mercoledì 31 marzo 2010

MESSICO (TULUM E PLAYA DEL CARMEN).

NEL SILENZIO ASSOLUTO avanziamo per le gallerie sotterranee, con la sensazione di galleggiare nello spazio siderale.
La luce delle torce illumina grosse stalattiti e stalagmiti che sembrano lance primitive.
Quando la temperatura dell'acqua diminuisce significa che siamo scesi oltre i dieci metri.
Guardando verso il basso scopro un abisso nero e senza fondo, ma non c'è pericolo perchè le guide sono molto attente a far rispettare le misure di sicurezza. Guardando in alto si vede l'aureola luminosa della bocca del cenote, che ci tranquillizza di fronte alle minacciose e lunghe stalattiti della caverna.
Sul bordo inferiore dei cenote - che di solito sono circolari e hanno pareti scoscese - a volte si vedono sott'acqua delle radici che sembrano tentacoli: appartengono ad alberi alti fino a trenta metri. La profondità massima raggiunta durante questa escursione è di dodici metri.
Seguendo il percorso stabilito passiamo accanto a un grande fossile incastonato nella roccia, per poi uscire in superficie da un altro cenote.
Entrare da un'apertura e uscire dall'altra evoca ancora una volta Jules Verne.
Nel "Viaggio al centro della terra", Otto Lidenbrock finiva il suo fantastico periplo espulso dalle viscere del pianeta grazie a un'eruzione dell'Etna, dopo essere entrato da un altro vulcano distante migliaia di chilometri.


MESSICO (TULUM E PLAYA DEL CARMEN).

SECONDO I MAYA, dal mondo sottomarino proveniva l'energia vitale della terra.
Una convinzione che ha una sua logica, visto che le acque dolci dei cenote erano la principale fonte di vita per i paesi e le città.
Erano considerati il luogo di nascita della vita, per questo nelle loro vicinanze sorgevano paesi, templi e zone destinate alle cerimonie rituali.
Il complesso sacro di Chichen Itza sorge accanto a un grande cenote in cui sono stati scoperti diversi oggetti di giada, rame e oro.
I maya avevano capito che il dominio sui cenote aveva un valore sia pratico sia simbolico, significa il controllo sulla vita e sulla morte.
Dopo la conquista dello Yucatan, i padri francescani ne intuirono il valore e costruirono dei conventi nei centri abitati che si erano sviluppati accanto ai cenote sacri.
Ancora oggi i discendenti dei maya celebrano dei riti nei cenote.
E' il caso della cerimonia ancestrale del Ch'a chak, un culto di origine agricola per chiedere l'arrivo delle piogge.
Dalle caverne più profonde si estrae un'acqua chiamata "zuhuy ha" (acqua vergine), considerata totalmente pura perchè mai toccata dall'uomo nè colpita da un raggio di luce.
Per fare immersioni all'interno dei cenote bisogna essere esperti.
Ma ci sono alternative più semplici, come fare snorkeling in superficie e andare due o tre metri sott'acqua in apnea.
Uno dei cenote più belli, sia per nuotare in superficie sia per fare immersioni, è il Dos ojos, che si trova a quattordici chilometri dalla città di Tulum.
Prima di scendere per le scale che portano al cenote la guida si raccomanda di non nuotare vicino al fondo di sabbia bianca, per non alzare sedimenti,e di seguire la corda di sicurezza che indica la strada, sopratutto per evitare che qualcuno finisca in una caverna fuori dal circuito e si perda.
All'interno del cenote ci sono pochissime correnti e non c'è vento, per cui la trasparenza è perfetta.
L'ambiente è meno luminoso di quello marino, salvo i fasci di luce che penetrano a cascata all'interno dello specchio d'acqua.

martedì 30 marzo 2010

MESSICO (TULUM E PLAYA DEL CARMEN).

LA MITOLOGIA.

Coba significa "acque mosse dal vento".
E' uno dei primi siti maya, risale al periodo classico (dal 500 al 900 dC) e ha una superficie di ottanta chilometri quadrati.
La piramide Nohoch Mul è la più alta della penisola (42 metri) e dalla sua cima si può ammirare un incredibile panorama, dove si alternano terra e acqua.
Immergersi nelle acque di uno dei cenote nella foresta del sudest del Messico è come rivivere una delle scene descritte da Jules Verne nel suo romanzo "Viaggio al centro della Terra".
Ci si tuffa in una cavità scura e profonda che attraverso delle gallerie si collega ad altri spazi sotterranei che a loro volta sfociano in mare.
Le formazioni geologiche sono illuminate dai raggi di luce che entrano dalla bocca del cenote, creando una dimensione molto diversa da quella delle immersioni in mare.
Per la cosmogonia maya, i cenote erano la porta d'accesso allo "xibalba", il mondo dei morti, in cui continua la vita.
Nel "Popol vuh" (Libro delle comunità) - una raccolta di miti e leggende dei gruppi etnici che abitarono la terra Quichè, uno dei regni maya in Guatemala - si racconta che sul fondo dei cenote (detti anche "regno della morte") vivevano esseri mitologici come il serpente gigante Sukan, l'uccello Moan e anche un cane che trasportava le anime dei morti.
Le prime cronache dei frati spagnoli, durante gli anni della conquista, parlano di sacrifici umani durante i quali i corpi delle vittime venivano gettati nel fondo di queste formazioni naturali. I frati raccontano di ragazze e bambini ingioiellati e offerti in sacrificio, ma gli scavi archeologici portano alla scoperta di corpi di uomini e donne di età diverse.
Molti avevano segni rituali che suggeriscono un sacrificio agli dèi.
In alcuni cenote sono stati trovati più di cento corpi e questo fa pensare che forse alcuni luoghi avevano la funzione di semplici cimiteri marini.
MESSICO (TULUM E PLAYA DEL CARMEN).

LE ACQUE SACRE DELLO YUCATAN.

