giovedì 31 dicembre 2009

ARABIA SAUDITA.

LA STRADA DELL'ELEFANTE.

Quassù le nuvole si confondono con le case e giocano con i raggi del sole.
Uno dei quartieri della città si chiama Dabab (nebbia): in realtà non è proprio nebbia, ma qualcosa di più chiaro, leggero e vaporoso.
Ho deciso di fare una passeggiata tra le nuvole di Abha e di lasciarmi coinvolgere dal panorama, per cogliere meglio l'essenza della città.
Respirando a lungo la sua aria frizzante.
D'inverno ci sono dei grandi acquazzoni, mentre d'estate tuoni e fulmini creano uno spettacolo di suoni e di luci.
I lampi sembrano seguire una traiettoria tracciata da grossi cavi di rame lucente.
Risuonano con una tale potenza da svegliare gli abitanti nel cuore della notte, strappandoli dai loro sogni.
Abha si trova nella provincia saudita di Asir, al confine con lo Yemen.
E infatti i suoi abitanti somigliano agli yemeniti, sia fisicamente sia per come si comportano. Sono montanari dai tratti rudi, con scoppi d'ira improvvisi che si placano altrettanto bruscamente.
I momenti di riposo e di convivialità di solito ruotano intorno a un piatto di carne di capra, come capita a chi abita in montagna o alleva cammelli.
Nel corso dei secoli questa zona ha visto passare molte popolazioni, e ognuna di loro ha lasciato delle tracce.
A cominciare dagli ebrei, che si sono moltiplicati dopo l'unione della regina di Saba con il re Salomone.
Molti nomi di luoghi ricordano l'influenza ebraica o quella dei vecchi dialetti arabi.
Influenze a volte difficili da individuare, probabilmente perchè l'arabo, l'ebraico e il siriano appartengono alla stessa famiglia linguistica.
E poi c'è la forte impronta degli ottomani, che costruirono una miriade di fortini per mettere al riparo le loro truppe lungo la strada che collega lo Yemen, la Mecca e Istambul.
La città non è sfuggita alle rapide trasformazioni legate allo sviluppo petrolifero degi anni settanta.


ARABIA SAUDITA.

VERDE SAUDITA.

"Tra i monti che circondano Abha, in Arabia Saudita: strade cariche di gloria, caffè alla moda e una vegetazione rigogliosa".

Il clima è umido, c'è molta nebbia e l'aria è pungente.
Niente a che vedere con il caldo secco di Riyadh (capitale dell'Arabia Saudita) nè con l'afa di Khobar, sulla costa del golfo.
Siamo a duemila metri di altezza, su una montagna a forma di cono con la punta tronca.
E' su questo altopiano che si trova Abha.
La città è circondata da una strada fiancheggiata da acacie e altre piante sempreverdi.
Per raggiungere la piazza centrale si può imboccare una qualsiasi delle strade che partono dall'anello periferico: convergono tutte verso il centro, perdersi è impossibile.
Quando sono arrivato, con moglie e figli, mi sono preoccupato per la mancanza di ossigeno e per la polvere che arriva dal deserto del Rub al Khali (il quarto vuoto), chiamato anche il deserto dei deserti.
Ma poche ore dopo ci siamo sorpresi per la qualità dell'aria, impregnata del leggero profumo dei ginepri che si trovano alle pendici della montagna.
ARABIA SAUDITA.

INFORMAZIONI PRATICHE.

ARRIVARE E MUOVERSI.
Il visto turistico per entrare in Arabia Saudita è solo collettivo ed è obbligatorio appoggiarsi a un'agenzia di viaggi.
Per maggiori informazioni contattare il consolato saudita.
Il prezzo di un volo dall'Italia (Egyptair, Turkish Airlines, British Airways) per Riyadh parte da 439 euro a/r.

CLIMA.
Il periodo migliore per visitare le montagne dell'Asir va da ottobre a marzo.

VEDERE.
Conviene arrivare ad Abha durante i giorni lavorativi, perchè nel weekend è affollata di turisti.
L'unico museo è quello dell'artigianato, ospitato nel palazzo Shada.
In estate si può assistere all'Abha festival, a cui partecipano i più importanti musicisti e poeti arabi.



A MIO AVVISO E' UTILE SAPERE CHE:
In Italia esiste una attività che da più di 35 anni produce e commercializza "BANDIERE E RELATIVI ACCESSORI", da utilizzo sia per interni che per esterni, partendo dalle bandierine da tavolo e arrivando fino ai pennoni in alluminio oppure in vetroresina da mt. 5 a mt. 22.
L'attività in oggetto è la "B.A.F.A. BANDIERE" (vedi catalogo in internet).
PROFILO DELL'AUTORE E INDICE VIAGGI A INIZIO BLOG "ERMANNO RARIS".

mercoledì 30 dicembre 2009

SVEZIA ("UPPSALA" - "STOCCOLMA" SUI PATTINI).

SOGNANDO LA BIRRA.

In Svezia ci sono trecentomila pattinatori che percorrono regolarmente i laghi ghiacciati, avventurandosi anche tra le coste frastagliate del mar Baltico.
"Lì si pattina sulle onde ghiacciate", spiega Nils, con gli occhi che brillano.
Hasselby ha un panorama inconfondibile a causa delle ciminiere della centrale termoelettrica.
Siamo arrivati alla nostra meta: abbiamo percorso gli ottanta chilometri e potremmo festeggiare con della costosa birra svedese, per poi proseguire con la "tunnelbana" (metropolitana) fino al centro della città.
Ma Nils è convinto che l'avventura cominci solo ora.
Il mio compagno mi precede, mentre io sono obbligato a rimanere a una distanza di almeno dieci metri.
Nils batte continuamente le lame sul ghiaccio, che risponde con un suono per nulla rassicurante.
"Bisogna ascoltare il ghiaccio: più acuto è il suono e più lo strato è sottile", mi spiega mentre conficca i bastoncini nel ghiaccio per capire quanto è spessa la lastra.
Per un gruppo ci vogliono almeno sei centimetri, per noi due ne basta qualcuno in meno (anche se per me sarebbe meglio se ce ne fosse qualcuno in più).
Pattiniamo lungo i margini di un solco scavato dalle navi.
Congelandosi, i frammenti di ghiaccio si ricongiungono e i raggi del sole li fanno brillare come cristalli.
Siamo costretti a passare attraverso immense distese di lastroni grandi come tavole, sovrapposti l'uno all'altro.
"Tieniti in posizione leggermente arretrata, come se sciassi.
E non darti troppo slancio!", intima Nils.
Con ottanta chilometri alle spalle non è un'impresa facile.
Ma, come ricompensa, dopo la distesa di lastroni il ghiaccio si fa liscio e nero.
E' formato dall'acqua che sgorga da una lunga crepa e si congela immediatamente.
Per il pattinatore questo tipo di ghiaccio, mi spiega Nils, è come una pista ricoperta di neve farinosa per lo sciatore.
Ci dirigiamo verso il centro, passando sotto grandi ponti e superando caseggiati e ville antiche.
Siamo gli unici a sfidare la morte: lungo il viaggio che da Uppsala ci ha portati fin qui, non siamo mai stati così soli.
Sotto il ponte di Traneberg, Nils comincia a picchiettare il ghiaccio, facendo un rumore acutissimo.
A quel punto mi rifiuto di proseguire.
Anche lui finisce per desistere e mi raggiunge a riva.
Ci togliamo i pattini e ci avviamo verso la prima stazione della metropolitana, che in quattro fermate ci porta in centro.
Nils mi sorride con aria furba: "Erano quattro anni che non mi spingevo così avanti".
SVEZIA ("UPPSALA" - "STOCCOLMA" SUI PATTINI).

FONDATA NEL 980 dc, Sigtuna è una delle città più antiche della Svezia e ha un museo dove, oltre alla pietre runiche e ai gioielli d'oro, si possono ammirare anche i pattini più antichi del paese.
Risalgono più o meno al 1100, mi spiega Sten Tesch, il direttore del museo.
Sono fatti con tibie di cavallo levigate, fissate alle scarpe con delle stringhe di cuoio.
Un tempo per spingersi sul ghiaccio si usava un lungo bastone.
Un viaggio di quaranta chilometri durava dieci giorni, non uno.
Tesch racconta che in passato i grandi mercati si tenevano sempre in inverno e sul ghiaccio, così le merci potevano essere trasportate più facilmente.
Fin dagli inizi del medioevo la tratta che collega Uppsala a Stoccolma è stata un'importante rotta commerciale, soprattutto per il ferro proveniente dal nord.
Solo nel cinquecento, però, qualcuno ha avuto l'idea di fissare un pezzo di metallo sotto le scarpe.
Scivoliamo verso l'alba.
Oggi il sole splende, facendo sembrare tutto diverso: i colori, l'umore e il ghiaccio.
Anche la sensazione alle gambe è cambiata.
Sento la tensione in punti che di solito, quando faccio pattinaggio di velocità, sono a riposo.
Non è facile abituarsi al movimento dell'anatra.
Nils è di ottimo umore: spera di avvicinarsi con i pattini il più possibile al centro di Stoccolma.
Io sono piuttosto scettico.
La pista battuta termina a Hasselby, a circa quindici chilometri dal centro della capitale.
In città fa più caldo e il ghiaccio è più sottile, oltre a essere interrotto dai solchi scavati dalle navi.
Più ci avviciniamo a Hasselby e più aumentano i pattinatori.
Finora avevamo incontrato solo qualche arzillo pensionato.
"Il pattinaggio lo puoi praticare anche quando hai smesso di fare sesso", dice Nils sfoderando un sorriso malizioso.


SVEZIA ("UPPSALA" - "STOCCOLMA" SUI PATTINI).

QUESTIONE DI CENTIMETRI.

Dopo la partenza da Skarholmen, a sud di Uppsala,percorro i primi cinque chilometri sentendomi un po' impacciato.
Il viaggio prosegue spedito appena lascio spazio all'anatra, evitando di pensare al pattinatore di velocità che è in me.
La luce è lattiginosa e il vento soffia alle nostre spalle.
Avanziamo su un'autostrada di ghiaccio.
Ogni inverno i paesi sulle rive del lago usano gli spazzaneve per rendere percorribile il tratto che collega Uppsala a Stoccolma, così gli abitanti della Svezia meridionale possono fare un po' di moto all'aperto.
I pochi centimetri di neve che cadono da queste parti, infatti, non sono sufficienti per lo sci di fondo.
Il panorama è sempre uguale: boschi a sinistra, boschi a destra e, nel mezzo, una distesa superficie ghiacciata biancogrigia interrotta da una striscia gialla di canne palustri, da un paio di case di legno dipinte di rosso, da un pontile e da qualche boa incastrata nel ghiaccio.
L'unico rumore è il fruscio dei pattini che graffiano il ghiaccio.
"Ghiaccio a buccia d'arancia", lo chiama Nils, come per dire che il vero pattinatore escursionista normalmente non se ne va in giro su queste autostrade gelate.
Lui preferisce il ghiaccio più sottile, quello di cui bisogna ascoltare il rumore per trovare da soli il percorso migliore.
Io, invece, preferisco sapere che tra i miei pattini e le acque del Malaren ci sono trentacinque centimetri di ghiaccio.
Per controllare lo spessore basta chiedere a uno dei tanti anziani che stanno seduti sul lago congelato, con una lenza infilata in un buco fatto nel ghiaccio.
Dopo venti chilometri di buccia d'arancia, la superficie diventa più liscia e non oppone quasi più resistenza alle lame dei pattini.
All'altezza di Erikssund il lago si restringe tanto da produrre una corrente che impedisce al ghiaccio di formarsi.
Ci stacchiamo le lame dei pattini e proseguiamo a piedi per venti minuti, tra boschi e cavalli al pascolo.
Dopo quaranta chilometri raggiungiamo Sigtuna, la nostra tappa serale: un gruppo di case di legno gialle e rosse su una lingua di terra che si protende verso il centro del lago.
SVEZIA ("UPPSALA" - "STOCCOLMA" SUI PATTINI).

