriche, un mare di luci e la città più carismatica, libidinosa e pericolosa che abbia mai conosciuto: Ciudad Juarez.
Sono a metà strada di un viaggio dal Pacifico al golfo del Messico, lungo il confine più trafficato del mondo.
Una terra che appartiene al Messico, agli Stati Uniti e a nessuno dei due.
Per me questo territorio lungo tremila chilometri e largo circa 160 è l' "Amexica".
L'Amexica è un luogo di paradossi: amore e violenza, opportunità e povertà, bellezza e paura.
La frontiera è permeabile e allo stesso tempo a tenuta stagna.
Mentre il muro, le pattuglie, le dogane e i cani antidroga si sforzano di controllare il passaggio di stupefacenti e immigrati, le città statunitensi come El Paso sono quasi completamente ispaniche.
E' un confine attraversato ogni giorno da 800mila persone.
Ci vogliono dieci minuti a piedi dal centro di El Paso alla via principale di Juarez, da quello che dovrebbe essere il primo mondo a quello che sembra il terzo, anche se non lo è.
La terra di confine ha la sua musica, il "norteno", e il suo lessico angloispanico, parlato da entrambi i lati e scritto sulle porte dei bar: "Menores and personas armadas strictly no entrada".
Il mio viaggio è cominciato alla frontiera tra Tijuana e San Diego.
"Aqui empieza la patria" è il motto del comune di Tijuana: qui comincia la patria.
"Siete nella città più visitata del mondo". afferma il cartello sulla avenida Revolucion, ricordando il ruolo di Tijuana nella vita statunitense: migliaia di persone sciamavano qui per assaporare l'esotismo messicano, comprare souvenir, bere caraffe di margarita, farsi sistemare i denti a buon mercato, forse anche affittare una "chica" per una sveltina e, negli ultimi tempi, comprare Viagra o Prozac a poco prezzo.
Ma la guerra dei narcotrafficanti ha cambiato tutto, dice Enrico Rodriguez nel suo negozio deserto, pieno di bigiotteria: "Adesso mi faccio il segno della croce ogni volta che vendo qualcosa, e non capita da due giorni".
Il giorno dopo era il "dia de los muertos".
Avevo sempre desiderato trovarmi in Messico per il giorno dei morti, quando si preparano dei piatti elaborati da condividere con i defunti nei cimiteri.
La più commovente di queste cerimonie è quella che si svolge sulla spiaggia divisa tra California e Messico: La quintessenza del pranzo della domenica amexicano, con le famiglie che fanno picnic separate dalla barriera del confine.
Sparse su tutti e due i lati della rete ci sono sedie di alluminio e tela che reggono zie, cugini, figli e nipoti.
Banconote e portate passano da una parte all'altra.
"Stiamo cercando di ottenere i documenti per incontrarci tutti dallo stesso lato, ma ci vuole tempo", dice Martino Martinez, un guardiano che lavora a San Diego.
Proseguo il mio viaggio a zig zag, attraversando continuamente il confine.
Dall'autostrada messicana numero 2 si vede un panorama mozzafiato: il valico di Mexicali, le pianure della California meridionale, le dune di sabbia e un piccolo cimitero a Holtville dove sono sepolte alcune delle persone che hanno cercato di attraversare il confine, quasi tutte senza un nome.

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