"In Messico negli abissi dei "cenote".
I tremila specchi d'acqua dove i maya gettavano le offerte sono diventati il luogo ideale per le immersioni".

La natura che si può ammirare nel mar dei Caraibi non si trova solo nelle isole della regione.
Si estende anche alle coste continentali, comprese quelle della penisola messicana dello Yucatan.
E' la zona caraibica dei maya.
Qui la civiltà preispanica ha lasciato una testimonianza della sua storia.
Siamo nell'area archeologica delle rovine di Chichen Itza, Tulum e Coba.
Questa zona è famosa anche per i cenote, specchi d'acqua che danno su fiumi sotterranei considerati sacri dai maya.
La cittadella maya di Tulum, costruita nel 650 dC, colpisce per la sua bellezza: è su una scogliera a picco sul mare.
Della città che ai primi conquistatori spagnoli sembrò "grande come Siviglia" sono rimaste sessanta strutture ben conservate.
Le più famose sono il castello, che si affaccia sul mar dei Caraibi. e il tempio degli affreschi.
Poco distante c'è una piccola spiaggia dove si può nuotare nella trasparenza turchese del mare, con intorno la scenografia dei templi maya.
Vicino alle rovine c'è la zona alberghiera di Tulum.
Da qui partono le escursioni nel mondo acquatico e sotterraneo dei cenote.
MESSICO (TULUM E PLAYA DEL CARMEN).

INFORMAZIONI PRATICHE.

ARRIVARE E MUOVERSI.
Il prezzo di un volo dall'Italia (Us Airways, Iberia, Aeromexico) per Cancun parte da 589 euro a/r.
Da Cancun si possono prendere i pullman diretti a Tulum e Playa del Carmen, nella Riviera Maya (120 chilometri di litorale caraibico nella penisola dello Yucatan), dove si trovano i cenote più famosi.

CLIMA.
La stagione delle piogge va da maggio a novembre.
Nei cenote la temperatura dell'acqua è di 25 gradi.

ESCURSIONI.
Nel Cenote park, a Playa del Carmen, si possono visitare i cenote che portano alle grotte Nohoch Nah Chiche e Dos Ojos.
L'entrata è sulla superstrada 307, che collega Playa del Carmen a Tulum.
Il centro The Abyss organizza percorsi guidati di snorkeling (al costo di 40 euro) o immersioni (80 euro) nei cenote.
Per informazioni: abyssdivecenter.com.

E' GIUSTO SAPERE:
Ho deciso di offrire a chi piace viaggiare (con la fantasia oppure in prima persona) una possibilità di scegliere degli intinerari prevalentemente avventurosi, che si distinguono per la loro diversità dai viaggi tradizionali.
Le descrizioni le traggo dal settimanale "INTERNAZIONALE" del quale sono abbonato ed affezionato lettore di tutti gli articoli che lo compongono.
Spero di fare cosa gradita a quanti mi leggeranno, ed auguro a tutti una piacevole lettura.
ERMANNO RARIS
PROFILO DELL'AUTORE E INDICE VIAGGI INIZIO BLOG "ERMANNO RARIS".

lunedì 29 marzo 2010

LIBANO.

IL VIGNETO.

Passiamo in mezzo alla folla e veniamo perquisiti da un gruppo di gentilissime addette alla sicurezza, che si dichiarano mortificate per il disagio.
"Non c'è problema", rispondiamo noi, sorridendo e incamminandoci a passo sostenuto verso quelle che promettono di essere le rovine più belle del mondo.
Baalbek è uno spettacolo incredibile: le dimensioni (i sei pilastri che formano il colonnato sono tra i più grandi in circolazione), la bellezza, lo stato delle rovine (quasi intatte, considerata l'età) e il posto (in mezzo a due catene montuose) lasciano sbigottiti.
Non è un caso che si diceva fosse opera dei giganti.
Dopo una fatica del genere, quel che ci vuole è un gin tonic al leggendario hotel Palmyra, che affaccia sulle rovine.
E' qui che Charles de Gaulle, Lawrence d'Arabia e Jean Cocteau si riparavano dal sole bruciante.
Riprendiamo l'auto e ci dirigiamo verso il vigneto di Massaya, gestito dai fratelli Sami e Ramzi Ghosn.
Gran Bretagna e Irlanda sono il loro secondo mercato per le esportazioni, dopo la California.
Attraversiamo una hall piena di grandi botti, ognuna con una piccola lavagna che spiega che vino c'è dentro.
Tra le specialità c'è anche "l'arak", la tradizionale bevanda all'anice simile al "raki".
Ci gustiamo due bottiglie di vino rosso (il Classic del 2007 e il Gold Label del 2005) nella caffetteria interna, insieme a una meravigliosa zuppa locale chiamata "keshk" (cavolo, cipolle, patate, agnello e latte in polvere fatto in casa) seguita da "kibbeh" alla zucca.
Mentre comincia a piovere, ripartiamo alla volta di Beirut per la nostra ultima cena da Onno, un meraviglioso ristorante armeno.
Questo piccolo locale a conduzione famigliare offre il tipo di cucina che preferisco: semplice e curatissima.
Assaggio il delizioso e spettacolare "mante", un pasticcio di fettine di agnello intinte nello yogurt di pecora.
Mastico e sgranocchio un passero (da queste parti è tradizione) cotto nella melassa di melograno e assaggio la cistifellea al peperoncino (simile al fegato), oltre a delicatezze più tipiche come il "pastrami" con uva di quaglia fritte e un piatto a base di agnello con ciliege essicate e anacardi.
E' indimenticabile.
Ma questo vale per tutto il viaggio.

venerdì 26 marzo 2010

LIBANO.