L'ANATRA INCINTA.

Sul ghiaccio del lago Malaren ci aspetta un lungo cammino: da Uppsala, antica città universitaria, a Stoccolma.
In media un bravo pattinatore copre la distanza in un giorno, per esempio durante la Vikingarannet, una gara che di solito si tiene a febbraio, quando il ghiaccio è abbastanza spesso per sostenere il peso di migliaia di persone.
Noi invece ci concediamo due giorni di tempo.
In caso di sopravvivenza sarebbe comunque l'equivalente di due maratone sui pattini.
Nils Ohlson ha sessant'anni ed è un uomo della vecchia scuola.
Indossa un paio di pantaloni alla zuava, ghette, scarpe di cuoio e una giacca a vento sbiadita.
Ha gli occhiali con la montatura di corno e un sorriso che si rilassa quando aumentano le difficoltà.
Lavora per una società telefonica, ma un paio di volte l'anno fa la guida per l'agenzia di viaggi di un amico.
"Devi immaginare di essere un'anatra incinta", mi spiega Nils.
Vuole farmi capire che l'escursionismo sui pattini non c'entra nulla con lo stile del pattinaggio di velocità.
In quel caso il corpo è sempre proteso in avanti e servono cosce robuste come tronchi d'albero.
Gli escursionisti, invece, devono restare in posizione eretta e tenere le gambe morbide, muovendole verso destra e poi verso sinistra.
Come fa un'anatra incinta e un po' alticcia.
Più a lungo si scivola su un solo pattino e meno ci si stanca.
Le lame, lunghe quaranta centimetri, si fissano a una barra d'acciaio applicata alla punta della scarpa.
Il tallone, invece, è libero di alzarsi e abbassarsi.
Quando si raggiungono zone dove affiora l'acqua o il ghiaccio è troppo sottile, bisogna staccare le lame e camminare lungo la riva.



SVEZIA ("UPPSALA" - "STOCCOLMA" SUI PATTINI).

MARATONA DI GHIACCIO.

"D'inverno il lago Malaren si trasforma in una grande pista di pattinaggio.
Una gita di ottanta chilometri da Uppsala a Stoccolma".

"Nils, dimmi la verità, nella tua lunga vita di pattinatore quante volte ti è capitato che il ghiaccio si spezzasse sotto i piedi?".
Nils ci pensa un po', poi risponde: "Dodici, tredici volte.
L'ultima l'inverno scorso".
Ma quello è stato un brutto inverno, perchè c'era pochissimo ghiaccio: si sono gelati solo i laghi più piccoli e anche lì lo strato non era particolarmente spesso.
"Sentire l'acqua gelida che ti sale fino alla pancia è una sensazione davvero strana", spiega.
Lo zaino di sicurezza tiene la testa e il petto a galla e, se si mantiene la calma, ci si può aiutare usando le due piccole piccozze che bisognerebbe portarsi sempre dietro.
"La sensazione più sgradevole, comunque, arriva quando sei uscito dall'acqua, perchè devi spogliarti e rivestirti in tutta velocità, con il vento che soffia a dieci gradi sottozero".
In quei casi l'ideale sarebbe trovarsi in compagnia di almeno tre pattinatori: uno per prendere i vestiti bagnati, un altro per asciugare la vittima dell'incidente e il terzo per passarle i vestiti asciutti e aiutarla a vestirsi.
In ogni zaino c'è una confezione impermeabile con un cambio di vestiti completo: dalle mutande alla giacca a vento.
Ci sono anche due sacchetti di plastica da mettere sopra i calzettoni asciutti, prima di infilarsi di nuovo i pattini bagnati e congelati.
Questa è la teoria, ma spero di non doverla mai mettere in pratica.

martedì 29 dicembre 2009

SVEZIA ("UPPSALA" - "STOCCOLMA" SUI PATTINI).

ARRIVARE E MUOVERSI.
Il prezzo di un volo dall'Italia (Lufthansa, Czech Airlines, Sas) per "Stoccolma" parte da 181 euro a/r.
Dall'aeroporto, la Upplands Lokaltrafik (ul.se/en) collega con treni e pullman sia Stoccolma sia Uppsala.

CLIMA.
Negli "inverni rigidi", il lago Malaren rimane ghiacciato fino a primavera.

DORMIRE.
Il "Sigtina Stads hotell ha 26 stanze ed è stato costruito nel 1909 (sigtunasstadshotell.se).
Ristrutturato nel 2001, offre una doppia a partire da 150 euro a notte.
Si trova nell'antico centro di Sigtuna, a pochi metri dal lago Malaren.

GITE.
Il tour operator 30.000 Oar (30.000 isole, quante quelle dell'arcipelago intorno a Stoccolma) organizza escursioni sul lago ghiacciato.
I gruppi non superano le trenta persone e ci sono sempre tre guide (30000oar.se).
I tratti non ghiacciati si percorrono in autobus.





lunedì 28 dicembre 2009

E' GIUSTO SAPERE :
Ho deciso di offrire a chi piace viaggiare (con la fantasia oppure in prima persona), una possibilità di scegliere degli intinerari prevalentemente avventurosi, che si distinguono per la loro diversità dai viaggi tradizionali.
Le descrizioni le traggo dal settimanale "INTERNAZIONALE" del quale sono abbonato ed affezionato lettore di tutti gli articoli che lo compongono.
Spero di fare cosa gradita a quanti mi leggeranno, ed auguro a tutti una piacevole lettura.
ERMANNO RARIS
PROFILO DELL'AUTORE E INDICE VIAGGI A INIZIO BLOG "ERMANNO RARIS".

PAPUA NUOVA GUINEA.

PRONTI PER L'INFERNO.

Anche se la pressione economica aumenta, la maggior parte delle comunità è riuscita a resistere al richiamo del denaro facile promesso dalle compagnie straniere.
Con l'aiuto di organizzazioni non governative come il Wwf, i kaluli stanno realizzando dei programmi di sviluppo per le foreste.
Vogliono far crescere l'ecoturismo, proteggere la coltura della vaniglia o l'allevamento delle farfalle.
Lentamente questi progetti stanno dando i loro frutti.
Nell'ottobre 2006, 80mila ettari di foreste tropicali sono state riconosciute come zone protette, chiamate "Wildlife management areas" (Wma).
"Questa classificazione dimostra l'impegno dei proprietari per proteggere l'ambiente dai tagli forestali, che non danno vantaggi a lungo termine", ha dichiarato Saina Jeffrey, una dei responsabili del Wwf, durante una festa data quando sono state definite le zone protette.
L'inpulso del Wwf ha smosso anche le istituzioni: il ministero dell'ambiente, infatti, sta cercando di convincere l'Unesco a classificare come patrimonio dell'umanità una zona di più di due milioni di ettari (il 6 per cento del paese) che si estende dal bacino del fiume Kikori fino al Great papuan plateau.
Inserita nella lista indicativa dell'Unesco nel 2006, la regione costituisce un "tesoro mondiale eccezionale e una delle più vaste distese ancora intatte della foresta tropicale dell'emisfero del sud".
I kaluli sanno che la vendita di concessioni per lo sfruttamento della foresta porterebbe alla fine del loro mondo e della loro cultura intimamente legata alla giungla.
Lafou, il capo del villaggio di Sibalama, afferma: "Se lasciamo scomparire la foresta i nostri canti non avrebbero più senso.
E se lasciamo scomparire i nostri canti, la foresta non avrà più storia.
Allora dobbiamo proteggerli.
A costo di dover bruciare all'inferno.
Ma questo non mi fa paura: danzo all'inferno in tutte le nostre cerimonie.
La prima volta le spalle bruciano, ma poi ci si abitua".
PAPUA NUOVA GUINEA.

NEL 2003 IL VILLAGGIO DI SUGUNIGA ha inaugurato un suo centro culturale: una grande capanna dedicata alle danze del fuoco.
Una capanna che materializza le speranze di chi lotta per la salvaguardia dell'identità kaluli.
"Qui non abbiamo niente.
Non abbiamo strade, miniere d'oro o do gas, come invece hanno le altre tribù", dice con rammarico Andrew Esiye, uno dei pochissimi ad aver frequentato le scuole superiori a Port Moresby, la capitale di Papua Nuova Guinea.
"Non abbiamo altro che la nostra foresta e la nostra cultura.
Dobbiamo stare attenti a non perderle".
Il microcosmo tribale dei kaluli soffre per l'isolamento: quasi nessuno sa leggere o scrivere e non ci sono prospettive per il futuro.
L'unica risorsa è la foresta, che fornisce il cibo e il materiale necessario per costruire le capanne e per preparare i costumi da indossare durante le cerimonie.
Un patrimonio naturale che rappresenta l'unico mezzo di sussistenza, ma anche l'unico bene commerciabile.
Gli alberi secolari attirano le aziende forestali.
Uno studio di Phil Shearman, dell'università di Port Moresby, ha dimostrato che la foresta tropicale di Papua Nuova Guinea - la terza al mondo dopo quella dell'Amazzonia e del Congo - potrebbe essere dimezzata nel 2021.Lo studio ha confrontato delle vecchie carte geografiche con le immagini satellitari.
Si è visto che la giungla si è ridotta: dai 38 milioni di ettari del 1972 si è passati ai 33 milioni di ettari del 2002.
Prima la giungla ricopriva l'82 per cento del territorio, oggi arriva al 71.
Tra il 2002 e il 2007 il tasso annuale di disboscamento è passato dall'1,4 all'1,7 per cento, contro lo 0,9 per cento del Brasile.
La foresta di Papua Nuova Guinea scompare a una velocità quasi doppia rispetto a quella amazzonica.
Ma gli interessi dell'industria forestale non sono gli unici a minacciare la regione: i progetti di estrazione di gas e di minerali previsti nel Southern Highlands potrebbero avere delle conseguenze anche sul bacino del fiume Kikori.
PAPUA NUOVA GUINEA.

