sabato 27 febbraio 2010

U.S.A. - MESSICO.

CITTA' GEMELLE.

Questa sera la destinazione è Tucson, in Arizona.
Non proprio una città di frontiera, ma un crocevia della cultura frontaliera, incarnata dalla via più strana d'America: quattro isolati su cui si affacciano il locale rock Rialto, l'hotel e nigtclub Congress, l'Iguana Cafe, il negozio di dischi Chicago, la stazione degli autobus, un barbiere con vecchie sedie alla Sweeney Todd, lo Shot in the dark Cafe e il Tattoo, parlour.
Verso sud, si passa da Nogales in Arizona a Nogales in Messico.
Da qui la strada si snoda tra i monti di Sonora fino alla città petrolifera di Cananea, dove un ristorante vuoto ma sfarzoso serve superbe "quesadillas".
Il personale del locale si stupisce che un gringo abbia ancora voglia di passare da queste parti da solo.
E' tarda sera quando riesco a raggiungere la mia destinazione: il balcone del piano superiore del motel di El Paso.
Sono pronto a tuffarmi dentro Ciudad Juarez, una città in guerra, ma unica al mondo.
Le città gemelle di El Paso e Ciudad Juarez sono da sempre città di transito.
Fino a poco tempo fa Ciudad Juarez era nota come la culla della rivoluzione messicana: la prima città a essere conquistata nel 1910 dalle milizie comandate da Pancho Villa, che avrebbe poi marciato da qui fino alla capitale per unirsi al gruppo di Emiliano Zapata.
La moderna Ciudad Juarez è esplosa durante il proibizionismo statunitense, una passeggiata attraverso il fiume per una bevuta e qualsiasi altro vizio.
Il cocktail margarita è stato inventato qui e si può fare il primo brindisi a Marilyn Monroe nello stesso bar in cui beveva lei.
Ciudad Juarez è diventata poi tristemente famosa per gli omicidi di alcune donne e per la guerra della droga, che rende questa visita un rischio più che una gita.
La città, si dice da queste parti, si trova "entre algo y nada" (tra qualcosa e niente).
I miei ricordi parlano di una città che esplode di notte.
La discoteca Sphynx, a forma di piramide egizia, ribolliva di ragazze in tiro, che si spendevano lo stipendio come se non ci fosse domani, perchè questa è un'economia strana: i salari sono miseri per gli standard statunitensi, ma non per quelli messicani.
Ai vecchi tempi i cosiddetti "narco juniors" sarebbero andati in giro nei loro suv con i vetri oscurati, vestiti come una via di mezzo tra un cowboy e un modello di Versace, con una "chica" per braccio.
Adesso sono scomparsi, la sfinge è stata domata, e l'hotel a nove piani in cui mi sono stabilito è vuoto, c'è soltanto una squadra di boxe in partenza per la Finlandia.
Il posto dove sei anni fa passavo gran parte del tempo, il Papillon, era un rifugio squallido, assordante e con un personale di sole donne che indossavano la tenuta obbligatoria delle bariste di Juarez: quasi niente.
Le cose non sono cambiate, ma oggi ha un'aria triste e i frequentatori del locale sanno che non è una buona idea restare fino all'ora di chiusura.
Ho attraversato il Ponte delle Americhe e ho lasciato El Paso un'ora prima dell'alba, per completare la seconda metà del mio viaggio.
La notte divido l'autostrada quasi esclusivamente con i camion, e con le luci con cui ciascun camionista rende unico il suo mostro a otto ruote.
Oltrepasso foreste di turbine eoliche sull'interstatale 10 tra un posto chiamato Fort Stockton e un altro chiamato Ozona.
Faccio una breve sosta a Del Rio, obbligatoria per via della scena della sparatoria all'hotel nel film "Non è un paese per vecchi".
Scopro che è una cittadina tranquilla dove l'Empire soda fountain serve un buon caffè e i vecchi con il cappello da cowboy in testa hanno un sacco di tempo per parlare fuori dal bar ristorante La Nacional su Pecan street.

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