LA MATTINA DOPO raggiungiamo in auto Tripoli, famosa per i mobili e per la pasticceria.
Non riesco a pensare a un posto migliore di Hallab e figli per assaggiare le dolcezze libanesi.
Hallab è un vero e proprio tempio di sette piani, gestito da quattro generazioni dalla famiglia Hallab.
Consiglio di fare il tour completo, ma un caffè al piano terra basta per farsi un'idea.
Hallab produce circa 65 tipi diversi di dolci e paste, tutti fatti a mano.
Non perdetevi "l'halawet el jiben", specialità della casa, una specie di crema di formaggio dolce in una sfoglia di incredibile delicatezza.
Dopo aver accumulato migliaia di calorie, attraverso a piedi l'antico suq di Tripoli: cataste di foglie di dattero e di vite, pezzi di trippa, file di tute da ginnastica, polli vivi, piramidi di arachidi, frutta essicata, erbe, libri, chador e quarti di bue appesi ai ganci.
Nella calca i venditori di tè trasportano sui vassoi i bicchierini e le teiere fumanti per dissetare chi sta ai banchi.
Dopo aver assorbito gli odori del mercato, affronto la cittadella con uno zelo che impressionerebbe perfino i crociati che l'hanno costruita un migliaio d'anni fa.
E' una magnifica fortezza sulla vetta più alta di Tripoli, con una vista mozzafiato sulla città.
Incredibilmente ho di nuovo fame, così mi metto in cerca di Danoun,un ristorante senza fronzoli in cui non servono alcolici.
E' il miglior posto in città per i legumi secchi: i "ful" (fagioli grandi essicati), "l'hummus" e i "fatteh" (ceci cotti nello yogurt con pezzi di pane fritto) sono i migliori che abbia mangiato.
Kamal e io ripartiamo per Beirut lasciandoci a sinistra le montagne ricoperte di neve e a destra il Mediterraneo.
Torniamo all'Hotel Albergo, che ha una magnifica piscina sul tetto e una terrazza che oltre al bar ha anche una vista panoramica sulla città.
La mattina dopo Kamal mi passa a prendere di buon'ora per la nostra ultima gita: la verde valle della Bekaa, riserva di grano del paese e grande zona di produzione vinicola.
Sono circa le sette quando attraversiamo la prima catena di montagne, sovrastati dal cielo azzurro e con la Siria visibile in lontananza.
La valle è davanti a noi, coperta dalla nebbia mattutina.
Man mano che il terreno si riscalda la foschia si dirada, e quando raggiungiamo le rovine di Baalbek l'aria è limpida e frizzante, spazzata solo dal suono di migliaia di voci che gridano "Hezbollah! Hezbollah!".
Oggi è il giorno di rimembranza di uno dei martiri di Maometto.
LIBANO.

GLI ODORI DEL MERCATO.

Il Suq el Tayeb non è diverso dai nostri mercati.
Se ci si va la domenica mattina o il mercoledì sera s'incontra la gente qualunque che gira tra i banchi traboccanti di verdure lucide.
Per me è un'ottima occasione per assaggiare alcuni piatti come la "kibbeh", uno spuntino da strada che è diventato un piatto nazionale: agnello o capra tagliati a pezzi finissimi e fritti, ricoperti di "bulgur" (chicchi di frumento cotti al vapore, fatti seccare e macinati).
A volte la carne si mangia cruda.
Assaggio anche delle piccole sfoglie ripiene di spinaci o di agnello.
Poco distante Mona e Nellie preparano i "manousheh", deliziosi panini di farina d'orzo, grano duro e mais, cotti alla brace su una grande cupola di metallo e farciti con formaggio morbido salato, olive, pomodori, foglie di rucola e "zaatar" (un miscuglio di erbe, semi di sesamo e sale).
Mona ha imparato a leggere a 27 anni ed è solo grazie al banco al Suq el Tayeb che oggi riesce a mantenere la famiglia.
Kamal vuole portarmi nella sua città natale, ma non prima di aver pranzato.
Halabi, alla periferia della città, è l'università del "mezze".
Tra i 26 piatti disposti davanti a noi ci sono un purè di patate cotto al forno e condito con olio d'oliva e aglio arrosto, un "muhummarra" (noci tritate, spezie e peperoncino in olio d'oliva, dalla consistenza simile al pesto), cervella bollite al limone e una verdura locale simile agli spinaci, cotta al vapore e poi ricoperta di scalogno fritto.
I bambini corrono e ridono mentre il pranzo va avanti per ore.
Ci trasciniamo fuori da Beirut alle quattro del pomeriggio.
La prima tappa è Biblo, dov'è nata la scrittura moderna.
Ci sono bellissime rovine romane, una chiesa e un castello dell'undicesimo secolo splendidamente conservati.
Dopo aver visitato le rovine, ammiriamo il tramonto al circolo della pesca, che affaccia sull'antico porto.
Qui vengo colta da un momento magico di beatitudine grazie a un campari soda e alla migliore insalata "fattoush" che abbia mai mangiato.
Dopo il tramonto facciamo venti chilometri lungo la costa per raggiungere Batrun, una città di pescatori.
Passeremo la notte a casa di Kamal, che prima mi porta nel suo locale preferito: Chez Maguy, un classico ristorante sul mare con tavoli di legno.
Il menù varia in base a quel che hanno portato i pescherecci.
Oggi la casa offre un piatto di granchietti grigliati con una deliziosa maionese all'alglio, i calamari più teneri a memoria d'uomo e una schiera di ottimi gamberi alla griglia.
La serata si conclude con una passeggiata lungo le mura fenicie e un pediluvio in mare.

giovedì 25 marzo 2010

LIBANO.

IL LIBANO IN CUCINA.

"Città medievali e rovine romane condite con agnello, sfoglie farcite e granchi grigliati.
Per chiudere, le specialità di pasticceria".