MISSIONARI EVANGELICI.

Descritte dall'etnologo americano Edward Schieffelin come "uno dei più notevoli spettacoli dell'antropologia", le cerimonie notturne dei papua kaluli sono un elemento fondamentale dei riti e dell'organizzazione sociale di una delle tribù più isolate della Papua Nuova Guinea.
I kaluli sono una tribù di circa duemilacinquecento persone sparse in alcuni villaggi intorno al monte Bosavi, nel Great papuan plateau, un'immensa distesa di giungla che rende da sempre difficili gli scambi.
I loro primi contatti con il mondo occidentale risalgono alla metà degli anni trenta.
A quell'epoca usavano ancora le asce di pietra per tagliare gli alberi e spaccare le teste.
Un tempo cannibali e bellicosi, i kaluli vivevano con la paura di essere conquistati dalle tribù vicine.
"Quando ero giovane davamo ancora la caccia agli esseri umani, come facevamo con qualsiasi animale selvatico", ricorda Sébo Kokué, del villaggio di Suguniga.
"I pezzi migliori erano le coscie e le braccia".
Poi i gusti sono cambiati.
I missionari evangelici si sono stabiliti qui nel 1964, dopo aver costruito una prima pista di atterraggio.
Le guerre tribali sono finite e il cannibalismo è scomparso.
E gli ultimi guerrieri si ritrovano ogni domenica con tutta la comunità nelle capanne per la liturgia.
In meno di mezzo secolo l'universo dei Kaluli è stato sconvolto: le antiche abitudini e gli antichi riti sono stati profondamente trasformati, per lo più in meglio.
La sopravvivenza è diventata più facile grazie all'introduzione delle asce di fabbricazione industriale, dei machete e di qualche medicinale.
Short e T-shirt hanno coperto la nudità.
L'animismo è stato sostituito da un nuovo idolo, chiamato Gesù, che non apprezza affatto i riti "satanici" dei kaluli.
L'evangelizzazione e la minaccia di bruciare all'inferno sono quasi riuscite a spegnere la fiamma delle danze notturne.
Ma dopo anni di limbo e assopimento culturale, gli anziani si sono ribellati.
I più giovani hanno raccolto la sfida e la cultura kaluli ha cominciato a rinascere.
PAPUA NUOVA GUINEA.

I PIONIERI DEL VERDE.

La prima volta l'odore irrita le narici.
Poi, però, ci si abitua.
Ogni volta che la danza ricomincia, quell'odore di carne umana bruciata inonda la capanna.
E ti investe ogni volta che un papua commosso fino alle lacrime si allontana dalla folla per spegnere una fiaccola sulla spalla di un danzatore.
In quell'istante si sente il crepitio della pelle che brucia.
Nascosto nell'oscurità il pubblico si avvicina al gruppo dei danzatori in costume.
Illuminati dalle torce di resina s'intravedono a stento i corpi cosparsi da uno spesso strato di creta color porpora.
A tratti la luce illumina i volti disegnati con la fuliggine e i copricapi di piume argentate, che ondeggiano al ritmo dei canti sincopati.
Intorno a loro la folla assapora la gioia di esser triste.
Il canto malinconico evoca il ricordo delle persone scomparse e dei luoghi cari agli abitanti del villaggio di Suguniga: il vecchio cugino di Uluye o le fresche acque del fiume Wago.
Man mano che l'emozione aumenta, i canti diventano più intensi.
Le fiaccole si riaccendono e si spengono sulle pelli abbronzate color cuoio.
Ma nessun danzatore bruciato dalle fiaccole mostrerà segni di stanchezza, impazienza o sofferenza fino alle prime ore del giorno.
E' così che si condivide la tristezza tra i kaluli, offrendo il proprio dolore alla comunità.
PAPUA NUOVA GUINEA.

INFORMAZIONI PRATICHE.

ARRIVARE E MUOVERSI.
Il prezzo di un volo dall'Italia (Emirates, Cathay Pacific, Air Niugini) per "Port Moresby" parte da 2.188 euro a/r.
L'agenzia di viaggi Tirawa (Tirawa.com) organizza dei trekking, con guida, nella regione del monte Bosavi, dove vivono i kaluli.
La zona è raggiungibile solo con dei voli privati.

CLIMA.
La stagione migliore è quella secca: da maggio a ottobre.

DORMIRE.
A Bona, nella regione di Bosavi, la "Bona guest house" offre vitto, alloggio e una guida per 15 euro al giorno.

FESTIVAL.
Ogni anno ci sono due manifestazioni che riuniscono le tribù che abitano in montagna: a fine agosto l' "Hagen sow" e a metà settembre il "Goroka sow".
Per conoscere il calendario: (pngtourism.org.pg).

domenica 27 dicembre 2009

A MIO AVVISO E' UTILE SAPERE CHE:
In Italia esiste una attività che da più di 35 anni produce e commercializza "BANDIERE E RELATIVI ACCESSORI", da utilizzo sia per interni che per esterni, partendo dalle bandierine da tavolo e arrivando fino ai pennoni in alluminio oppure in vetroresina da mt. 5 a mt. 22.
L'attività in oggetto è la "B.A.F.A. BANDIERE" (vedi catalogo in internet).
PROFILO DELL'AUTORE E INDICE VIAGGI A INIZIO BLOG "ERMANNO RARIS".
BOTSWANA (DELTA DELL' "OKAVANGO").

PAVIMENTO DI SALE.

Makgadikgadi è una landa desolata bianchissima su cui ballano in lontananza miraggi tremolanti.
Guidando alla cieca, perchè non c'è niente che permetta di distinguere un punto dall'altro a parte la superficie della crosta terrestre.
All'inizio è grigia e rugosa come la pelle di rinoceronte, poi diventa brillante per via dei cristalli di sale.
Si vedono delle crepe.
Il terreno si alza e si scolla, arrotolandosi come le foglie di tabacco.
Scendo dall'auto e mi tolgo le scarpe.
Il terreno scricchiola.
Le piante dei piedi bruciano per effetto del sale.
Ci accampiamo, accendiamo il fuoco e guardiamo le stelle che pulsano nel cielo blu scuro.
Prima di addormentarmi conto diciannove stelle cadenti.
I tuoni mi svegliano poco prima dell'alba.
Sento una goccia di pioggia sulla guancia e sveglio Roger.
"Non è pioggia", mi dice, mentre una seconda goccia mi cade sul viso.
"Ma arriverà".
C'è una nota di speranza nelle sue parole.
In setswana, la lingua nazionale, pioggia si dice "pula".
Significa anche fortuna, salute e prosperità.
Forse non è un caso in un paese coperto per l'80 per cento dalle sabbie del Kalahari.
E' un mese che gli abitanti aspettano la pioggia, che ora sembra finalmente in arrivo.
Da giorni si accumolano nuvole a forma di incudine, mentre in lontananza si sente il rumore dei tuoni e dei lampi che attraversano un cielo di porcellana.
Come i batswana locali, sono ossessionata dall'acqua.
In questo paese gli uomini passano ore a fissare i letti asciutti dei fiumi.
Strizzano gli occhi al cielo, chiedendosi se oggi o domani pioverà.
Quando gli scorpioni escono dalle tane - alcuni neri e brillanti come l'ossidiana, altri splendenti come vetro giallo - tutti sospirano di sollievo.
E' un segno inequivocabile che sta arrivando la pioggia.
Un raggio di sole fa capolino all'orizzonte di sale.
Comincia a far caldo appena smontiamo le tende.
Due garruli bianchi e neri sbattono le ali sopra la nostra testa.
Decidiamo di seguirli.
Non vediamo anima viva da un giorno solo, ma la solitudine è immensa, quasi travolgente.
E' difficile, oggi, pensare do trovare un luogo cosi disabitato.
Ci mettiamo a caccia di suricati, con le loro code alte e i loro curiosi segni sul muso.
Schizzano nelle tane prima di riaffacciarsi con aria circospetta, sfoggiando una postura impeccabile.
Un orice china la testa e infila le sue lunghe corna dritte in un cespuglio spinoso, cercando disperatamente l'ombra tra quei pochi rami contorti.
Uno scoiattolo allarga la coda e se la avvolge sulla testa per proteggersi dal sole ardente.
La vita qui non è scontata nell'Okavango, ma ha lasciato le sue tracce anche in questa terra piatta e aspra.
Il fascino di questo posto, però, non sta in quello che c'è, ma in quello che manca.
BOTSWANA (DELTA DELL' "OKAVANGO").

SAGOME NELLA NOTTE.

Per i turisti il vantaggio di trovare il fiume in secca è che gli animali si concentrano intorno alle poche pozze rimaste.
David Dugmore, proprietario del campeggio Meno a kwena, da anni pompa acqua in superficie per le zebre migratrici.
Gli animali ormai lo sanno e gli ospiti si trovano nel punto ideale per assistere alla parata di kudu, gnu ed elefanti.
Quando cala la sera due leonesse provocano le zebre accennando finti assalti e lanciando sguardi minacciosi.
Dopo uno splendido tramonto arriva improvvisamente il buio.
Mi sforzo di distinguere le sagome, mentre Dugmore illustra la scena.
Le zebre vengono ad abbeverarsi e i leoni si aggirano furtivamente per la zona.
A un certo punto il branco si stringe lungo le sponde scoscese.
Sentiamo un agitato calpestio di zoccoli; poi un urlo lancinante.
Dopo un minuto si trasforma in un gemito, poi in un respiro affannoso e infine in un silenzio soffocato.
Sentiamo il rumore della pelle e della carne strappate via.
Roger, il fratello di Dugmore, mi fa da guida nell'ultima parte del viaggio.
Ci dirigiamo in auto alle saline di Makgadikgadi, una vasta depressione nel cuore del Kalahari.
Se i fiumi scorressero fino alla fine, è qui che andrebbero a gettarsi le acque del delta dell'Okavango.

giovedì 24 dicembre 2009

BOTSWANA (DELTA DELL' "OKAVANGO").

PARTICOLARI SILENZIOSI.

I pochi turisti che visitano Xudum hanno a disposizione migliaia di chilometri quadrati dove accamparsi.
Anch'io comincio il safari di notte, l'ora delle streghe e dei predatori.
La mia guida, Mogale, si sporge dal sedile per guardare le impronte sulla sabbia: "Leopardo", sentenzia.
"Da questa parte".
Sento aumentare le pulsazioni.
Seguiamo il leopardo.
Quando le tracce si allontanano dalla strada voltiamo anche noi.
Mogale illumina gli animali con una lampada: civette dagli occhi sbarrati, qualche sciacallo e le pupille rosse delle lepri che sfrecciano nell'erba.
Perlustriamo la zona fino alle tre di notte, ma non riusciamo a trovare il leopardo.
L'escursione è comunque molto eccitante.
Non conta tanto quello che succede, ma l'attesa di ciò che potrebbe succedere.
Sulla via del ritorno, un branco di iene maculate compare davanti ai fari dell'auto.
Una si volta per guardarci, poi gira la testa e ulula.
Da Xudum mi sposto in aereo a Maun: terra di organizzatori di safari, piloti di aerei da turismo, cercatori di diamanti e truffatori.
E' una città dove o ti porti dietro un bel po' di pula (la moneta locale) oppure ti ritrovi subito al verde.
L'atmosfera pionieristica e spietata mi fa venir voglia di trasferirmi subito qui.
Mi dirigo in auto verso sud, su una strada asfaltata dritta e quasi vuota.
La vegetazione è fatta di tozze acacie erioloba e meli del Kalahari, di nuovo verdi in attesa della pioggia.
Ogni tanto incontro dei camion rumorosi, che passando sollevano un polverone.
Capre e mucche si trascinano lungo la strada.
Come per magia compare una nuvola.
Seguo il corso del fiume Boteti, un altro nome dell'Okavango.
In quest'area il fiume è stato in secca per più di dieci anni.
Le acque scorrono per chilometri oltre Maun.
Sento chiacchierare gli allevatori di bestiame che vivono sulle banchine.
BOTSWANA (DELTA DELL' "OKAVANGO").

IMPRONTA ANIMALE.

"In Botswana sul delta del fiume Okavango.
Per navigare tra gli ippopotami, seguire le tracce dei leopardi e aspettare la pioggia".

La pioggia cade sull'altopiano angolano formando un torrente che porta via le foglie secche degli alberi della gomma.
Le acque attraversano la vegetazione del dito di Caprivi, in Namibia, per poi gettarsi nell' Okavango, uno dei maggiori fiumi del Sudafrica.
Il fiume si allarga come un ventaglio, estendendosi per un quarto della superficie del Botswana.
Qui si radunano i "lechwe" (antilopi rossi), le mitterie del Senegal e le mandrie di bufali.
Bevono le acque dolci che alimentano le ninfee, i martin pescatori verdi e la ricca vegetazione delle paludi.
Dalla cabina dell'aereo osservo il delta dell'Okavango.
Con le sue collinette sabbiose, i piccoli laghi, le piazzole verdi e le piante selvatiche, sembra un campo da golf.
Ma è un campo brulicante di fauna.
Gli elefanti si trascinano con passo pesante, le giraffe saltellano, gli ippopotami risplendono al sole.
Le meraviglie del delta sono nei particolari silenziosi.
Scivoliamo in canoa sui canali, tra ippopotami, papiri e giunchi.
Passiamo accanto a isole coperte di palme, formate dai sali minerali e dai sedimenti sabbiosi del deserto del Kalahari.
Al tramonto le rane attaccano con i loro versi.
Con l'arrivo dell'oscurità, le auto partono per il safari rombando come in una azione militare.




BOTSWANA (DELTA DELL' "OKAVANGO").

INFORMAZIONI PRATICHE.

ARRIVARE.
Il prezzo di un volo dall'Italia (Klm, Qatar Airways, Air France) per "Johannesburg" parte da 544 euro a/r.
Da Johannesburg ci sono voli giornalieri (Air Botswana) per Maun.
Da lì si può raggiungere il delta dell'Okavango con degli aerei da turismo.

DORMIRE.
L'operatore turistico And Beyond (andbeyondafrica.com) ha due strutture ecosostenibili sul delta dell'Okavango: il "Xaranna camp" e il "Xudum lodge".
Entrambe hanno una cucina comune.
Il soggiorno costa 400 euro al giorno.
Comprende la navigazione del fiume e le escursioni con le jeep.
A sud della città di Maun c'è il campeggio "Meno a kwena" (00267 686 0981).
Un'ottima base per i safari nei "parchi nazionali" Makgadikgadi e Nxai pas.
Tre notti costano 900 euro, compreso il trasferimento da Maun.
E' GIUSTO SAPERE:
Ho deciso di offrire a chi piace viaggiare (con la fantasia oppure in prima persona) una possibilità di scegliere degli intinerari prevalentemente avventurosi, che si distinguono per la loro diversità dai viaggi tradizionali.
Le descrizioni le traggo dal settimanale "INTERNAZIONALE" del quale sono abbonato ed affezionato lettore di tutti gli articoli che lo compongono.
Spero di fare cosa gradita a quanti mi leggeranno, ed auguro a tutti una piacevole lettura.
ERMANNO RARIS
PROFILO DELL'AUTORE E INDICE VIAGGI A INIZIO BLOG "ERMANNO RARIS".

mercoledì 23 dicembre 2009

AUSTRIA ("ISCHGL" LOC. SCIISTICA).

PROSECCO IN LATTINA.

E' impossibile passare una serata romantica al Pacha - "il salotto delle indossatrici" - senza bere champagne in abbondanza.
La discoteca propone anche del Rich, prosecco italiano venduto in lattine dorate.
Ma la notte del Natale ortodosso, il 6 gennaio, non sono nè lo shampagne nè lo spumante a scorrere a fiumi, ma è la vodka, disponibile al banco in contenitori da dieci litri.
Gratis.
Gunther Aloys, proprietario del locale e di un albergo, oltre agli stock di vodka ucraina Khortytsa ha fatto arrivare una band di musica etnica, gli Choboti z buyaga.
Ci sono anche panini al lardo e grossi cetrioli.
Sulla pista da ballo russi e ucraini di tutte le età urlano e cantano.
Ragazzi un po' rozzi ballano con finte bionde, alcune studentesse simpatizzano con dei giovani banchieri, le nonne con gli adolescenti, i figli con le mamme.
Questa serata folcloristica sembra una grande riunione di famiglia.
"Non sono più i parvenu maleducati dei primi anni", urla Steibl per farsi sentire nel gran rumore della folla.
Aloys e Steibl sono ai margini della pista da ballo e, insieme a due spogliarelliste, contemplano la loro opera con aria soddisfatta.
Qualche anno prima qualcuno avrebbe urinato nella sauna, ma ora la clientela è fatta di famiglie rispettabili, giovani coppie, dirigenti e persone molto ricche.
Aloys è stato il primo a capire che i turisti russi erano un ottimo affare.
Il suo albergo, il Madlein, è il luogo d'incontro di tutti i nuovi ricchi.
Aloys ha molto fiuto per gli affari.
E' lui che ha avuto l'idea di trasformare la stazione sciistica di Ischgl in una grande discoteca all'aperto e di produrre concerti sull'Idalpe a circa 2.300 metri di altezza, invitando artisti come Elton John, Tina Turner, Phil Collins e Anastacia.
Solo Micheal Jackson ha annullato all'ultimo momento.
Ogni anno quasi 25.mila spettatori si riversano nel piccolo comune per assistere ai concerti Top of the mountain.
"Il turismo è una questione di prossimità", spiega Aloys.
"Il contatto fisico è fondamentale".
Alto e slanciato, con i capelli grigi pettinati all'indietro, Aloys ricorda un po' l'attore Mathieu Carrière.
I suoi prossimi progetti?
Installare un tetto sulle piste, creare un tappeto di neve rossa e costruire uno scalone di 8.200 gradini sulla montagna," come per accedere a un tempio cinese".
Ma tutto questo piacerà ai russi?
"Ai russi?", chiede con stupore.
Per lui fanno già parte del passato.
L'anno prossimo la crisi economica avrà diminuito la loro sete di lusso.
Aloys anticipa i tempi: dice di aver incontrato a Pechino alcuni responsabili del ministero degli esteri.
Il suo prossimo obiettivo: i ricchi cinesi.
AUSTRIA ("ISCHGL" LOC. SCIISTICA ).

ACCENDINI DI CARTIER.

I russi bevono molto e mangiano ancora di più.
Per loro un pasto è degno di questo nome solo se la tavola si piega sotto il peso delle portate.
E non importa se poi la metà del cibo finisce in pasto ai maiali.
Miriam Muigg, proprietaria dell'hotel Christine, ha imparato molto sui russi: sa che i suoi ospiti possono inghiottire tutto quello che la sua cucina è in grado di produrre, senza nessun ordine di preferenza.
Oppure che non è cortese lasciare un piatto vuoto, e che la lingua russa non perde tempo con espressioni di cortesia ("per favore" e "grazie" sono termini usati raramente).
E che si può benissimo bere vodka nella sauna, ma sempre in costume da bagno.
I primi anni ci sono state molte lamentele da parte dei tedeschi.
Nel 2005 i Muigg hanno deciso di mettere le cose in chiaro: il mese di gennaio sarebbe stato riservato ai russi, con buona pace dei tedeschi.
L'hotel aumenta le sue scorte di tè (i russi non amano il caffè) e prevede più uova e panini per la colazione.
I nuovi ospiti apprezzano queste attenzioni.
"Ogni anno ci portano dei regali", racconta Miriam Muigg.
"Profumo, caviale e anche accendini di Cartier".
"Si, i russi sono generosi", conferma Michael Egger, 35 anni, "e anche molto ambiziosi".
Maestro di sci, Egger è molto impegnato fino a metà gennaio, come i suoi duecento colleghi.
Dà lezioni private a famiglie al gran completo: padre, madre, figli, nonni.
"Per loro la famiglia viene prima di tutto", spiega Egger.
Per questo ama molto i russi.
E anche perchè hanno imparato a non trattarlo come un loro domestico: "Gli ho detto: sono un maestro di sci, non un portatore di sci!".
Oggi Micheal Egger ha un giorno libero: Nak un milionario russo, è andato a fare un'escursione con la famiglia di dodici persone.
Sono partiti a bordo di un'enorme jeep, di una Maybach e di una mercedes classe S per andare a visitare Vienna e Salisburgo.
Nel salone vip del ristorante Alpenhaus, Elena Krymova si è seduta con due amiche vicino al caminetto.
Gli hanno portato delle pantofole mentre le loro scarpe da sci stanno ad asciugare.
Elena ordina una bistecca, un'insalata e del vino rosso.
Conosce piuttosto bene le stazioni sciistiche del Tirolo, e dice che Ischgl è una località fantastica.
Perchè non Kitzbuhel o Lech?
Perchè venire qui, in quest'Ibiza nel cuore della Alpi?
"Piste da sci, boutique e cabinovie eccezionali" risponde.
Il comprensorio sciistico della Silvretta Arena è uno dei più moderni dell'Austria: 235 chilometri di piste, quasi cinquecento cannoni da neve, 40 sciovie e un parcheggio per quattromila auto.
Elena manda giù un'oliva: "Non è fantastico fare le seggiovie con i sedili riscaldati?.
A Kitzbuhel i sedili sono di legno e fanno male alle ginocchia: meriterebbe di stare in un museo.
"So che lei trova tutto questo molto romantico", commenta Elena, "ma per noi non lo è".
AUSTRIA ("ISCHGL" LOC. SCIISTICA).