C'è un avvertimento che il Foreign office non ha aggiunto alle sue raccomandazioni per chi viaggia in Libano: non aspettatevi di fare le cose di fretta se vi interessa il cibo.
E' una mattina tersa e soleggiata e sto camminando per le strade di Beirut con una meta precisa.
Dopo un minuto, però, l'odore di un forno mi fa cambiare strada.
Il mio naso mi guida da Ichkhanian, in via Beyham: da fuori sembra un fornaio qualunque, ma dentro ha il forno a legna più grande che io abbia mai visto.
Tre uomini lavorano senza sosta per impastare, stendere e infornare il tipo di pane libanese che li ha resi famosi.
Le sottilissime sfoglie circolari, simili a pizze non lievitate e note come "lahm biajin", di solito sono guarnite in due modi diversi.
Scelgo quelle con l'agnello e i pinoli, cotti e croccanti, a cui aggiungo limone e paprica.
La giornata non potrebbe cominciare meglio.
Anche se sono britannica fino al midollo, ho sempre considerato il mondo arabo la mia casa spirituale dal punto di vista culinario.
Il "mezze" è probabilmente il cibo che preferisco mangiare: mi piace sbocconcellare qua e là, mischiare, pulire il palato con dei sottaceti e poi fare un altro giro delle ciotole.
Durante gli anni la mia passione per il "mezze" mi ha portato in Israele, Turchia e Marocco alla ricerca di nuove ricette e ingredienti.
Sapevo, però, di dover venire in Libano per scoprire i sapori autentici.
Questo è il paese che ha inventato il "mezze", oltre a essere la perla della cucina mediorientale.
La mia guida è Kamal Mouzawak, un appassionato gastronomo che è stato il rappresentante libanese di Slow food.
Kamal è rimasto deluso dalla politica dell'associazione e ha deciso che poteva fare di più lavorando "dal basso", nel suo paese.
Ha avuto ragione.
Da allora ha avviato una serie di progetti per preservare, promuovere ed esaltare la cucina tradizionale libanese.
Tra le varie iniziative ci sono il Kitchen workshop a Beirut, che organizza seminari e corsi di cucina, e la prima guida del Libano non solo per turisti, che pubblica saggi di architettura, musica e cinema firmati da libanesi illustri, oltre a una serie di informazioni pratiche su dove dormire e mangiare.
La missione di Mouzawak è documentare ricette antiche e semisconosciute, che vorrebbe raccogliere in un libro di cucina.
E' lui, infine, l'uomo che ha fondato il Suq el Tayeb, il primo mercato contadino del Libano che "salvaguarda e promuove la conoscenza sulle tradizioni culinarie".
LIBANO.

INFORMAZIONI PRATICHE.

VISTO.
I cittadini dell'unione europea possono ottenere il visto all'aeroporto di Beirut.
L'ambasciata del Libano in Italia (liban.it) avverte sul sito che "un eventuale "timbro israeliano" sul passaporto impedisce il rilascio del visto e annullerà il visto già ottenuto".

ARRIVARE.
Il prezzo di un volo dall'Italia (Turkis Airlines, Lufthansa, Middle East Airlines) per Beirut parte da 358 euro a/r.

CONTATTI.
A Beirut: Halabi, l'università del mezze (00961 4 523 555); il ristorante armeno "Onno" (00961 3 801 476).
A Batrun: "Chez Maguy", un classico ristorante sul mare (00961 3 439 147).
A Tripoli: "Danoun", ristorante noto per i legumi secchi (00961 6 422 978).

CUCINA.
A Beirut si può partecipare al "Kitchen Worksho (soukeltayeb. com): lezioni di cucina e tour culinari nel paese.
Un giorno di lezione costa 60 euro.
A MIO AVVISO E' UTILE SAPERE CHE:
In Italia esiste una attività che da più di 35 anni produce e commercializza "BANDIERE E RELATIVI ACCESSORI", da utilizzo sia per interni che per esterni, partendo dalle bandierine da tavolo e arrivando fino ai pennoni in alluminio oppure in vetroresina da mt. 5 a mt. 40.
L'attività in oggetto è la "B.A.F.A. BANDIERE" (vedi catalogo in internet).

mercoledì 24 marzo 2010

PROFILO DELL'AUTORE E INDICE VIAGGI A INIZIO BLOG "ERMANNO RARIS".

martedì 23 marzo 2010

NICARAGUA (ISOLA DI "OMETEPE").

IL TAPPO DELLA LAGUNA.

Sono le nove di sera e sono seduta al bancone di un bar in compagnia del nostro benefattore.
Per cercare di rassicurarmi, Harald mi racconta una delle sue storie.
"Diecimila anni prima di Cristo, l'isola di Ometepe non esisteva.
Due tribù vivevano in pace sulle terre meridionali del Nicaragua, ma la regola voleva che i due popoli non si mescolassero.
Un giorno un ragazzo della tribù Tiaguanaco s'innamorò di una bella ragazza dell'altra tribù, quella dei Chibchas.
I due amanti consumarono il loro amore in segreto fino al giorno in cui il padre della ragazza scoprì la relazione e uccise l'innamorato della figlia.
La ragazza pianse tutte le lacrime che aveva in corpo, dando vita al lago Nicaragua.
Poi si uccise.
La leggenda narra che il suo seno generò i due vulcani che oggi dominano l'isola".
Con questo racconto shakesperiano in testa vado a dormire.
Durante la notte sogno semi giganti, pozioni magiche e vulcani che si infiammano.
Intanto Eliot guarisce e chiede di essere dimesso il più presto possibile.
Per fargli dimenticare questa brutta avventura, Harald indossa di nuovo i panni del "salvatore" e ci porta alla scoperta del vulcano Maderas.
L'escursione dura quasi otto ore.
Prendiamo una strada fangosa in mezzo alla foresta tropicale.
Non è la prima volta che mi addentro in una foresta, ma confesso di avere un po' paura: dietro questi alberi si nascondono ghepardi, boa e ragni velenosi.
Le scimmie urlatrici si sgolano, dandomi l'impressione di essere circondata da un'orda di cani selvatici.
La vegetazione sprigiona un profumo indescrivibile e sconosciuto.
Solo gli incontri con i pappagalli verdi, gli urracas, le gazze dalle ali blu e le scimmie cappuccine mi fanno dimenticare i pericoli che nasconde questo ecosistema straordinario.
Improvvisamente un immenso insetto nero si posa su un cespuglio.
Bisogna allontanarsi al più presto perchè si tratta di una vespa pepsis.
Ancora con il fiatone, la guida ci spiega che questa creatura mostruosa può far fuori una migale: la paralizza e poi le depone le uova sul dorso.
Dalle uova usciranno le larve che divoreranno il ragno indifeso.
Per avvicinarci alla vetta del vulcano entriamo in un universo nebuloso.
La visibilità si riduce a due metri e una nuvola appesa al cratere ci nasconde la vista del lago.
Ai bambini si racconta che nel lago è vietato pescare.
In fondo a questa distesa d'acqua ci sarebbe una sorta di tappo.
Se un amo dovesse prendere il tappo, la laguna si svuoterebbe come un lavandino gigante.
Nel diario di viaggio annoto le mie inpressioni e le scoperte di questo viaggio: i racconti della nostra guida, i paesaggi magici, il mio amico imprudente, l'ambulatorio, la genesi dell'isola, la giungla, la vespa guerriera, il lavandino gigante e il mago.
E' una settimana che viviamo isolati dal mondo, in un universo di sogno, in una favola "ometepea".
Se Harald dovesse raccontarla, comincerebbe di certo con: "C'era una volta un piccolo seme magico...".