PER ISCHGL, quindi, è una fortuna che tra i russi più ricchi sia scoppiata la moda di passare le vacanze del Natale ortodosso.
Gli addobbi natalizi rimangono un po' più a lungo, la compilation di Bing Crosby resta altre due settimane nei lettori cd e il "buco di gennaio" ormai è solo un brutto ricordo.
"Anche quest'anno siamo stati al completo", si rallegra Steibl.
I russi e gli ucraini occupano più di cinquemila degli undicimila letti disponibili, e i registratori di cassa suonano una dolce melodia.
I russi rimangono in media tra i dieci e i quattordici giorni (contro i cinque giorni dei tedeschi e degli austriaci), alloggiano quasi esclusivamente in alberghi a quattro o cinque stelle e prenotano sei mesi prima (con pagamento anticipato), perchè per ottenere il visto devono dare l'indirizzo del posto dove andranno a stare.
E non disdicono mai all'ultimo momento, anche se i bollettini meteo non sono buoni.
"Il sogno di ogni albergatore", dice con un sorriso Steibl.
"Persone che spendono molto e che non sentono la crisi".
Con la sua camicia nera e la cravatta bianca, Steibl incarna lo spirito della stazione sciistica: molto abbronzato, molto biondo e con un orologio decisamente vistoso.
Un uomo simpatico, intelligente e portato per gli affari.
Steibl, originario di Vienna, è arrivato a Ischgl alla fine degli anni novanta per trsformare la piccola stazione delle Alpi in un autentico marchio.
Un cocktail di sciovinismo ed esibizionismo: sposato con la proprietaria dell'albergo Fille Grillalm, Steibl si è perfettamente integrato nella vita del piccolo villaggio.
Mi spiega che in Tirolo un turista spende in media cento euro al giorno: a Ischgl ne spende 145 e, se è russo, arriva a spenderne anche 235.
"Si comincia con la tuta da sci per arrivare all'immancabile cavallino di cristallo Swarovski", racconta.

martedì 22 dicembre 2009

AUSTRIA ("ISCHGL" LOC. SCIISTICA).

LA PISTA RUSSA.

Nelle due prime settimane di gennaio la stazione sciistica di Ischgl entra nella sua fase russa: dai menù dei ristoranti alle bandiere per le strade, per non parlare della programmazione del Pacha (la discoteca dei vip), tutto è adattato alle esigenze della nuova clientela.
In questo periodo le Alpi diventano infatti una meta imprescindibile per i russi (sopattutto per i moscoviti), che festeggiano il Natale una decina di giorni dopo il 25 dicembre, secondo il calendario giuliano.
Dall'inizio di gennaio sono atterrati all'aeroporto di Innsbruk più di trecento aerei charter e jet privati - provenienti dalla Russia e dall'Ucraina.
Il 2 gennaio quasi 30mila turisti russi e ucraini hanno invaso il Tirolo.
La maggior parte ha proseguito, con un servizio navetta o noleggiando un'auto, fino a Solden, Mayrhofen o Ischgl.
Un incubo per i turisti tedeschi, mentre "per noi si tratta di un'ottima occasione", riassume Andreas Steibl, responsabile dell'ufficio del turismo di Ischgl.
Un tempo gennaio era un mese difficile per gli albergatori e i ristoratori di questo villaggio di 1.340 abitanti.
I tedeschi e gli austriaci ci mettono qualche settimana per riprendersi - fisicamente e finanziariamente - dalle feste di Natale, prima di tornare a sciare a febbraio.
AUSTRIA ("ISCHGL" LOC. SCIISTICA).

INFORMAZIONI PRATICHE.

ARRIVARE E MUOVERSI.
Il prezzo di un volo dall'Italia (Lufthansa, Austrian Airlines) per "Innsbruk" parte da 450 euro a/r.
La località sciistica dista 102 chilometri da Innsbruk.
In auto: dall'aeroporto prendere l'autostrada E60 in direzione Bregenz, uscire dopo 78 chilometri a Landeck e seguire le indicazioni per "Ischgl".
In treno: la stazione più vicina è quella di Landeck.

DORMIRE.
L'Hotel Jagerhof offre una doppia con balcone per 93 euro a notte (jaegrhof-ischgl.at).
Ottima la cucina.

SKIPASS.
Il giornaliero per il comprensorio sciistico della Silvretta Arena costa 35 euro per gli adulti.
I ragazzi sotto i 16 anni pagano 23 euro, mentre per i bambini fino a cinque anni è gratis.

CONCERTI.
Per acquistare i biglietti per i concerti "Top of the mountain", a 2.300 metri d'altezza, o per conoscere il programma scrivere a info@ischgl.com.
A MIO AVVISO E' UTILE SAPERE CHE :
In Italia esiste una attività che da più di 35 anni produce e commercilizza "BANDIERE E ACCESSORI", da utilizzo sia per interni che per esterni, partendo dalle bandierine da tavolo e arrivando fino ai pennoni in alluminio oppure in vetroresina da mt. 5 a mt. 22.
L'attività in oggetto è la "B.A.F.A. BANDIERE" (vedi catalogo in internet).
PROFILO DELL'AUTORE E INDICE VIAGGI A INIZIO BLOG "ERMANNO RARIS".

lunedì 21 dicembre 2009

ECUADOR ("YACHANA" VILLAGG. TUR.).

TRASPORTATO DALLA CORRENTE.

La mattina successiva mi carico con una dose di cioccolato prodotto da queste parti a partire da cacao purissimo.
Infilato il costume da bagno, mi procuro una gigantesca camera d'aria e salgo su una barca che percorre diversi chilometri lungo il fiume.
Dopo una settimana di piogge l'acqua del fiume è alta: la condizione perfetta per tuffarsi.
Mentre fluttuo dolcemente, trasportato dalla corrente, mi ritrovo di colpo a immaginare piranha e caimani ovunque.
Juan, però, mi assicura che non corro nessun pericolo.
Immerso nell'acqua percepisco la vastità dello spazio che mi circonda e provo un gradevole senso di solitudine.
Qualche giorno dopo vado da uno sciamano, un vecchio sulla settantina che dietro compenso, afferma di "schiacciare le energie negative".
Mi accoglie nella sua capanna sulla riva del fiume, inalando il fumo dalla parte accesa di una sigaretta fatta con una foglia di tabacco e alitandomi in faccia.
Completamente purificato, nei giorni successivi visito la fattoria biologica e la scuola del villaggio fondato da Doug.
Oltre a frequentare le lezioni, gli studenti fabbricano filtri per l'acqua, che poi vendono sul posto.
Il ricavato copre il 16 per cento dei costi di gestione della scuola.
Il resto proviene da donazioni private e da Yachana Gourmet, la società che produce il cioccolato distribuito attraverso la rete del commercio equo e solidale.
Poco tempo fa Doug ha trasferito la proprietà del villaggio e le sue attività economiche alla comunità.
Ora è un dipendente della compagnia che ha fondato.
Proprio in quei giorni ci arriva una splendida notizia: Yachana ha vinto il premio del National Geographic per la conservazione dell'ambiente.
ECUADOR ("Yachana" Villagg. Tur.).

L'AMERICANO CARISMATICO.

Dopo questa prima tappa, proseguo per il villaggio turistico di Yachana, a qualche ora di distanza lungo il fiume Napo.
Offre un soggiorno meno avventuroso di quello guaranì, ma è altrettanto bello.
E' stato fondato una decina di anni fa da Doug McMeekin, uno statunitense molto carismatico.
Arrivato in Ecuador come impiegato di un'zienda petrolifera, McMeekin si è innamorato del paese e ha capito che bisognava trovare alternative sostenibili al petrolio.
Sulle rive del Napo ha costruito un villaggio impegnto nella tutela dell'ambiente, ma anche nello sviluppo dell'istruzione, dell'assistenza sanitaria e dell'agricoltura.
Una struttura che è diventata un modello di ecoturismo.
Arrivando a Yachana (che significa luogo di apprendimento), mi trovo di fronte non tanto a un villaggio turistico quanto a un vera e propria comunità.
Gli ospiti sono coinvolti nello stile di vita indigeno e sembrano ben inseriti.
Ogni stanza ha un bagno con doccia e acqua potabile, oltre alla vista sul fiume.
Anche il cibo è buono.
A cena la prima sera abbiamo mangiato majado (un purè di banane con pomodori, uovo fritto e una salsa piccante di arachidi), il tutto accompagnato da un eccellente vino cileno.
"Organizzano escursioni, gite sul fiume e passeggiate per gli amanti del birdwatching.
E' molto divertente", afferma Doug.
"Da quando siamo qui abbiamo acquistato 1.500 ettari di foresta tropicale per impedire che venga disboscata.
Ma la nostra attività più importante è la scuola.
Facciamo lezione a 140 studenti e stiamo pensando di creare anche un'università.
L'Ecuador ha riserve di petrolio ancora per trent'anni, che alimentano il 60 per cento della sua economia.
Dobbiamo offrire a questi ragazzi alternative diverse".
ECUADOR ("YACHANA" VILLAGG. TUR.).

LA NOSTRA PRIMA GITA comincia alle cinque del mattino.
Partiamo insieme a una guida indigena e a un naturalista della Tropic Journeys.
Gli stivali di gomma ci permettono di camminare a lungo nella giungla (l'Amazzonia è un luogo magico, ma molto fangoso).
Durante le pause le nostre guide ci spiegano gli usi e le proprietà di numerose piante.
Tutte servono a qualcosa.
Il sangue di drago (una resina rossa) è anche un coagulante.
Un altro vegetale è un efficace anestetico locale.
Da una grande pianta simile a quella del cotone si ricava lo stoppaccio per le cerbotane, mentre con il curaro si possono avvelenare le punte delle frecce
Per i guaranì la giungla è un ambiente ospitale e pieno di risorse.
"La foresta ci ha sempre dato tutto: cibo, medicine, rifugio e vestiti.
Non abbiamo nessuna voglia di lasciarla", spiega la guida.
Indicando la sua cerbotana, gli chiedo cosa cacciano.
Le loro prede sono il cinghiale e la scimmia urlatrice.
"Quando ci procuriamo un po' di carne, ognuno di noi mangia solo quella di cui ha bisogno e lascia il resto in uno spazio comune.
Così rimane del cibo anche per chi è troppo vecchio per andare a caccia".
Poi, portando la cerbotana alle labbra, scocca una freccia contro un bersaglio grande quanto una monetina.
"Se si colpisce nel punto giusto, il veleno entra nel sangue della preda e la fa crollare a terra.
Poi l'animale viene finito con la "tapa" (lancia)", ci spiega.
"Vuoi provare?", mi chiede passandomi la cerbottana e mostrandomi come inserire la freccia.
Punto un grosso albero e soffio il più forte possibile.
La freccia parte verso l'alto, in direzione degli alberi, e si perde in aria.
La guida scoppia a ridere e, dandomi un colpetto sulla spalla, dice: "Sei fortunato a essere qui con noi, altrimenti stasera faresti la fame".
Tornato al villaggio, ceno e mi stendo per qualche ora sulla mia branda, e rifletto su quanto mi ha appena detto la guida.
Ha ragione, per me è una fortuna ricevere aiuto dai guaranì.

giovedì 17 dicembre 2009

ECUADOR ("YACHANA" VILLAGG. TUR.).

L'ORO NERO.

Negli ultimi anni molti occidentali hanno cercato di modificare il modo di vivere dei guaranì.
Le grandi aziende petrolifere offrono alle tribù grosse somme di denaro per poter trivellare i loro territori.
Pare che sotto il parco nazionale di Yasuni ci sia un giacimento di petrolio in grado di fornire un milione di barili.
Ma i guaranì, pur avendo bisogno di denaro, preferiscono tentare un esperimento molto più interessante: insieme a Tropic Journeys in Nature, una società con sede a Quito, stanno costruendo un villaggio turistico ecocompatibile.
E io sono uno dei primi ospiti.
I rappresentanti della comunità di Quehueri'ono ci aspettano.
Il loro insediamento è a quaranta minuti di volo da Shell, una cittadina poco interessante nella regione montuosa centrale.
Ci accoglie il capo, Moi Enomenga: indossa una bandana bianca e tiene in mano una cerbottana lunga tre metri e mezzo.
Altri esponenti della tribù indossano abiti meno tradizionali: magliette delle squadre di calcio ecuadoregne e scarpe da ginnastica Nike.
Una donna, invece, si presenta all'incontro con una scimmia appollaiata sulla spalla.
"Moi ha viaggiato molto e per la gente del suo villaggio è un eroe", mi spiega Jascivan.
E' stato a New York diverse volte ed è il protagonista di "Lo spirito del giaguaro", il libro di Joe Kane sui guaranì.
Mi presentano un'infinità di persone.
Poi dopo mezz'ora ci avviamo in canoa verso il villaggio.
Dato il suo isolamento mi aspettavo poco più che un gruppo di tende.
Troviamo invece cinque casette costruite con i tronchi d'albero e con i pavimenti in legno.
Ognuna ha l'acqua calda e un gabinetto con tanto di sciacquone, ci spiega orgogliosamente Jascivan.
Al centro c'è anche un'ampia sala da pranzo.
"Ce n'è voluto, però, di tempo.
Dai nostri primi incontri con Moi sono passati ormai quasi dieci anni.
Ecco perchè i guaranì sono così eccitati nel vedervi", spiega la nostra guida.
Dopo una cena tradizionale a base di purè di banane, riso e fagioli (non è un viaggio per gli amanti della buona cucina), vado a dormire.
Un lato della casa è separato dall'esterno solo da una zanzariera.
Posso ascoltare i suoni della giungla: cinguettii e svolazzi sono così forti che sembra di avere in casa l'intera fauna locale.
ECUADOR ("YACHANA" VILLAGG. TUR.).

LA GIUNGLA OSPITALE.

"Nel cuore della foresta amazzonica ecuadoriana una tribù guaranì ha costruito un villaggio turistico ecocompatibile".

La Foresta Amazzonica ricopre seicento milioni di chilometri quadrati, il 40 per cento del territorio del Sudamerica.
Mentre sorvolo la densa calotta verde mi chiedo se sto sognando.
Laggiù mi aspettano le meraviglie che accendono la fantasia dei ragazzi: ragni giganteschi, serpenti velenosi, tribù che cacciano con le cerbottane.
Non riesco ancora a credere di essere in un posto simile.
E soprattutto non mi sono ancora abituato all'idea di passare una settimana con i guaranì, una delle ultime tribù amazzoniche a essere entrate in contatto con la nostra civiltà.
L'aereo a quattro posti comincia a ronzare durante la discesa, poco dopo appare la pista di atterraggio.
"Non sembra un posto dove atterrare", borbotto mentre scruto dall'alto lo squarcio di giungla ecuadoriana.
"La pista è stata disboscata con il machete proprio questa mattina", mi spiega ridacchiando Jascivan, la mia guida.
Sono contento: mi aspetto quattro giorni di avventura sotto la guida dei guaranì.
La prima volta che fecero parlare di sé fu nel 1950, quando con le loro lance uccisero cinque missionari.
Da allora molti esponenti della tribù si sono convertiti al cristianesimo e hanno cominciato ad avere rapporti con il mondo esterno.
Altri invece si sono ritirati nella foresta, in luoghi ancora oggi inesplorati.



ECUADOR ("Yachana" Villagg. Tur.).

INFORMAZIONI PRATICHE.

ARRIVARE E MUOVERSI.
Se si rimane in Ecuador per meno di 90 giorni il visto non serve.
Bisogna avere però un biglietto aereo di a/r.
Il prezzo di un volo dall'Italia (Lan Airlines, Alitalia, Iberia) per "QUITO" parte da 813 euro a/r.
Da Quito si può raggiungere "SHELL" in quattro ore con un pulmino, e poi proseguire fino al sito della comunità Quehueri'ono con un aereo a cinque posti.
Il volo dura 40 minuti.

CLIMA.
La stagione secca, da giugno ad agosto, è il momento migliore per fare gite o scalate.

DORMIRE.
La Tropic Journeys in Nature (00593 2 2234 594, tropiceco.com) per 312 euro a persona offre tre notti in una doppia al "Guaranì Ecolodge".
Il prezzo comprende il cibo e le escursioni.
Tre notti al "Yachana lodge" costano 263 euro (00593 2 2523 777, yachana.com).



E' GIUSTO SAPERE:
Ho deciso di offrire a chi piace viaggiare (con la fantasia oppure in prima persona) una possibilità di scegliere degli intinerari prevalentamente avventurosi, che si distinguono per la loro diversità dai viaggi tradizionali.
Le descrizioni le traggo dal settimanale "INTERNAZIONALE" del quale sono abbonato ed affezionato lettore di tutti gli articoli che lo compongono.
Spero di fare cosa gradita a quanti mi leggeranno, ed auguro a tutti una piacevole lettura.
ERMANNO RARIS
PROFILO DELL'AUTORE E INDICE DEI VIAGGI A INIZIO BLOG "ERMANNO RARIS"

mercoledì 16 dicembre 2009

BULGARIA ("SOFIA").

RAGAZZE E PATATINE FRITTE.

Prima, però, resta ancora il tempo di trascorrere un'ultima notte a Sofia, di assaggiarne la "night life" annunciata dai neon sfavillanti di tanti piccoli casinò e locali equivoci.
Ed è lì che l'austera Sofia ti sorprende.
Te lo aspetti da Budapest, te lo aspetti dalla Slovacchia, dalla Romania, perfino dalla cattolica Polonia, ma non dalla ex capitale dell'anestetico grigiore sovietico.
C'erano alcuni segnali premonitori (soprattutto le bande di maschi italiani in gita) ma la sorpresa rimane.
Mentre ceniamo all'Happy Grill, un pub pieno di maxischermi stile Mtv dove i giovani mangiano hamburger con il ketchup (insomma, il tipico locale frequentato dalla gioventù del luogo), dal tavolo accanto parte ad alta voce l'arringa di un signore di mezza età: "Trombare alla grande.
Trombare tutta la notte!
Te la tieni sei ore.
Diciotto, diciasette, sedici anni...
Come la vuoi?
Solo duecento euro.
Ragazze fantastiche.
In disco, in albergo, a casa, dove vuoi!
Diciotto, diciasette, sedici.
Duecento tutta la notte.
Oppure cinquanta per ora.
Dove la trovi in Italia una roba così?
Dove in occidente?"
A bandire la sua merce è un bulgaro con due gelidi occhietti da perfetto lenone.
I potenziali clienti, manco a dirlo, sono italiani.
Le cameriere che servono gli hamburger vestite da babbo natale fanno finta di niente.
Tutti noi facciamo finta di niente.
Il lenone lascia un biglietto da visita sul tavolo accanto alle patatine fritte.
Abbiamo visto abbastanza.
Inutile la visita ai casinò di Sofia.
Pare che il turismo sessuale sia il destino ineluttabile nelle relazioni tra paesi ricchi e paesi in via di sviluppo.
La porta stretta verso il capitalismo maturo.
Domattina si parte presto per Istambul.
Via terra.
Ci andremo in autobus.
Sul Balcan express, il treno che collega Lubiana a Istambul via Belgrado e via Sofia, non c'è più posto.
Rientrando all'Hotel Maria Luisa, in un edificio dichiarato monumento storico, passo accanto a Mc Donald's.
L'insegna è in caratteri cirillici ma il logo è lo stesso.
E' malinconico pensare che, dopo secoli di dominazione turca e decenni di tirannia comunista, tutto ciò a cui queste persone possono aspirare è un facsimile scialbo di quel benessere capitalistico che noi, anche nella sua versione migliore, abbiamo già trovato piuttosto deludente.


BULGARIA ("SOFIA").

I FIGLI DEL POPOLO BULGARO venivano affogati (il bambino salvato da san Giorgio regge, infatti, un'ampolla) oppure resi schiavi delle turpi inclinazioni sessuali dei dominatori orientali, ci dice la guida.
Ai pochi sopravvissuti, arruolati nei giannizzeri, si chiedeva di sterminare la famiglia d'origine per testimoniare la rottura con le loro radici etniche.
Sarà leggenda, sarà propaganda nazionalista antelitterman, sarà una di quelle immaginifiche narrazioni patriottiche su cui si fonda poi la patria reale, ma è il segno di un passato che non passa.
La cifra della ben nota maledizione balcanica.
E' il passato remoto a restare, la memoria ancestrale, la superstizione di ciò che etimologicamente indica la "sopravvivenza dei tempi antichi".
Il passato recente, quello del compagno Stalin, si richiude invece come una sanguinosa parentesi, provvisoriamente aperta dal secolo breve.
Davanti alla cattedrale si affollano le bancarelle di un mercatino delle pulci.
L'ì tra i gioielli poveri di buona fattura, forti sentori d'oriente e grammofoni ancora funzionanti, le uniche tracce delle tragedie del Novecento: una miriade di cimeli bellici, sia sovietici sia nazisti.
Le croci uncinate imbandite di fianco alle stelle rosse.
I colbacchi d'ordinanza dell'Armata Rossa accanto ai pugnali del battaglione Dresda.
Un rigattiere onesto mi chiarisce, però, che l'accostamento è solo illusorio.
Non tutti i residuati bellici della grande tragedia recente stanno davvero sullo stesso piano: "La roba sovietica è autentica.
Quella nazista no.
Le medaglie comuniste sono originali, quelle naziste sono copie.
Buone copie ma copie", mi dice in un inglese elementare il venditore.
Quando gli chiedo se le fabbricano per i turisti, mi fa segno di sì con la testa.
Non ha bisogno di aggiungere altro.
E' tutto fin troppo chiaro: tramontata l'illusione del bene, non ci rimane che la fascinazione per il male.
Da quando non c'è più il futuro promesso dal socialismo, l'immaginario è tutto per il kitsch onirico della svastica d'alluminio, la paccottiglia fantasy-horror del nazismo posticcio.
Forse per questo il passato recente, con tutta la sua gravosa serietà, la serietà della storia, è una moneta fuori corso nella Bulgaria postsovietica appena ammessa nell'Unione europea.
Rimane il passato remoto.
Più simile al sogno, più in odore di mito.
E ce ne accorgeremo non appena ci metteremo in viaggio verso la Turchia, verso Istambul, la Sublime porta d'Oriente, la capitale dell'impero che occupò queste terre per dei secoli, ben prima che entrassero a far parte brevemente dei possedimenti di un'altro impero, quello sovietico.
La memoria che la Bulgaria conserva della propria storia è una memoria senile: vivida in ciò che è lontano, sbiadita in ciò che è vicino.
BULGARIA ("SOFIA").