lunedì 22 marzo 2010

NICARAGUA (ISOLA DI "OMETEPE").

IL SEME VELENOSO.

Ci eravamo avventurati all'interno dell'isola.
Faceva molto caldo, circa trenta gradi all'ombra, e lungo il cammino incontravamo cani affamati, cavalli e polli che vagabondavano per le strade.
Davanti a noi c'erano anche piantagioni di banane che si estendevano a perdita d'occhio.
In lontananza, a 1.610 metri di altezza, si vedevano le fumarole del vulcano Concepcion.
Abbiamo incontrato poca gente, solo qualche allevatore di bestiame con il machete in mano che portava gli animali ai campi.
Tutti ci salutavano con un sorriso.
Sono pochi i turisti che si avventurano su questi sentieri polverosi coperti di pietre laviche.
Il sole tramontava sulla punta di Jésus Maria.
Questa penisola si è formata con le ceneri del vulcano Concepcion.
"Quando si avanza su questo banco di sabbia si ha l'impressione di camminare sull'acqua", affermano le guide turistiche.
Non abbiamo avuto questa fortuna.
Le forti piogge del mese precedente avevano cambiato l'aspetto del terreno che, comunque, soddisfava la nostra voglia di immagini esotiche.
Ma questo non bastava a farci dimenticare la fame: erano ore che non mangiavamo.
Le nostre pance brontolavano e Eliot ha trovato per terra dei semi grandi come una moneta da due euro.
Dopo avergli tolto la buccia ne ha assaggiato uno: il sapore era simile a quello di un'arachide.
L'ho avvertito che forse era rischioso mangiarlo, ma il suo appetito ha avuto il sopravvento.
E' cresciuto a Tahiti e in Guyana ed è un appassionato di fauna e flora tropicale.
Lavora in una riserva naturale della Costa Rica e conoscendo i rischi mi ha rassicurato: "Quando i semi hanno un buon sapore raramente sono velenosi".
Siamo tornati all'albergo perchè Eliot cominciava a sentire un bruciore allo stomaco e alla gola.
Mentre il mio amico era steso sul letto in un bagno di sudore, io sono andata a cercare aiuto.
La farmacia era già chiusa, ma ho bussato comunque alla porta.
Mi ha aperto un signore anziano con i capelli spettinati e mi ha spiegato che non poteva fare nulla.
Ma mi ha detto che nelle vicinanze c'era un ambulatorio.
Ho chiesto la strada ai rari passanti e per fortuna dopo un po' ho incontrato un ragazzo francese che lavora in un ristorante di Moyogalpa.
Lui mi ha presentato Harald: un uomo sulla quarantina, basso e di carnagione scura che fa la guida turistica sull'isola.
Harald ha portato Eliot in ambulatorio e aiutato il medico a dare un nome alla nocciolina avvelenata.
Si tratta di un seme di Javillo.
In passato gli abitanti di Ometepe lo usavano per far abortire le donne rimaste in cinte.
Una notizia tutt'altro che rassicurante.
NICARAGUA (ISOLA DI "OMETEPE").

L'ISOLA MAGICA.

"In Nicaragua alla scoperta di vulcani, foreste e leggende di Ometepe.
L'isola più grande del mondo, tra quelle circondate d'acqua dolce".

"C'era una volta un'uomo molto alto, così alto che tutti lo chiamavano Chico Largo, il ragazzo lungo.
Il suo vero nome era Francisco Rodrìguez e terrorizzava gli abitanti del villaggio di San Josè del Sur, nel sud dell'isola nicaraguense di Ometepe.
Praticava la magia nera e trsformava gli uomini in animali.
Lui stesso ogni tanto si trsformava in cervo per girare indisturbato nella foresta e mangiare senza spendere un soldo.
Una sera, però, fu sorpreso dai cacciatori e venne gravemente ferito, ma riuscì comunque a scappare e a rifugiarsi in casa della madre.
Le pozioni magiche e gli incantesimi della donna non bastarono però a restituire a Chico Largo le sue sembianze umane.
Chico morì poco dopo a causa delle ferite.
Mamà Bucha lo sepellì con discrezione nella laguna di Chaco verde.
Qualche giorno dopo alcuni vicini, stupiti per l'assenza di Francisco, costrinsero la madre a confessare la morte del ragazzo e a riesumare il corpo per dargli una sepoltura cristiana.
Tutti restarono sorpresi quando scoprirono che nella tomba erano rimasti solo dei vestiti macchiati di sangue".
Oggi ci sono ancora centinaia di abitanti convinti che Chico Largo continui ad aggirarsi intorno al lago Chaco Verde.
Un albergo ha preso il suo nome e c'è ancora chi accusa le persone che ci lavorano di essere scesi a patti con il diavolo.
Quando Harald Tijerino termina il suo racconto, sorrido.
Ma la mia mente è altrove.
Eliot, il mio compagno di viaggio, è ricoverato in ospedale a un chilometro da qui: il centro medico di Moyogalpa, la principale città di Ometepe.
E' un ospedale molto spartano: i letti sono pochi e ammassati in uno spazio ristretto.
Nei bagni manca la carta igienica e le finestre non hanno la zanzariera.
La vernice verde dei muri è scrostata, il pavimento è sporco.
Harald, però, mi rassicura: "Il medico è abituato a casi come questo".
Con il mio amico Eliot avevamo affittato una moto da cross per andare a esplorare Ometepe, un'isola a forma di otto nel lago Nicaragua.
E' considerata la più grande isola al mondo circondata da acqua dolce.
Le strade asfaltate sono poche e gli abitanti si spostano in motorino,con le jeep, in autobus, a cavallo e a dorso di Zebù.
Lungo la costa ci sono palme, cedri, ibischi e bouganville che offrono uno spettacolo pieno di colori.
Le piccole onde terminano la loro corsa su spiagge di sabbia biaca e nera.
Sembra di essere circondati dal mare.
Al largo si vedono le barche dei pescatori, che sognano di prendere gli ultimi squali d'acqua dolce che ancora vivono negli abissi del lago.