IL COMPAGNO DIMITROV.

A Sofia il passato recente è un'assenza vagamente intuita più che una presenza ingombrante, un posto vuoto alla tavola del nuovo capitalismo, una macchia scura di muffa informe.
Come quella lasciata sul frontone del palazzo presidenziale (anch'esso neoclassico), un tempo sede del partito, nel punto in cui aveva campeggiato il bronzo di una grande stella rossa.
Lontano dai viali regolari, puliti e riattati del centro, sorgono i famigerati casermoni voluti nel dopoguerra dall'edilizia popolare comunista (Sofia fu pesantemente bombardata durante la seconda guerra mondiale perchè si era alleata con le forze dell'Asse), lontano dalle arterie commerciali piene di boutique alla moda di secondo e terz'ordine pullulano i mercati cenciosi della miseria comunista.
Ma nel centro no.
Nel centro la storia recente è una memoria abrasa.
Il centro è consacrato alle vestigia di un passato remoto, buono per la chimera turistica.
In questo piacevole centro storico, infatti, puoi passeggiare tra rovine romane dell'antica Serdica inglobate nei cortili o addirittura nel corpo principale degli hotel (Hotel Arena di Serdica o l'Hilton), incontrare lungo la stessa via sinagoghe ebraiche, moschee musulmane e chiese ortodosse in stile neobizantino,visitare le stupende collezioni archeologiche degli ori dei Traci e le meravigliose collezioni di icone raccolte da tutto l'oriente europeo nella cripta museo della cattedrale intitolata ad Aleksandar Nevski, eretta dai bulgari nel 1912 per ringraziare i russi di averli liberati dalla plurisecolare dominazione turco-ottomana.
Lì sotto, tra le antiche icone, a differenza che in superfice, la storia non passa.
Una guida zelante ci svela con passione il mistero dell'enigmatica figura di bambino seduto sul cavallo alle spalle di un san Giorgio in tutte le raffigurazioni del santo cristiano: una leggenda locale vuole che l'uccisore di draghi abbia salvato un bambino bulgaro che stava per essere affogato durante le violenze genocide compiute ai tempi del dominio turco.

BULGARIA ("SOFIA").

LA CITTA' DELL'OBLIO.

Il Mausoleo del Compagno Dimitrov lo cerchiamo per più di un'ora.
Perlustriamo la piazza Aleksandar Battenberg di Sofia alla disperata ricerca dell'edificio costruito nel 1949 in soli sei giorni e sei notti-come era avvenuto in Russia nel 1924 in occasione della morte di Lenin - per accogliere la salma di Georgi Dimitrov, fondatore della Bulgaria socialista.
Quel palazzone in stile tardo neoclassico è stato per più di cinquant'anni una delle poche cose che noi occidentali abbiamo potuto vedere della Bulgaria.
Il palazzo faceva sempre da sfondo alle parate militari e alle celebrazioni dell'era sovietica.
Davanti alle colonne scanalate sfilavano i carri armati e i soldati al passo dell'oca, in una scenografia di bandiere rosse e pastrani lisi.
Tutto il resto della Bulgaria, una nazione-confine tra l'Asia e l'Europa, era per noi l'ignoto socialista, una zona cieca sulla carta geografica riempita di velenosi sarcasmi: "Triste destino nascere poeta bulgaro", "elezioni bulgare", "informazione bulgara", e via dicendo.
Ora nella ex capitale dell'ignoto che stava oltre la cortina di ferro ci siamo arrivati comodamente grazie a un volo low cost della Wizz Air (una compagnia polacca le cui hostess vestono amabili tailleurini color lilla) e cerchiamo invano di rintracciare quell'unica immagine che conoscevamo della Bulgaria al tempo in cui la guerra era fredda e il mondo diviso in blocchi.
La nostra guida in lingua italiana, pubblicata nel 2007 (Edizioni Ulysse Moizzi), ci segnala il mausoleo nel mezzo della piazza su cui affacciano il palazzo reale, la Casa del partito - il tempio dei capi comunisti - poi trasformato in cinema e discoteca, e il Teatro nazionale Ivan Vazov.
Ma nel mezzo della piazza c'è soltanto una pista a cielo aperto per il pattinaggio su ghiaccio.
Poco distante, squadre di operai postsovietici stanno montando un enorme palco da concerto rock per i festeggiamenti di capodanno.
Nessun mausoleo in vista.
Quando finalmente chiediamo informazioni sul mausoleo del compagno Dimitrov, uno dei pattinatori ci dice in un inglese stentato: "Ci siete dentro".
Apprendiamo così che la salma del compagno Dimitrov era stata rimossa gia'
nel 1990 e il mausoleo demolito poi nel 1999.
"Non senza una lotta dolorosa", aggiunge il nostro informatore.
"E grazie a una seconda carica di dinamite", conclude con una malinconica fierezza, non si sa se per l'ostinazione dei distruttori postcomunisti o se per la solidità stolida dei costruttori comunisti.
La guida di Ulysse Moizzi va indubbiamente aggiornata.
Niente.
Pare proprio che nel centro di Sofia non sia rimasta alcuna traccia dell'era sovietica.
Quantomeno nessun segno immediatamente decifrabile, sicuramente nessun simbolo.
Le uniche icone da queste parti sono oramai quelle dell'antico culto ortodosso bizantino, che le vecchie nelle chiese sono tornate a sbaciucchiare appassionatamente.

martedì 15 dicembre 2009

BULGARIA ("SOFIA").

INFORMAZIONI PRATICHE.

ARRIVARE.
Il prezzo di un volo di linea a/r dall'Italia (Alitalia, Bulgaria Air) per Sofia parte da 200 euro.
La capitale bulgara si può raggiungere anche con dei voli low cost: Myar ha un volo diretto da Orio al Serio, mentre Wizz Air parte da Fiumicino.

DORMIRE.
Lo Sheraton Sofia Balkan (00359 2 981 6541), albergo preferito dai dirigenti dell'era comunista, è stato trasformato in albergo di lusso.

MANGIARE.
Lovnata Kashta (bul. Tsarigradsko Shose 17) offre specialità a base di selvaggina.
Da Egur-Egur (ul. Shejnovo 18, 359 2 946 1765) si può assaggiare la cucina tradizionale della minoranza armena.
Molti ristoranti si trovano nel quartiere di Studentski grad.



A MIO AVVISO E' UTILE SAPERE CHE:
In Italia esiste una attività che da più di 35 anni produce e commercializza "BANDIERE E RELATIVI ACCESSORI", da utilizzo sia per interni che per esterni, partendo dalle bandierine da tavolo e arrivando fino ai pennoni in alluminio oppure in vetroresina da mt. 5 a mt. 22.
L'attività in oggetto è la "B.AF.A. BANDIERE" (vedi catalogo in internet).
PROFILO DELL'AUTORE A INIZIO BLOG "ERMANNO RARIS".

GIAPPONE (REGIONE DI "TOHOKU").

CUCINA RURALE.

Una sera mi sono fermato a Tsurunoyu, un "onsen" veramente bello.
Un tempo era la stazione termale privata dei signori di Akita.
Fu inaugurata nel 1701.
Qui, seguendo la tradizione montanara, si mangia intorno a focolari a carbone di forma quadrata chiamati "irori", sui quali si possono arrostire pesci e verdure, prima di fare una scorpacciata di patate dolci cotte in una pentola di metallo sospesa sopra i carboni ardenti.
Il cibo è ottimo: cacciagione, sashimi, pesce alla griglia, capesante con il miso, delicate insalate di funghi e di germogli di fagioli verdi, e "sansai" (verdure di montagna), le fragranti felci selvatiche, le felci aquiline e i tuberi, che sono parte integrale della cucina rurale giapponese.
Due giorni dopo ho avuto un'esperienza culinaria meno raffinata (ma spudoratamente gustosa) sul lago Towada: ho mangiato una salciccia simile a quelle tedesche, infilzata in uno spiedino ricurvo fatto con una costola, credo, di maiale.
Mentre rifletto su che tipo di carne è quella che ho appena mangiato, mi accorgo della calma cimiteriale del luogo: negozi di souvenir vuoti e file di pattini a forma di cigni e di mostri marini.
Se questo lago si trovasse in Canada o in Nuova Zelanda, sarebbe popolato da yacht, patiti del windsurf e amanti dello sci d'acqua.
Qui invece l'atmosfera è calma e un po' desolata perchè i turisti giapponesi sono attratti dalla gola del vicino fiume Oirase, un paradiso di piccole cascate e di torrenti, che forma probabilmente la più bella vallata che io abbia mai attraversato, nonostante la folla di turisti che arrancava dietro le guide.
Da Towada proseguo in auto per Kakunodate, l'ultima tappa del mio viaggio sui monti.
Proprio il tipo di cittadina in cui Basho avrebbe cercato riposo nei suoi viaggi e si sarebbe guadagnato qualche soldo presiedendo alle "renga", le sedute collettive di scrittura poetica.
Kakunodate è un po' cambiata rispetto ai suoi giorni più felici nel secolo scorso.
Oggi c'è un quartiere samurai con case eleganti e una tranquilla zona commerciale dove i negozianti usano l'abaco per fare le somme.
Mi fermo in un "ryokan" chiamato Tamachi Bukeyashiki, che serve squisiti piatti italo-giapponesi.
Se esistesse un ristorante così a Londra, la gente venderebbe la nonna per prenotare un tavolo.
Le sei portate, compreso il manzo cotto su piastra di marmo, una minestra di zucca ricoperta da erbe selvatiche "sansai" e frutti di mare in un brodo chiaro delicato, sono tutte deliziose.
Ho mangiato qui due volte e la prima cena è stata la migliore dell'anno.

GIAPPONE (REGIONE DI "TOHOKU").

SALVATO DAL GPS.