venerdì 19 marzo 2010

NICARAGUA (ISOLA DI "OMETEPE").

INFORMAZIONI PRATICHE.

ARRIVARE E MUOVERSI.
Il prezzo di un volo dall'Italia (America Airlines, Taca, British Airways) per Managua parte da 642 euro a/r.
Dalla capitale si può affittare un'auto e prendere l'autostrada per San Jorge, in riva al lago Nicaragua, da dove partono i traghetti per l'isola di Ometepe.
Altrimenti c'è un pullman che parte ogni mezz'ora da Huembes market, nella zona orientale di Managua.
L'isola di Ometepe si può raggiungere in traghetto anche dalla città di Granada.

SALUTE.
Nelle zone rurali conviene fare la profilassi contro la malaria.
CLIMA.
Il periodo migliore è la stagione secca, da novembre ad aprile.

DORMIRE.
A Ometepe, l'albergo Villa Paraiso (villaparaiso.com.ni) offre una bella terrazza che si affaccia sulla playa Santo Domingo e un'ottima cucina di pesce.


E' GIUSTO SAPERE:
Ho deciso di offrire a chi piace viaggiare (con la fantasia oppure in prima persona) una possibilità di scegliere degli intinerari prevalentemente avventurosi, che si distinguono per la loro diversità dai viaggi tradizionali.
Le descrizioni le traggo dal settimanale "INTERNAZIONALE" del quale sono abbonato ed affezionato lettore di tutti gli articoli che lo compongono.
Spero di fare cosa gradita a quanti mi leggeranno, ed auguro a tutti una piacevole lettura.
ERMANNO RARIS
PROFILO DELL'AUTORE E INDICE VIAGGI INIZIO BLOG "ERMANNO RARIS".
INDIA (RISERVA DI "BINSAR" STATO DI "UTTARAKHAND").

LA PARTITA DI CRICKET.

Al mattino ci dirigiamo al villaggio di Jhuni, a dieci chilometri di distanza.
Il cielo è limpido e in lontananza si sentono i campanacci delle mucche.
Al villaggio di Tarshal, i namaste, accompagnati da larghi sorrisi, salutano il nostro passaggio.
Di qui cominciamo l'ascesa verso la catena successiva dove si può ammirare una vista spettacolare delle montagne della valle di Saryu.
A Kal Jhuni, ultimo villaggio indiano prima del Tibet, gli ospiti possono spalancare le finestre su uno dei panorami più belli del mondo: la cima di Nanda Kot, a settemila metri d'altezza.
Il giorno seguente c'è il faticoso trasferimento a Chiltha, vicino a Jakuni Bhugiyal, dove apriranno i campeggi di Village Ways.
Da Supi è un'ascesa di quasi quattro ore.
Una volta in cima, però, ci godiamo la vista su Kotila, Nanda Devi e sul passo di Madhari.
Trascorro un altro giorno a Supi per andare a visitare la parte bassa del villaggio, dove ci sono le botteghe artigiane.
Village Ways sta incoraggiando gli abitanti a vendere i prodotti tipici, come il miele (le api dell'Himalaya amano i fiori di rododendro) e i copriletti di lana.
Per strada incontriamo il capitano Sahib, uno degli anziani del villaggio.
"C'è chi dice che sia un errore permettere ai turisti di addentrarsi in una zona così incontaminata", dice, "ma in realtà è stato un bene.
Per le donne ci sono buoni posti di lavoro nell'amministrazione e c'è stato un generale aumento dell'occupazione".
Le donne svolgono gran parte del lavoro, come dimostrano le profonde rughe sul volto e i calli sulle dita.
Oggi sono più libere e cominciano a poter esprimere la loro opinione, nella speranza che le figlie abbiano un futuro migliore.
Quando torniamo alla pensione assistiamo allo spettacolo surreale di una partita di cricket.
Tra i monti dell'Himalaya c'è addirittura qualcuno che fa la cronaca dell'incontro da un altoparlante alimemtato a energia solare.
Arriviamo alla fine della partita, giusto in tempo per vedere il villaggio da Tarshal portare via la coppa a quello di Supi.
E' il momento di assegnare il trofeo per il migliore in campo: i ragazzi si girano verso di me e mi chiedono di consegnarlo al vincitore.
Il calore inaspettato del gesto mi coglie completamente di sorpresa: mi rendo conto di quanto sia raro e prezioso questo puro spirito di ospitalità.
Himanshu mi aveva raccontato di una turista che ha visitato i villaggi per due volte in dei mesi.
Quando l'ho saputo ho pensato che fosse pazza, ma ora, dopo essere stata a Supi e a Bisnar, capisco il suo entusiasmo.
Il senso di pace del villaggio ti rimane addosso molto tempo.
Himanshu è riuscito a preservare uno stile di vita che altrimenti sarebbe andato perduto per sempre.

INDIA (RISERVA DI "BINSAR" STATO DI "UTTARAKHAND").

BOSCHI E RISAIE.

Grazie a questa iniziativa i turisti arrivano nel cuore dell'Himalaya per visitare i cinque villaggi di Binsar: in ognuno c'è una pensione di tre camere gestita dalla comunità.
L'operazione è stata volutamente mantenuta su dimensioni ridotte, ma molti uomini del posto sono riusciti a tornare dalla città per lavorare come guide o come portantini.
Ultimamente il programma è stato esteso anche a un'altra zona, la valle di Saryu, a sette ore d'auto da Binsar.
La prima pensione è stata aperta a Supi, un villaggio sulle alture dell'Himalaya vicino al ghiacciaio di Pindari.
Un'altra aprirà nel villaggio vicino di Jakuni Bhugiyal, una distesa erbosa circondata da cime innevate.
Partiamo per Supi dopo una colazione a base di banane e tè alle spezie.
Puntiamo verso nord lasciandoci alle spalle le montagne.
Lungo la strada passiamo in mezzo alle risaie e a fitti boschi.
Dopo sette ore passate in auto proseguiamo a piedi per un'altra ora in direzione di Supi.
Superiamo un gruppo di bungalow tradizionali, tra mucche al pascolo e pagliai.
Una donna anziana ci saluta con il tradizionale "namaste" (il gesto di unire le mani con le dita rivolte verso l'alto).
Durga ci accoglie nella pensione, dove tutto funziona con l'energia solare.

giovedì 18 marzo 2010

INDIA (RISERVA DI "BINSAR" STATO DI "UTTARAKHAND").

IL PEDAGGIO.

Arrivate vicino alla casa sentiamo un canto proveniente dalla finestra al piano superiore.
E' qui che Deepa, la sposa, e tutte le donne della famiglia si sono radunate prima dell'arrivo dello sposo.
Entriamo in una stanza affollata di donne sedute sul pavimento, anziane e giovani.
Indossano dei sari azzurri, rossi e gialli.
Lakshmi, la madre della sposa, rompe il ghiaccio con un abbraccio.
Deepa è fortunata, mi spiegano.
Alcune spose vengono promesse a uomini che vivono in villaggi lontani e spesso non rivedono più le loro famiglie.
Chandan, il futuro marito, abita relativamente vicino e Deepa avrà la possibilità di andare a trovare i suoi abbastanza spesso.
"Cantano perchè sono tristi che la sposa vada via", mi spiega Manisha.
"E perchè ricordano il senso della perdita che hanno provato quando anche loro hanno detto addio alla famiglia".
Una fanfara segnala l'arrivo dello sposo sul tradizionale cavallo bianco.
All'esterno la strada è sbarrata da un gruppo di ragazze con un cartello con scritto "Benvenuto".
E' tradizione che lo sposo paghi loro un pedaggio in denaro e Chandan, un bel ragazzo, non si sottrae.
Nel cortile principale, seduti a terra, due sacerdoti celebrano un rito religioso per accogliere lo sposo intonando canti intorno al fuoco.
Comincia un banchetto a base di ottimi piatti vegetariani e, mentre gli ospiti mangiano, gli sposi si incontrano per la prima volta: una raggiante Deepa esce dalla stanza, felice che Chandan sia un ragazzo simpatico e di bell'aspetto.
Arriva il momento che tutti stanno aspettando.
Il sari della sposa viene annodato alla sciarpa dello sposo e, insieme, la coppia compie sette giri intorno al fuoco, a simboleggiare ciascuna delle vite che trascorreranno insieme.
Mi sento una privilegiata ad assistere a una cerimonia così intima, ma in realtà negli ultimi due anni i paesi della riserva di Binsar si sono abituati ad accogliere i turisti.
Nel 1988 Binsar è stata dichiarata riserva naturale e sono state poste rigide restrizioni.
Si va dal divieto di abbattere gli animali a quello di fargli mangiare i frutti del raccolto, oltre a una serie di limitazioni sulla quantità di legno che si può raccogliere e vendere.
Queste misure hanno ridotto drasticamente il reddito della popolazione, costringendo gran parte degli uomini a emigrare.
Proprio quando i villaggi sembravano ormai sull'orlo dell'abbandono sono stati salvati da Himanshu, anche lui originario della zona, che si è inventato l'idea di Village Ways.


martedì 9 marzo 2010

INDIA (RISERVA DI "BINSAR" STATO DI "UTTARAKHAND").

INVITO A NOZZE

"I paesi dell'Himalaya indiano visti attraverso i matrimoni.

La banda, i canti e i giri intorno al fuoco che simboleggiano l'unione".