Affitto una piccola Mazda color argento perchè la ferrovia non arriva fino alle montagne.
Guidare nelle campagne del Giappone è semplice: le strade sono larghe e nelle grandi vie di comunicazione il limite di velocità è di 50 chilometri orari, ideale quando si vuole godere tranquillamente del paesaggio.
La cosa più difficile è imboccare la strada giusta: le località principali sono indicate da cartelli segnaletici scritti nell'alfabeto latino, ma non i piccoli paesi o le terme più remote.
Ogni mattina, prima di lasciare l'albergo, faccio un inchino a chiunque si trovi dietro il bancone della reception.
Subito dopo gli passo un foglietto su cui c'è scritto "per favore, programmi il mio navigatore satellitare in direzione di ...".
Oggi il gps mi porta in una regione mistica, su strade di montagna che attraversano fitte foreste.
In mezzo a questa cupa vegetazione si trova Aoni Onsen, un "ryokan" (un albergo tradizionale giapponese) costruito sulla sponda di un fiume, dove è possibile fare il bagno in vasche calde illuminate di notte da lumi a petrolio.
Un posto tranquillo creato negli anni trenta da un poeta che voleva riprendere le forze dopo una malattia.
Nelle stanze non ci sono nè radio nè televisori.
L'elettricità viene usata raramente, ma le deboli luci di un registratore di cassa e di un computer dietro la reception rompono l'incanto.
Mi cambio indossando una "yukata" di cotone (un Kimono estivo) e dei "geta" (sandali di legno) che, come quasi tutte le calzature fornite dagli alberghi giapponesi, sono decisamente troppo piccole e quindi mi obbligano a camminare zoppicando.
Dopo un paio di passi incerti verso la vasca, la voglia di comodità vince sulla tradizione: decido di cambiare i sandali con scarpe di gomma da piscina, come hanno fatto tutti gli altri.
Il rituale del bagno in comune (come in qualsiasi situazione dove ci si trova nudi di fronte a degli estranei) è una di quelle circostanze in cui può essere utile conoscere alcune regole.
In questi frangenti le abitudini occidentali lasciano perplessi i giapponesi, che non si sognerebbero mai di entrare in una vasca piena di acqua sporca e di pelle morta.
Prima ci si lava fuori, sciacquandosi sotto una doccia o sotto lo scroscio di un secchio di legno, poi si pulisce ogni parte del corpo sfregandosi con una spugna.
Solo a quel punto ci si può immergere nella piscina.
Mentre fa buio e si accendono le lanterne resto seduto a osservare l'acqua che precipita da una rupe alta venti metri.
Tonificato e con ogni poro aperto torno in albergo percorrendo il ponte di legno che attraversa il fiume.
Per cena ci si ritrova nella sala principale.
Una cinquantina di ospiti siedono a dei tavoli bassi dove vengono serviti cibi di stagione, funghi matsutake, pesce alla griglia e una ricca zuppa autunnale di miso presentata su vassoi di lacca.
Verso le nove cala il silenzio.
Tutti a letto.
In alcune località il bagno nelle terme è un'attrazione secondaria.
Tamagawa è una sorta di paese delle meraviglie geotermico, con piscine di fango caldo e bocche che eruttano vapori acri.
I visitatori si sdraiano sul terreno caldo per curare le malattie artritiche e reumatiche: avvolti in lenzuoli dalla testa ai piedi, sembrano bruchi dai colori vivaci in un campo profughi su Marte.
Un uomo cuoce una patata dolce e una zucca calando un sacchetto in una fossa da cui esce del vapore.
Quest'aria mi fa venire mal di testa e i miei vestiti puzzano di zolfo anche molte ore dopo.

lunedì 14 dicembre 2009

GIAPPONE (REGIONE DI "TOHOKU").

INFORMAZIONI PRATICHE.

ARRIVARE.
Il Giappone ha un rigido sistema antiterrorismo: le autorità scattano una foto e prendono le impronte digitali degli stranieri che entrano nel paese.
Non occorre un visto di ingresso ma bisogna avere un biglietto a/r.
La Japan Airlines (Jal) ha voli diretti da Milano e Roma per Tokyo (in codesharing con Alitalia).
La tariffa da circa 900 euro a/r sarà in vigore dal 31 dicembre al 31 marzo 2008.

CLIMA.
La primavera è la stagione più bella ma coincide con le vacanze dei giapponesi.
In autunno la temperatura è piacevole e ci sono pochi turisti.

TRENI.
Con il Japan rail pass (snipurl.com/1va2t) si possono prendere quasi tutti i treni delle ferrovie giapponesi.
Ci sono abbonamenti da una, due e tre settimane.
Una settimana in seconda classe costa circa 170 euro.











GIAPPONE (REGIONE DI "TOHOKU").

PROFONDO NORD.

Fin dal 1853, da quando l'ammiraglio statunitense Matthew Perry arrivò con la sua flotta nella baia di Edo per aprire il commercio estero, il Giappone conserva agli occhi degli occidentali un alone mistico che li respinge e li attrae allo stesso tempo.
Ancora oggi i "gaijin" (gli stranieri) lo considerano un paese isolato con una società chiusa.
L'immagine di un Giappone impenetrabile si ritrova anche nel film "Lost in translation", dove due americani cercano di affrontare il loro spaesamento culturale andando in giro per le strade che circondano l'hotel Park Hyatt di Tokyo.
E' come se l'idea che si tratti di un paese dagli oscuri codici e dai comportamenti enigmatici influenzasse anche i modelli turistici.
Basta trascorrere una giornata sul treno ad alta velocità che percorre l'area centrale di Tokyo per vedere stranieri ovunque: fermi agli incroci di Shibuya o Shinjuku, mentre guardano a bocca aperta le immagini scintillanti delle pop star nipponiche su schermi giganti.
Ma se si sale su uno dei treni diretti fuori città, i turisti stranieri scompaiono.
Nelle due settimane di viaggio nella regione di Tohoku, la zona montuosa nordorientale di Honshu, la più grande delle isole principali del Giappone, ho visto solo nove turisti.
Tohoku è il "profondo nord" attraverso cui s'incamminò, nel 1689, il monaco zen Matsuo Basho, l'autore di poesie "haiku", che scrisse Oku no Hosomichi (L'angusto sentiero del nord), uno dei più celebri racconti di viaggio della letteratura mondiale.
Nel 1700 era una regione selvaggia e piena di banditi.
Oggi, la maggior parte dei 120 milioni di abitanti del Giappone vive lungo le pianure costiere.
Le montagne e i boschi di Tohoku sono un rifugio per chi vuole stare a contatto con la natura e rilassarsi in uno dei vari "onsen" (sorgenti termali), frequentati da molti turisti, quasi tutti giapponesi.
Sulle orme di Basho, anch'io mi fermo, lungo la strada per le montagne, a Matsushima, una città costiera affacciata su una baia che ospita tante piccole isole ricoperte di pini.
Per secoli la baia è stata considerata una "Nihon sankei", la locuzione che indica i tre luoghi più belli del Giappone.
"Isole a non finire", scriveva Basho, "vicine l'una all'altra.
Sembrano dei genitori che accarezzano i figli o li tengono per mano.
I pini sono di un verde brillante e i loro rami ricurvi sotto il vento che soffia formano linee delicate".
Quelle isolette con i templi buddisti cadenti e i pini plasmati dal vento sono ancora splendide, anche se per molti aspetti Matsushima è stata rovinata dal turismo: pullman carichi di gente sciamano sul lungomare costellato da ristoranti a buon mercato e negozi di souvenir.
Matsushima mi offre però uno squarcio incantevole: nei pressi del tempio di Zuiganji c'è un bosco di pini rossi su un tappeto di muschio perfetto.
Non lontano ci sono le grotte con i Budda e Bodhisattva di pietra.
Il mattino dopo mi dirigo verso nord, a Hirosaki, la città delle mele.
Ospita un parco con un migliaio di meli, di 60 varietà diverse.
E nel parco c'è una caffetteria dove assaggio una mela al curry e posso curiosare tra 700 souvenir ispirati al frutto.
Faccio un giro su una delle biciclette messe a disposizione gratuitamente dall'ufficio turistico.
Attraverso il parco, il castello e un quartiere di vecchie case di samurai, dove si intravedono le architteture vegetali dei giardini nascosti dietro le alte pareti di legno.
E' il momento di ripartire, ma prima cedo alla tentazione di comprare come portafortuna una mela a forma di elfo con un cappello verde.

E' GIUSTO SAPERE:
Ho deciso di offrire a chi piace viaggiare (con la fantasia oppure in prima persona) una possibilità di scegliere degli intinerari prevalentemente avventurosi, che si distinguono per la loro diversità dai viaggi tradizionali.
Le descrizioni le traggo dal settimanale "INTERNAZIONALE" del quale sono abbonato ed affezionato lettore di tutti gli articoli che lo compongono.
Spero di fare cosa gradita a quanti mi leggeranno, ed auguro a tutti una piacevole lettura.
ERMANNO RARIS
PROFILO DELL'AUTORE A INIZIO BLOG "ERMANNO RARIS".
COLOMBIA ("BOGOTA' ").

UN POPOLO FELICE.

I venti gelidi e il cielo cangiante danno un aspetto particolare a Bogotà, una pesantezza e un isolamento che la rendono diversa dalle altre città della costa nord, o dall'immagine che vorrebbe dare di sè, fatta di teatri, musica rock e festival di letteratura.
Qui si trova la splendida struttura di proprietà del Banco de la Republica, nella zona di candelaria, dove è possibile godersi cinque musei a ingresso gratuito.
Mentre giovani acrobati e mangiatori di fuoco si esibiscono al semaforo chiedendo qualche moneta ai proprietari delle Bmw diretti verso qualche locale alla moda.
E qui si trova anche l'Iglesia del Divino Nino, dove guerriglieri, bambini, abitanti della provincia e anche alcuni abitanti della zona più ricca della città si ritrovano a suonare e a cantare le loro preghiere sotto la pioggia.
Qualche anno fa una ragazza mi ha detto che i colombiani erano il popolo più felice del mondo.
"Abbiamo i guerriglieri, i narcotrafficanti, e siamo felici".
Lasciando a me il compito di capire se la loro usanza di far festa ogni notte fosse un modo per sfuggire alla depressione o per tentare di trsformare la realtà che li circonda.
Il mio ultimo giorno in città, su una stradina in salita che portava verso degli enormi palazzi (in alcune parti della città le colline sono coperte dalle baraccopoli, in altre da splendidi edifici), mi sono ricordato delle parole di una giovane guida: "Tutti i ricchi vivono in alto, nei loro "condoms".
"Come scusi?", ho chiesto ripensando all'albergo che aveva i preservativi nel bagno.
"I loro "condoms", ha ripetuto, "i loro appartamenti".
"Vuoi dire "codos", condomìni?".
"Ah, giusto", ha risposto la ragazza tropicale.
Ha sorriso ed è arrossita.
A Bogotà la confusione è un elemento emblematico.
Non è mai chiaro quando stai parlando dei profilattici o del piacere sessuale.
Forse in questa città la protezione è la forma d'arte più importante.