Scortata in una minuscola stanza azzurra per assistere alla preparazione dello sposo, non so dire se sono più nervosa io o lui.
Nella sua casa di Kathdhara, un piccolo villaggio dell'Himalaya indiano, Kundan Singh è in preda a un tipico attacco di tremarella prematrimoniale e fissa ossessivamente il muro sistemandosi la cravatta.
Credo che non farebbe caso a me nemmeno se fossi il primo ministro, e questo mi fa sentire sollevata.
Sono nervosa perchè il mio invito non è arrivato attraverso i soliti canali: non sono un'amica di famiglia nè una parente.
Sono un'estranea accolta a braccia aperte alla cerimonia.
Mi sono rivolta a un'agenzia di viaggi locale, la Village Ways, che ha avviato un progetto turistico nella zona della riserva di Binsar, nello stato dell'Uttarakhand, e offre l'opportunità di assistere ai matrimoni degli abitanti del luogo.
Mi è stato assicurato che la mia presenza è gradita perchè i miei ospiti interpretano la partecipazione di un visitatore come un segno dell'importanza dell'evento.
Nove ore d'auto da Delhi mi hanno fatto arrivare a Khali, il paese di montagna dove mi fermo per la notte.
Resto un giorno nel bed and breakfast di Himanshu Pande, cofondatore del progetto Village Ways, per abituarmi all'altitudine.
La mattina dopo attraversiamo a piedi le montagne color ambra, incrociamo delle signore anziane che portano a pascolare il bestiame.
Arriviamo a Kathdhara, un paese deserto: i bungalow bianchi sono vuoti e per le strade non vola una mosca.
Sono andati tutti a trovare la sposa o lo sposo.
Ci incamminiamo anche noi verso la casa di Kundan, lasciandoci alle spalle alberi di noci e di limoni.
La casa è addobbata con dei festoni colorati.
Una cassa gracchiante diffonde la musica in stile Bollywood.
I parenti di Kundan mi salutano calorosamente e mi invitano a conoscere lo sposo, mentre gli colorano il viso con una tradizionale tintura himalayana che si ricava dal riso.
Himanshu mi spiega che qui "i matrimoni sono combinati e di solito lo sposo non incontra la sposa prima delle nozze".
Non c'è da stupirsi che sia nervoso.
Fuori la banda attacca a suonare: tamburi e trombe che fanno ballare una quarantina di persone.
Partecipo solo al "bharat", la parte iniziale della cerimonia.
Quella dove lo sposo festeggia prima di percorrere il tragitto fino a casa della sposa.
La banda, vestita con dei costumi bianchi, rosa, blu e verde, si esibisce in un finto duello di spade e in una piramide umana.
Alla fine lo sposo sale sulla portantina e raggiunge la casa della futura moglie, Janki, accompagnato da una schiera di parenti che ridono e ballano.
Visto che alle donne non è permesso seguire il corteo, abbandono la festa e parto per un'escursione di due ore al villaggio vicino, Dalar, dove è in programma un altro matrimonio.
Questa volta assisto alla cerimonia che riguarda la sposa: Himanshu mi affida alle cure di sua moglie, Manisha, che mi conduce lungo una salita al chiaro di luna su per la montagna.
Gli abeti proiettano delle lunghe ombre sul sentiero e di fronte a noi la casa nuziale brilla come un faro.
E' la prima volta che indosso scarpe da trekking per andare a un matrimonio, ma il sentiero ripido non si adatta ai tacchi dorati che pensavo di abbinare al mio "salwar kamiz" azzurro brillante.

sabato 6 marzo 2010

INDIA (RISERVA DI "BINSAR" - STATO DI "UTTARAKHAND").

INFORMAZIONI PRATICHE.

ARRIVARE E MUOVERSI.
Il visto turistico per l'India vale sei mesi e costa 50 euro.
Per informazioni sulle modalità e i tempi consultare il sito dell'ambasciata indiana: indianembassy,it.
Il prezzo di un volo dall'Italia (Swiss, Turkish Airlines, Finnair) per New Delhi parte da 407 euro a/r.
Dalla capitale indiana, la Village Ways (0091 1164623175, village ways.com) offre un trasferimento in auto (nove ore) fino al bed and brekfast a Khali.
Altrimenti c'è il treno notturno fino a Kathgodam e poi si prosegue in auto fino a Khali.

MATRIMONI.
Il periodo in cui nella regione di Binsar ci si sposa di più è quello che va da aprile a giugno.

DORMIRE.
La Village Ways offre un trekking di nove giorni nella riserva di Binsar, con partenza ogni giorno dal "bed and breakfast" di Khali, per un prezzo che parte da 715 euro.
A MIO AVVISO E' UTILE SAPERE CHE:
In Italia esiste una attività che da più di 35 anni produce e commercializza "BANDIERE E RELATIVI ACCESSORI", da utilizzo sia per interni che per esterni, partendo dalle bandierine da tavolo e arrivando fino ai pennoni in alluminio oppure in vetroresina da mt. 5 a mt. 40.
L'attività in oggetto è la "B.A.F.A. BANDIERE" (vedi catalogo in internet).
PROFILO DELL'AUTORE E INDICE VIAGGI A INIZIO BLOG "ERMANNO RARIS".

venerdì 5 marzo 2010

U.S.A. - MESSICO

LA TEMPESTA (Segue II° Parte).

Gli ultimi trecento chilometri verso est sono una discesa nell'umida febbre del Golfo.
Il cosidetto "Texas tropical trail" (cammino tropicale del Texas) si stende sul versante messicano attraverso Reynosa e'Matamoros, martoriate dalla guerra, e su quello texano attraverso McAllen e Brownsille.
Poco tempo fa Brownsille si è dichiarata la cittadina più povera d'America.
L'atmosfera diventa improvvisamente inquitante, nonostante i colori sgargianti degli uccelli sui fili del telefono e i cocomeri venduti a sacchi lungo la strada.
Il cielo diventa scuro in quel modo che in Texas annuncia l'arrivo di una tempesta, e il sole splendente si fa di un tetro rosso sangue.
Le palme si piegano nel vento e la pioggia arriva forte e improvvisa.
Devo raggiungere la fine della strada, l'orlo di Amexica, un posto chiamato Boca Chica, che per quel poco che uno può vedere attraverso la tempesta sembra una specie di cittadina inglese tropicale, solo che la pioggia cade in diagonale e il vento è caldo.
Guardando la mappa inzuppata mi accorgo che sono vicino al luogo dove fu combattuta l'ultima battaglia della guerra civile americana.
Forse qualche mese fa questo posto era pieno di bellezze in bikini e ragazzi che giocavano a frisbee, ma ora le promesse del Boca Chica village store scritte in nero su un cartello bianco sono un inganno, perchè il locale, come ogni altra cosa, è chiuso.
Pochi chilometri a sud, il Rio Grande raggiunge il golfo, e io dieci giorni dopo aver lasciato Los Angeles ho raggiunto la mia meta.